Onesta nostra dissennata esistenza

Onesta nostra dissennata esistenza Onesta nostra dissennata esistenza Fra le molte cause probabili dei malanni morali e intellettuali contemporanei (angoscia, nausea, indifferenza, insofferenza, ecc.), forse si è dato troppo poco peso alla nuova concezione dell'universo: una concezione che smentisce o distrugge tutte le precedenti, instaurando l'èra della relatività sulle vaste ceneri, ormai quasi del tutto fredde, dell'assoluto. Un'ottima occasione per rendersi conto del gigantesco mutamento è offerta anche al lettore non specializzato da due libri usciti in questi giorni. Il primo è Copernico e il suo mondo di Hermann Kesten (Ed. Mondadori): una biografìa non romanzata, anzi scrupolosissima, e tuttavia condotta con uno stile immaginoso, appassionato e non privo di punte di ironia, secondo l'inclinazione di questo scrittore tedesco che abbiamo il piacere di annoverare da qualche anno fra gli ospiti stabili di Roma. La vita del « più grande rivoluzionario del millennio » è colta in tutte le sue vicende umane e scientifiche, ma l'intero libro si proietta nel futuro, analizzando cioè il grandioso fermento di idee e di scoperte suscitato da Copernico in altri uomini di genio: fino a Galileo, a Newton e a Einstein. E appunto ad Einstein si riferisce il secondo libro: L'A B C della relatività di Bertrand Russell (Ed. Longanesi e C). Anche il Russell, come tutti sanno, è un umorista sottile e bonario, ma in questo trattatello egli si adopera soprattutto a semplificare all'estremo una materia della quale molti parlano e che ben pochi conoscono; e perfino chi è quasi digiuno di matematica riesce a ricavare dalla lettura un'idea non troppo approssimativa di quest'altra « rivoluzione », che darà forse l'impronta più profonda ai secoli futuri. Ma, ripeto, i due volumi sono importanti anche per le riflessioni che possono suscitare nei riguardi della nostra esistenza attuale. Già il passaggio dall'universo tolemaico al copernicano era stato causa di smarrimento e talvolta di di>,perazione perfino negli spiriti più avvertiti: come se — è il caso di dirlo — fosse loro mancata a un tratto la terra sotto i piedi; e benissimo ha fatto Kesten a ricordare le parole, come sempre serene e illuminanti, di Goethe, il quale, ricordata la <t sfida » copernicana, avverte come con essa si fosse dissolto « un secondo paradiso, un mondo di innocenza, di poesia e di pietà, la testimonianza dei sensi, la convinzione di una fede poetico-religiosa »; e come fossero ancora pochi coloro che nella nuova teoria vedevano una più grande libertà di orizzonti e una «insospettata grandiosità di sentimenti ». Ora, il passaggio dal nuovo órdine di Copernico alla « anarchia» (la parola è usata dallo stesso Russell) dell'universo einsteiniano, può avere conseguenze anche più gravi. Accettando, come sembra inevitabile, la relatività, si elimina ogni residuo rapporto scientificamente apprezzabile con i nostri sensi. Non esiste più nulla che possa riferirsi alla soggettività, e non è più possibile; forse neppure nella finzioni artistica, contrapporre il mito chi rendeva l'uomo re del creato alle incalcolabili possibilità dei mondi in espansione. Da Copernico avevano preso l'avvio l'Illuminismo, il Razionalismo, infine il • Naturalismo. Da Einstein, o meglio da tutta la fisica moderna impegnata in una rìUda paurosa di ipotesi dalle quali non sorge nessuna legge adeguata al nostro intendimento, che cosa potrebbe mai nascere? In verità, noi siamo in un tempo da crepuscolo degli dèi. La perdita di un secondo paradiso, della quale parlava Goethe, aveva tuttavia un esaltante compenso : la Terra non era più il centro dell'Universo, ma obbediva a una superiore armonia, regolata monarchicamente dal Sole; è non mancò chi, come Keplero, asseri di intendere l'osannante musici dei pianeti. Ora non più. Il regno dei cieli esclude qualsiasi autocrazia materialistica, e il nostro sole è ridotto alla funzione di un modesto fanale in una stazionerà di provincia. Le galassie rincorrono un infinito che forse neppure esiste, le stelle nascono, appaipno, scompaiono, esplodono, e lo spazio è indissolubilmente legato al tempo, cosicché più nulla rimane accessibile alle nostre facoltà sensorie, i soltanto la pura astrazione intellettuale può accostarsi a leggi scientificamente fondate. Ebbene, anche senza perdere il sonno a pensarvi su, anche senzi quasi porvi mente, questa inopinata e tragica conoscenza dell'Universo influisce sui comportamento di tutti noi. Negli anziani, in coloro che ebbero una infanzia ancora soccorsa dalle favole e dai miti, si ingenera una profonda malinconia. Il mondo copernicano li esortava naturalmente al rispetto delle antiche convenzioni, o, fra i più audaci, alla creazione di nuove norme che, in ogni caso, tenessero conto di una presenza divina o umana determinante : soprattutto nelle arti, ma anche nella speculazione filosofica, la quale ben di rado si opponeva al riconoscimento di un supremo ordinatore. É questi anziani, nell'impossibilità di rinnegare- un mondo dal quale hanno tolto la ragione di tutta la loro vita, finiscono col vedere nel presente null'altro che un brutale disfacimento, una nuova barbarie, un'oltraggiosa rinuncia ai beni dello spirito; e anche quando si persuadono di aver torto, si lasciano andare alla loro ostinata negazione come all'unico conforto possibile. Per i giovani è ancora più difficile. L'universo einsteiniano li eccita e al tempo stesso li deprime. Di esso accettano la ribellione alla sistematicità, il perpètuo mutamento, perfino l'inafferrabilità dei fini; ma se vogliono sentirsi vivere come la natura comanda, debbono addirittura « fingere » che quell'universo non esista. Per limitarci alle arti, i giovani si rifugiano, obbedendo all'istinto, nell'ambito del tutto umano dei -sensi, oppure si abbandonano a una specie di follia raziocinante che ripete le stesse presunte assurdità della nuova fliiiiiiiiHiiiimiiiNmiiiiiiiiNiniiiimiiiiiiiiiii cosmogonia: cosi giungendo all'arte tutta forma o tutta contenuto, due vere e proprie « inesistenze » per le estetiche tradizionali, ma oggi largamente ammesse nelle loro manifestazioni estreme: il formalismo assoluto di certa poesia e il contenutismo senza remissione della pittura informale (non la pittura rigorosamente astratta, la quale anzi rivela una drammatica nostalgia di ordine e di equilibrio intellettuale). Fuori dell'arte, l'influsso delle nuove cosmogonie si manifesta ogni giorno nell'atto gratuito, nella passività sorniona e neghittosa di fronte alle leggi, e infine nel ricorso elusivo e privo di passione alla sensualità. In altre parole, questa sarebbe l'unica conferma, all'infuori da ogni assurdità astrologica, che le stelle ci governano; o almeno ispirano la nostra sempre più precaria e dissennata esistenza. Non occorre avvertire che tutto il nostro discorso sarebbe smentito dal più semplice intervento teologico. Qui si voleva soltanto mettere in rilievo la condizione di un'umanità che, rifiutando o ignorando tanto il razionale quanto il trascendente, ha davanti a sé una sola speranza: che la scienza futura scopra un nuovo mirabile e rassicurante disegno in questo divampare, disgregarsi, fuggire di mondi, sicché finisca l'odierno richiamo al feroce, cieco arbitrio del caos primigenio. G. B. Angioletti wiimiim

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