Due volti del Giappone

Due volti del Giappone Due volti del Giappone Del Giappone abbiamo avuto due immagini contraddittorie: uni è più antica, tutta amabilità e fragranza poetica, e risale, per vie diverse, a Pierre Loti e a Lafcadio Hcarn (ma chi li legge più? ) e un'altra è moderna e francamente, fino a quest'ultima guerra, è apparsa odiosa, perche aggressiva e feroce. Ricordo i segni della dominazione giapponese in Manciuria; non c'era dubbio, facevano pensare al nazismo. Poi ci fu la tragedia di Hiroshima che velò di lutto l'umanità e ancora oggi la ossessiona; nacque intorno a quel paese una pietà grande, esso stesso divenne un simbolo dell'orrore di ciò che ancora può attenderci. E sono giunti anche fra noi : film che rive'ano nel tempo stesso un antico rn^ndo gentile e un senso nuovo, audace, doloroso e serio, cioè critico, della realtà presente. Sono reali contraddizioni? Un italiano che c'è stato, anzi, per le esperienze fatte e l'animo che le ha guidate e risolte, un europeo, Mario Gromo, tornato più volte questi ultimi anni in Giappone, dice che non di contraddizioni bisogna parlare ma, oggi è più chiaro ancora, di sopravvivenze. E' un paese che ha patito con la sconfitta del '45 la più grande prova della sua storia, forse è a una svolta, ancora non s'intravvede quale, subisce influenze, consentendo o paventandole, così orientali come occidentali (di civiltà occidentale, come l'americana), non rinnega il suo retaggio etico, civile e artistico, ma il suj oggi è indirizzato sicuramente al domani, insomma è in quello stato crepuscolare di ogni età al trapasso, con un volto indefinito. Hi un governo conservatore e forti spinte popolari di carattere socialista, ne più né meno che parecchi altri paesi europei ed extraeuropei, eppure il suo passato, la tradizione plurisecolare che confina con la leggenda non è o non si palesa una remora, una palla al piede, un anacronismo contro il quale armarsi d'ironia e di disprezzo, è qualcosa che vive ancora, o sopravvive, forse si amalgamerà con la civiltà futura, resistendo senza contrasto, sciogliendosi in essa, senza dissolversi prima per inanità. Che cosa ci può dare un'idea di queste sopravvivenze meglio di alcune immagini e notazioni trascritte da Gromo nel suo Taccuino giapponese (che inaugura una nuova attività editoriale del vecchio Paravia caro alla nostra infanzia e adolescenza di scolari)? L'imperatore del Giappone che solennemente dichiara nel 1946, costrettovi dagli americani, di non essere più un dio, un Figlio del Cielo, e i giornali che « non meno solennemente affermarono che bisognava credergli, perché un dio, un Figlio del Cielo, non poteva certo sbagliarsi »; il coltivatore di perle Kokichi Mikimoto che sacrifica milioni di ostriche per avere perle perfette e, preso poi dai rimorsi, innalza un tempietto alle « anime » di quelle ostriche sue vittime; maestro Kodama Kioto pittore che con tutta la forza della sua arte resiste « al nuovo per il nuovo, all'arido, al posticcio » ed è popolarmente ammirato; la donna «che vuol essere donna », alla quale il dopoguerra ha dato una insospettata libertà di azione, di costume, ma sopporta ancora l'esercizio servile della geisha senza diminuirsi, anzi quasi sublimandosi in una arcaica perfezione di femminilità mansueta e gentile, aristocraticamente complicata; tutta questa gente infine, grande o minuta, ricca o poverissima, che lotta per vivere, troppo numerosa per una terra piccola e avara, ma non dimentica mai di ornare di un fiore la sua casa di legno e carta, che soggiace come un formicaio a tutte le prepotenze crudeli della natura, ma non perde il sorriso, non l'abitudine dell'inchino umile e cortese, anche davanti alla sventura, e, sotto il vento impetuoso della vita moderna, s'intrica ancora in simbologie raffinate, in superstizioni, in artifici tanto abili da risultare spontanei: ecco questa mescolanza, parte razionale, parte sentimentale, che formi ai nostri giorni il carattere, o almeno l'aspetto più evidente e più curioso del carattere giapponese. Che la filosofia o pratica dello « zen » c'entri per qualche verso non saprei dire, non intendendomene c, !