Tutta l'Italia di Luigi Salvatorelli

Tutta l'Italia Tutta l'Italia La lettura del primo capitolo de L'Italia di Roberto Almagià, grandiosa opera di sintesi geografica (ed. Utet, Torino, in 2 voli, riccamente illustrati), mi ha reso chiara una nozione che fino ad oggi era rimasta per me imperfetta, e potrei dire indistinta. Non mi ero, cioè, reso ben conto del fatto che l'antichità greco-romana, maestra alle età successive (fino ad oggi compreso) per le facoltà e le discipline più elette dello spirito, fosse rimasta indietro in fatto di geografia. I navigatori ellenici, dopo quelli cretesi, micenei, fenici, fecero opera magnifica, in una serie di secoli, per la conoscenza pratica dei mari, delle isole, e delle coste mediterranee e (più limitatamente) dei relativi retrotei: ». Ala gli scienziati e gli scrittori greci, in fatto di raccolta e sis*.emazione di notizie geografiche e geoantropiche, non furono alla pari con loro. Abbondarono i Peripli, o descrizioni delle coste a uso dei naviganti; e questi si arricchirono via via — cito dall'Almagià — « di notizie anche etnografiche, storiche, commerciali »; ma <t di descrizioni geografiche sistematiche, nelle quali tutti gli elementi fisici ed umani abbiano coordinatamente il loro posto, i Greci non ce ne produssero mai neppur più tardi. E tanto meno i Romani ». Anche le grandi Geografie di Strabone e di Tolomeo, per ragioni diverse, non fecero eccezione. L'Italia non è stata più fortunata delle altre regioni mediterranee. In Strabone troviamo per essa — cito ancora dall'Almagià — <t una descrizione dei popoli, dei loro usi e costumi, delle città, delle strade; ma un quadro di come si presentava allora l'Italia nei suoi aspetti e nei suoi paesaggi lo cercheremmo invano ». Per il maggior tratto del Medio Evo codesta mancanza di una descrizione geografica dell'Italia non solo persiste, ma si aggrava. Se c'è una eccezione parziale, questa proviene da geografi arsbi, principalmente da Edrisi (o Al-Idrisi), vissuto alla corte di Ruggiero II, a Palermo, che nella sua descrizione generale del mondo di allora, nota col nome di Libro di Ruggiero, dedicò particolare attenzione all'Italia. Ma quale curiosa rappresentazione (testimoniata dalla carta da lui disegnata) egli si faceva del nostro paese! La Sicilia, con isole intermedie come Lipari e Capri, fronteggiava Napoli e Roma; Abruzzi, ■Marche, Toscana risultavano quasi alla stessa latitudine della Lombardia. E' proprio nella cartografia che si ha intorno al 1300 il primo grande progresso, a opera di noi italiani e non solo per le coste italiane, ' ma anche per il resto del Mediterraneo. Poco dopo, nel corso del Rinascimento, compaiono anche le prime descrizioni generali dell'Italia, con l'Italia illustrata di Flavio Biondo e la Descrittione di tutta Italia di Fra Leandro Alberti, a metà rispettivamente del Quattrocento e del Cinquecento. Al principio del Seicento l'astronomo G. A. Magini apprestava un atlante regionale d'Italia, « che rappresenta un progresso enorme ». Ma per una adeguata descrizione sistematica dell'Italia si aspetta ancora per secoli: ancora nella prima metà del secolo XIX prevale, nella pur progredita scienza geografica, l'indirizzo statistico-storico, e altresì lo studio delle singole regioni, anziché di tutto il « Bel Paese ». Insomma, è solo dopo l'Unità, e addirittura verso la fine del secolo XIX, che si hanno descrizioni geografiche generali dell'Italia degne di questo nome, come quella facente parte della grande opera La Terra diretta da Giovanni Marinelli. E oggi, nella prefazione datata 1 gennaio 1959, l'Almagià può affermare che la sua opera è « la prima descrizione geografica dell'Italia di notevole ampiezza composta da un solo autore italiano, da oltre mezzo secolo in qua ». Che cosa s'intende, allo stato della scienza odierna, per « descrizione geografica dell'Italia », sistematica e integrale? Piuttostoché dare una definizione teorica (per la quale non posso riconoscermi nessuna competenza personale) preferisco tratteggiare rapidamente lo schema dell'opera dell'Almagià, che in fatto di geografia — e più particolarmente di geografia antropica — è universalmente riconosciuto come una delle maggiori personalità viventi. Dopo le notizie introduttive sulla storia della disciplina, l'Almagià incomincia, come è logico, da una breve storia geologica della penisola, che non è davvero il capitolo meno interessante. Le variazioni di aspetto dell'Italia fisica, attraverso le diecine e diecine di millenni dei periodi geologici, hanno qualche cosa di suggestivo, e direi quasi di affascinante. I dati esposti — con la chiarezza e concisione che sono uregi fondamentali di tutta l'opera — sono resi immediatamente visibili in sintesi grazie alle cartine, facenti parte del cserVPrucsrAANVecdlVzsscm(dfisbtnelcnsgt corredo illustrativo. Il quale, secondo le tradizioni della Casa