De Gaulle e il suo scudiero

De Gaulle e il suo scudiero DESTINO DEGLI UOMINI POLITICI NELLA FRANCIA D'OGGI De Gaulle e il suo scudiero Michel Debré mostra al generale "la deferenza di un aiutante di campo e l'agitazione premurosa di un capo di Stato Maggiore,, - Uscito dalla grande borghesia intellettuale di Parigi, condivide con il suo idolo la "mistica,, della Francia e non c'è cosa che non farebbe pur di aumentare la grandeur della nazione - Da diversi mesi la sua quotazione perde costantemente terreno, egli lo sa e sempre più si irrigidisce negli atteggiamenti duri e ingrati - "La mia - dice - è una missione di sacrificio,, (Dal nostro inviato speciale) Parigi, aprile. Che cosa sia il gollismo, nessuno sa spiegare con, esattezza neppure fra i protagonisti dell'attuale regime. Esiste De Qaulle, ma non esiste un partito dichiaratamente gollista o una dottrina politica del gollismo. All'ombra e nella scia del gollismo troviamo uomini dalle idee diversissime: dai socialisti ai quasi fascisti, dai liberali ai democristiani. Il partito governativo, l'u.n.r., raccoglie duecento deputati divisi in tendenze e corrènti opposte, le quali hanno in comune solo un denominatore, De Gaulle. Ciascuna corrente si proclama l'unica, l'autentica interprete del pensiero del generale, e così vedete progressisti e reazionari polemizzare a lungo fra di loro in merito a una frase, talora a una sola parola di De Gaulle. E' sempre difficile stabilire cht abbia ragione e chi torto, per il semplice fatto che il linguaggio di De Gaulle è spesso breve e oscuro come quello di un oracolo. Se il personaggio è enigmatico, e così sono anche le sue idee, mi sembra che la unica definizione accettabile del gollismo resti tuttora quella che diede J. P. Sartre: «De Gaulle è il punto d'in¬ contro delle nostre impoten* ze e delle nostre contraddizioni ». Quali fossero le impotenze e le contraddizioni del defunto sistema parlamentare in Francia, è presto detto: il potere era nelle mani del Parlamento, il quale peraltro non era in grado di esercitarlo. L'Assemblea nazionale era un sovrano composto da 600 teste in perenne conflitto fra di loro: circa 250 deputati stavano ver principio all'opposizione, e i rimanenti S50, divisi in molti partiti e fazioni, si paralizzavano vicendevolmente. Se lo stato era reso impotente dalla discordia dei partiti, tutti ne approfittavano per rendersi sempre più potenti: i partiti, i sindacati, la destra economica, i generali, le associazioni di categoria. Tutti in Francia governavano, fuorché il governo. De Gaulle ha rovesciato la situazione: nessuno più conta fuorché lo Stato. E come il Re Sole, De Gaulle fa capire ogni giorno ai francesi che « lo Stato sono io ». Uno solo è il custode dei « sacri interessi » della Francia, e a lui solo spetta decidere di conseguenza. Se le idee sono scarse e imprecise, se le discussioni in seno al governo sono poche e per lo più segrete, i I muri maestri del nuovo re- girne sono l'attaccamento alla Francia, la devozione agli interessi francesi. Alla lotta esasperata delle idee e alle logomachie di ieri, si cerca di sostituire l'attivismo, la competenza specifica, la fedeltà al capo. Patriarchi come Edouard Herriot o Leon Blum sono impensabili nel clima di oggi, dominato dal mito dell'efficienza pratica. Tutto deve farsi presto e bene. Uno dei pupilli del regime, Chaban-Delmas, nel prendere possesso della poltrona presidenziale alla Camera, non ha esitato a trattare i deputati come se fossero operai addetti a una catena di montaggio e li ha esortati ad adottare « i metodi più moderni realizzati dalla tecnica più- avanzata dell'organizzazione, in modo che siano assicurati il pieno impiego dei parlamentari e il rendimento più elevato del lavoro compiuto ». A conti fatti', questo stakanovismo a tutti i costi non ha dato, almeno nell'ambito di Palazzo Borbone, risultati soddisfacenti. Come dice Bidault: < Prima alla Camera non c'era mai nessuno, e si votava continuamente. Oggi invece tutti sono là dentro, ma non si vota mai ». Per efficienza, dinamismo, fedeltà ai capo, chi viene considerato il primo nella classe gollista è Michel Debré, colui che il generale chiama « il mio primo ministro ». Bruno, vivace, impulsivo, sembra più giovane dei suoi i8 anni; e nei riguardi di De Gaulle