•■ confesso, trascurando d'intendermene I anche Cromo non se ne preoccupa) e chi voglia legga' il libro di Alan W VVatts, /.ii via dello zen, pubblicato in c-uesti .morni dal Feltrinelli, e forse ci troverà qualcosa che lo aiuti ad approfondire le ragioni di quei carattere, di quella educazione Gromo per ca pire ha scelto una strada che non è mai sbagliata, una strada certamente classica: le reiterate ini pressioni e la storia alla mano il SU" libro resterà un documento assai vivo .lei Giappone odierno, eh. vivrà più a lungo di noi lo terra un giorno sott'occhio pei riprendere il racconto da quel punto e stabilire i confronti. (A parte questo valore testimoniale, c'è naturalmente quello letterario, di chi ha scritto racconti e romanzi; ricordo, a caso, il rock V roti di due timidi ballerini che diventa quasi un minuetto, il robusto ritratto di un maestro di lotta, e quello del re delle ostriche, vestito di irreprensibili kimono e la bombetta sulle orecchie a ventola: risalti, che danno forza a tante spicciole osservazioni). Ma c'è qualcosa che fa il vero scrittore di viaggi, cioè, intendo, lo scrittore per cui il viaggio è un accrescimento umano e un pensiero che si paragona con una esperienza, una curiosità che diventa fatto spirituale, insomma cultura levitante in fantasia, e non è il semplice « resoconto » con la sua famosa obiettività, ma l'animo con il quale egli cerca (è il caso di Gromo) la sua vena di dolcezza, l'incanto di un ideale che gli è caro (e qui è la fantasia sempre accesa di quel popolo, la cortesia rituale che dà a ogni contatto l'illusione di rispettosa confidenza verso l'essere umano). I libri di viaggiò praticamente si dimenticano, anche quelli seri: il tempo li distrugge, solo col mutare delle nozioni. Tanto più oggi che l'esotismo disgusta e i rapporti dei viaggiatori hanno ambizioni di scienza. Resistono i libri ispirati da una idea o da un sentimento, che vivono fusi con la storia dello scrittore quando anche cessino di contare nella bibliografia di un paese. Sotto questo aspetto il libro sull'India di Gozzano è bello e durevole, e tale è, giacché me ne viene in mente un altro sull'Oriente minore che sospetto quasi sconosciuto fra noi, Eothen dell'inglese Kinglake; questo di Gromo penso che abbia in sé uguali garanzie di durata. Perché lo investe uno spirito altrettanto forte quanto quello dell'osservazione, l'amore per tutto ciò che di incantevole ancora resiste laggiù, in un incerto destino di tramonto o di superstite vitale continuità. Senza dubbio, la vita futura del Giappone volgerà verso un assestamento più democratico di quello odierno, forse il Giappone riuscirà a condizionare la sua diffìcile esistenza in un equilibrio originale fra Cina e America, è probabile che i contrasti fra l'antico e il nuTvo (treni meravigliosi e trasporto manuale) scompa¬ Hiiiiiiiiiiiiiiiiinii 11 ili mini riranno, ma come essere certi che tanto affascinante singolarità delle tradizioni, sparendo, migliori i1 livello spirituale del Giappone? Non che Gromo perda davantra così ineffabile, quasi bambinesco, candore il gusto della malizia; ma il suo amore è sincero, perché vi scopre una ragione tanto connaturale da vincere ogni diffidenza o ironia. Forse tutta quella minutezza tipicamente ostinata e cerimoniosa dei giapponesi, i>1 confiti:: fra il lezioso e il commovente, è in qualche rapporto con la loro « arte di ottenere il molto con il poco », arte che è propriamente dei poveri, e perciò si spiega quel che Gromo dice al principio del suo taccuino che il Giappone « può meglio comprenderlo chi sin nato povero ». Franco Anfaniceli!

Persone citate: Alan W Vvatts, Franco Anfaniceli, Kodama Kioto, Mario Gromo, Pierre Loti