C'è un «pretendente» al trono di Napoli e qualcuno sembra prenderlo sul serio

C'è un «pretendente» al trono di Napoli e qualcuno sembra prenderlo sul serio Una Ingenua espressione del malumore meridionale C'è un «pretendente» al trono di Napoli e qualcuno sembra prenderlo sul serio // principe Ranieri, nipote dell'ultimo re delle Due Sicilie, ha visitato la capitale dei suoi avi • E' stato il pretesto per qualche nostalgia borbonica: contro la verità e contro la storia, taluni pensano a quei tempi come ad un "paradiso perduto,, - Ma i primi a protestare sono i napoletani colti e coscienti l , e (Dal nostro Inviato speciale) Napoli, aprile. Una delle sorprese che vivacemente colgono il visito-. tore dì Napoli, in questo piovoso inizio di stagione, è un certo umore « neo-borbonico », vago, fluttuante, che fa capolino un po' dovunque, e si appoggia sull'idea che ai tempi del regime borbonico si stava mèglio, tutto sommato, di oggi. Si tratta di uno stato d'animo che prende particolare risalto se si pensa che il paese si appresta a celebrare il centenario dell'impresa di Garibaldi. Può darsi che, nei giorni scorsi, a rafforzare il vento di nostalgie, abbia contribuito un avvenimento curioso: l'arrivo a ìfapoli del principe Ranieri di Borbone, gran maestro dell'ordine co¬ stantiniano, attorno al quale si riconoscono i partigiani della scomparsa monarchia. Per quanto possa sembrare incredibile il principe Ranieri, che volge intorno ai settantasette anni di età e che, solitamente vive, con scarsi beni di fortuna, in quel di Fréjus (e pare che solo per un miracolo sia scampato al recente cataclisma), essendo figlio di un figlio di Francesco li (l'ultimo sovrano del reame di Napoli), è il c.pretendente » al trono di Napoli ed .il simbolo che fa palpitare i vecchi spiriti borbonici Non svelo un segreto, se riferisco che il « prete-'.dente », durante il breve soggiorno nella capitale dei suoi avi. è stato accolto e festeggiato, con molto calore, dagli ultimi rappresentanti di quel che Benedetto Croce chiamò « romanticismo legittimistico », fra cui brilla un generale in pensione, che senza preoccuparsi dei suoi legami con l'esercito italiano, dicono si tolga reverentemente il cappello quando passa innanzi alla statua di Carlo III in piazza dèi Plebiscito... Le calde accoglienze di taluni circoli a Ranieri, non sono che t'ultimo segno di certo vago borbonismo di ritorno, che si respira a Napoli in questi giorni. Tempo fa, in occasione della prima di un film con Peppino De Filippo, nel quale una popolana piglia a schiaffi Ferdinando II, un pubblicista insorse contro i' regista, accusandolo di vilipendere la monarchia napoletana, e volle persino sfidarlo a duello. Così è significativo il successo che, qualche tempo addietro, colse in molti ambienti cittadini un curioso personaggio, lo storico npagnuolo. Francisco Tajada, autore di iin monumentale volume nel quale si dimostra che tutto ciò che di grande e di degno ricorre nella tradizione della ex-capitale, si deve alla « Hispaniadad », mentre tutti i mali di Napoli camir. iarono l'infausto giorno dell'arrivo dei ^barbuti piemontesi». Spiega Gino Daria, che fu amico intimo di Croce, uno degli eredi più brillanti della grande cultura napoletana, che il € neo-borbonismo » è molto più diffuso di quel che non si creda. E' un umore, anzi un malumore di nuovo conio, che non si deve confondere col vecchio borbonismo gentilizio, quale si manifestò subito dopo il '60, per tanti versi rispettabile. Questo « neo-borbonismo » ha qualcosa di rozzo, incolto, e alligna in mezzo a gente che non sa nulla del passato, ignora persino la successione dei re di' Napoli, e che solo « per sentito dire » e per esercitazione fantastica, favoleggia della superiorità del regime borbonico su quello unitario: e del «mito» dell'ex-capitale che, prima del nefasto '60, sarebbe stata un « paradiso », perduto per colpa dei piemontesi. Sono gli stessi che vantano i «primati» del reame: la ferrovia Napoli-Portici, il varo della prima nave a vapore, lo sviluppo delle strade intorno alla città, il saldissimo regime finanziario (le due Sicilie erano lo Stato più ricco d'Italia), il mite peso del fisco... Uno degli episodi che, recentemente, ha rinfocolato gli spiriti borboni»«anti, è stato il racconto a puntate, su un quotidiano cittadino, dell'arrivo dei garibaldini a Napoli con la preoccupazione di non urtare la sensibilità dei «neo-borbonici». Ciò parre troppo a Francesco Compagna, direttore della rivista Nord e Sud, che in una lettera al giornale scriveva tra l'altro: « Siamo arrivati a questo punto, che si deve chiedere scusa ai Borboni prima di narrare la fine del loro regno ». La lettera fu come una scintilla che fa divampare un incendio. AI giornale giunsero una quantità di missive filo-borboniche. Tanto per dare un'idea, trascri¬ vo qui il pensiero di uno dei tanti corrispondenti napoletani: « Lo stato di regresso nel quale ci troviamo noi nel Mezzogiorno,-che .oggi tutti constatano, ■ -determina... il rimpianto un'epoca, 4i «ita più. JaciVe,. ovando , qui ftorivano'ìe'Industrie,'si era pionieri dèlie manifestaeioM di progresso e la cultura era di altissimo livello... ». Il < neo-borbonismo >, dunque, segnala la sua presenza battendo colpi sonori ed alla luce del sole. Tuttavia non si. tratta di un movimento che abbia un minimo, di forza politica, di rigore storico e ideologico: è una ennesima inanifestazione di quel,malumore uri, po' anarcoide, di quella vaga- protesta, di quel fluttuante ! malcontento meridionale, ohe a volta a volta animò il qualunquismo di Giannini, il <mito» di Achille Lauro (dietro al quale molti ravvidero un riflesso dell'antico re borbone), il successo del msi Ora che i vecchi miti della protesta meridionale — protesta contro l'idea del Nord profittatore dell'unità — sono in declino, ecco il bisogno di « sfogo » dirigersi verso il passato, che la immaginazione degli ignoranti circonda di un favoloso alone di felice prosperità e benessere. Ad. onore di Napoli, bisogna dire che il fantasma del « neo-borbonismo » si dissolve ogni volta che viene messo di fronte, scopertamente, al suo significato logico. Nessuno o quor si, a Nàpoli, manifesta seri spiriti a-nti-unitari, o separatistici: neanche paragonabili a quelli che, per esempio, soffiano iti Sicilia. Per contro sono unitari, unitarissimi, e benedicono il '60 i migliori rappresentanti della cultura napoletana, gli eredi di De Sanctis, di Settembrini, di Croce, che a giusto titolo portano il vessillo intellettuale della città. Di fronte ai loro studi approfonditi, gli argomenti dei nostalgici del tregno felice» si dissolvono come neve al sole. Recentemente Gino Doria ha rispolverato un li; bro dello storico lucano Giaj corno Racioppi — la cui unica introvabile edizione risale al 1871 — che dipinge un quadro documentatissimo delle condizioni del regno nel secolo XVHI: « leggerlo e rabbrividire, è tutt'uno ». (Sommessamente ci permettiamo di consigliare quanti si apprestano alla rievocazione del centenario della Unità, di promuovere la riedizione del prezioso volume del Racioppi: che di per se solo basta a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, ciò che fu veramente il crearne felice » dei Borboni). Alfredo Todisco