egli « mostra la deferenza di un aiutante di campò e l'agitazione premurosa di un capo di Stato Maggiore ». Ma Debré sinceramente condivide con De Gaulle la mistica della Francia e non c'è cosa che non farebbe pur di aumentare la grandeur della nazione. Uscito dalla grande borghesia intellettuale di Parigi, a ss anni vinse il concorso per il Consiglio di Stato, a SS anni fu fatto prigioniero ed evase; dopo aver trascorso un anno nel Marocco fra le forze golliste, volle ritornare in Francia e si gettò anima e corpo nel movimento partigiano. Dopo la Liberazione, raggiunse le più alte cariche amministrative, ma nel 19^8, cioè a 36 anni, rinunciò a tutto per buttarsi nella lotta politica. Eletto senatore, per dieci anni tuonò contro la carenza governativa e la decadenza francese. Dappertutto vedeva complotti, tranelli, agguati contro la Francia; fosse in discussione la Ceca 0 la Ced, la costruzione in Francia di rampe per missili americani oppure l'Euratom, Debré non mancava mai di scagliarsi con appassionata virulenza contro il governo, accusandolo di voler vendere l'indipendenza della Francia agli Stati Uniti o alla Germania. Sottile e snello, scattava su dal suo banco e interrompeva, toglieva la parola agli avversari, con l'impeto di un Saint-Just gridava le sue ardenti filippiche contro il sistema parlamentare, contro il governo in carica, contro 1 capipartito. Non si dava e njn dava mai tregua. E quando non poteva parlare dalla tribuna del Senato, riempiva di diatribe, notiziole polemiche, domande imbarazzanti un suo piccolo settimanale al quale aveva dato il significativo titolo di Courrier de la colere. Negli anni in cui sembrava che De Gaulle fosse un eremita destinato ormai a spegnersi nel suo rifugio agreste, o al più un personaggio degno di figurare nel museo delle statue di cera, Debré non mancava mai una occasione per invocare pubblicamente e con tutta la sua divorante passione il ritorno del « salvatore » ; e con furente sarcasmo paragonava gli uomini del sistema parlamentare al generale che già una volta aveva salvato la Francia. Era un solitario, ma pieno di orgoglio, e si accaniva contro tutti. Sovente ai colleghi minacciava il Dies irae: «Siete liberi f liberissimi. Invero, vi dico che domani sarete lasciati liberi di camminare fino alla ghigliottina ». Quando capì che la sua lotta decennale per la morte del sistema parlamentare e per il ritorno di De Gaulle stava per concretarsi, salì alla tribuna del Senato e incitò i francesi a rivoltarsi: « Come si fa a non gridare a tutti i francesi: vi ingannano, abusano del vostro candore t Fate, o francesi, come i vostri antenati del 1789, del ISSO, del I848. Fate la rivoluzione. Formate un governo di salute pubblica, rifate l'autorità della Francia >. Oggi il primo ministro Michel Debré cerca di realiz■iiiiiiiiillililiiliiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiii iiiiliiiliiiiiiiiiiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiilii zare i sogni della lunga vigilia con il fervore e l'accanimento che mise nei dieci anni di opposizione, ma i risultati appaiono modesti. La rinascita della Francia resta tuttora una speranza affidata all'avvenire. La via della grandeur appare a molti una costosa velleità. Le opposizioni crescono da ogni lato. Il partito degli scontenti aumenta a vista d'occhio. Anche all' interno del regime, si moltiplicano le fronde e le camarille, le ambizioni e le delusioni. Come avviene in borsa per i titoli azionari, ti principi» e «i piccoli baroni» che vivono all'ombra di De Gaulle ricevono ogni giorno una quotazione; e alcuni sono in ribasso o addirittura precipitano, altri invece salgono. Sono spesso quotazioni dall'andamento fluido, ma quella di Debré da diversi mesi perde costantemente terreno. Lo stesso Debré lo sa. « La mia è una missione di sacrificio », disse un giorno a chi lo incitava a difendersi dagli amici-nemici. E lasciò capire che egli è disposto a vuotare fino in fondo la tazza del fiele francese pur di poter mettere, nelle mani della neonata Quinta Repubblica, la spada della vittoria. Gli si può credere. Si direbbe che egli provi una specie di voluttà di fronte all'avversione popolare; più Debré si sente inviso, e più si irrigidisce nei suoi atteggiamenti duri, ingrati. Nicola Àclelfi