editrice, è di una ricchezza, varietà e perspicuità ammirevoli. Vediamo così, per esempio, nel Pliocene (ultimo periodo terziario) l'Italia peninsulare ridotta a una ristretta striscia occidentale, che lascia il sito delle future Pisa, Roma, Napoli nel Mar Tirreno, e dall'altra parte Bologna, Ancona, Pescara, Bari nel mare Adriatico, il quale sfiora al Nord, nell'Italia continentale, Verona, incoia Milano e Torino, e si spinge a battere le Alpi occidentali. In compenso più tardi, nell'epoca glaciale, troviamo l'Istria saldata alla prospiciente Venezia e i fiumi padani avanzarsi trionfalmente là dove adesso è l'Adriatico settentrionale. Segue quindi l'Almagià illustrando gli agenti fisici che, anche adesso, modellano, e cioè modificano la superficie italiana (acque, ghiacci, vulcanismi, bradisismi). Tratteggia i lineamenti fisici delle penisole: mari e coste, Alpi e paesaggi alpini e subalpini, la pianura padana-veneta, l'Appennino e l'Antiappennino e i rispettivi paesaggi, aspetti e paesaggi delle tre grandi isole; e poi ancora caratterizza il clima d'Italia, nelle sue costanti e nelle sue variazioni, le sorgenti, i fiumi e i laghi, la vegetazione e la fauna. Il termine « paesaggi », sistematicamente adoperato in queste descrizioni, deve essere inteso curri grano salis, avuto riguardo cioè al carattere dell'opera. Nessuno potrebbe ragionevolmente aspettarsi diffuse descrizioni di carattere esteticoturistico. Tuttavia non mancano cenni rapidi sorpassanti la pura descrizione fisica e preparanti al gusto e godimento paesistico: il che, in un'opera di questo genere, è pur notevole, e altresì piacevole. E qui più che mai soccorre l'ottimo apparato illustrativo di cui ho parlato sopra. * * . Uno dei criteri fondamentali della descrizione geografica integrale, come giustamente la teorizza e la pratica Almagià, è l'accoppiamento dei dati antropici a quelli fisici: accoppiamento che non è semplice giustapposizione, o successione materiale, ma relazione organica. La terra, si sa, influisce sull'uomo, e l'uomo influisce sulla terra: e soltanto dal circolo di questa reciproca influenza emerge la fisionomia esatta e completa di una qualsiasi regione della terra. E così, nel capitolo tredicesimo Almagià ci parla brevemente dell'uomo preistorico in Italia, e quindi dei successivi e contemporanei popoli storici che l'hanno abitata: introduzione opportuna per passare a tratteggiare i caratteri antropologici delle genti italiane, e a discorrere di dialetti italiani, di alloglotti e di allogeni. Segue un'ampia trattazione demografica: distribuzione della popolazione, caratteristiche e tipi delle abitazioni familiari e delle città; densità, incremento, emigrazione, immigrazioni interne, spopolamento montano. Con quest'ultimo argomento, siamo già sul limite delle trasformazioni storiche del suolo, a cui è dedicato tutto un capitolo successivo. Le bonifiche vi campeggiano: larghissima l'esposizione della bonifica integrale dell'Agro Pontino. Si viene poi, con due ben nutriti capitoli, all'economia attuale : agricoltura, industria, commercio. Utilissimo e indispensabile, qtaaaqvmnrsgnszstendccrdfccsm questo quadro analitico e sintetico dell'economia italiana è più adatto alla consultazione che alla lettura. Questa ridiventa di attraente varietà rappresentativa quando, con l'intermezzo di brevi cenni introduttivi sull'ordinamento politico dello Stato italiano (in particolare, sull'istituto regionale), l'autore passa in rassegna, in tre vasti capitoli, le regioni e città dell'Italia settentrionale, centrale, meridionale e insulare. Qui le virtù della integrazione tra dati fisici e antropici, storici e geografici, e la congiunta capacità dell'autore di concisa ed efficace caratterizzazione fanno la prova migliore. Vedute d'insieme delle regioni, e particolari delle città, e per queste richiami storici, condizioni attuali, rilievi del nesso fra topografia della città e aspetto urbanistico, formano la lettura più adatta per chi voglia avere innanzi agli occhi, in poco tempo, la realtà viva dell'Italia molteplice e una. Inevitabili saranno, per effetto sia di codesta molteplicità a cui non è facile applicare un metro uguale, sia dell'attaccamento naturale di ciascuno alla propria regione e alla propria città, piccole insoddisfazioni e critiche particolari. Io umbro, ad esempio, non saprei facilmente acconciarmi al fatto che chi ha saputo così bene schizzare il profilo, poniamo, di Novara, si limiti a nomi nare Assisi e Todi; ne trovo adatta la definizione per l'Umbria di regione « di passaggio », che potrebbe far credere a una mancanza di fisionomia specifica, di alta categoria. Ma queste sono, ripeto, osservazioni particolari che nulla tolgono alla grandezza e bellezza dell'opera d'insieme. Luigi Salvatorelli

Persone citate: Flavio Biondo, Giovanni Marinelli, Greci, La Terra, Leandro Alberti, Magini, Ruggiero Ii