Vita degli italiani nell'Africa nera di Giovanni Giovannini

Vita degli italiani nell'Africa nera — NON SONO PIÙ' I TEMPI DEL "POVERO EMIGRANTE» — Vita degli italiani nell'Africa nera Si diceva nel Congo che ad ogni chilometro di ferrovia fosse caduta una vittima italiana - Oggi i nostri connazionali sono un tolto gruopo di costruttori e di impresari, dove prevale il dialetto piemontese - La maggior società di navigazione sull'immenso fiume sorse con mezzi giunti dal Lago di Como - Le ex-colonie offrono larghi campi di lavoro e di guadagno per chi ha capito la realtà del mondo nuovo; e purtroppo qualche tentazione anche per i ^magliari» (Dal nostro inviato speciale) Lagos, marzo. In un'Africa tutta in. movimento, con gli europei che stanno passando i poteri nelle mani dei nuovi capi locali, con un'infinità di razze e partiti indigeni spesso in contrasto fra loro, con una moltitudine di agenti più o meno camuffati di questa o quella potenza, spostarsi dall'uno all'altro dei paesi africani è diventato difficile: autorità di, polizia e doga¬ iiiiitiiiiiiiitiiiitiHiiiiiiiintiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii nali bianche e nere sono di un rigore estremo, non si arriva e non si parte se passaporti, visti, documenti sanitari eccetera non sono più che in regola. E' un vaglio al quale nessuno sfugge, nessuno tranne i più incredibili personaggi che abbiano fatto di questi tempi la loro comparsa sul continente nero: i « magliari > napoletani che stanno spuntando a decine in Congo e in Nigeria, arrivando non si da come, incu- iifiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii ranti di tante formalità di frontiera, magari senza passaporto ma con enormi valige piene di stoffe. (Tessuti così meravigliosi che qualche incauto acquirente nero se li è visti dopo qualche giorno letteralmente liquefare tra le mani: misteri della chimica bianca e del rovente sole africano). Un particolare sistema per arrivare alla buona da queste parti, fu illustrato al nostro console a Lagos, Albini, da un giovanotto che tempo addietro gli bussò di notte alla porta di casa: imbarcatosi come clandestino a Genova su una nave che faceva rotta per Port Harcourt, era stato subito scoperto e chiuso in una cabina; ma appena in vista della costa nigeriana, era saltato in acqua giungendo felicemente a terra dopo aver attraversato a nuoto un tratto di mare ed uno di laguna, dove nessun negro immergerebbe per un attimo un piede tanto sono fitti prima i pescecani e poi i coccodrilli. E ora, con addosso soltanto un paio di pantaloni, senza un documento e senza una lira, era davanti al console a chiedere come, dove, quando, e a che condizioni poteva trovare lavoro: stupitissimo nel sentirsi invitare ad una passeggiata in macchina, fino alla prigione (aveva fra l'altro alcuni conti aperti con la nostra giustizia). Contro clandestini e magliari, i rappresentanti italiani sono costretti ad impegnarsi a fondo non solo per un preciso dovere verso il paese ospite, ma anche per tutelare il prestigio dei nostri connazionali che operano e vivono in Congo e in Nigeria. Un prestigio eccezionale: forse non è stata la minore sorpresa di tutto il nostro viaggio lo scoprire una presenza, italiana cosi •notevole, quantitativamente, e qualitativamente, trovare connazionali non alle prese — come in troppe parti del mondo — con i lavori più ingrati ma con posizioni buone e qualche volta di primissimo ordine, non imbattersi mai in uno spostato o in un « povero. E non si tratta di poche unità: in Congo, gli italiani sono quattromila, inferiori in numero —• belgi a parte — solo ai portoghesi, superiori a tutti gli altri. Oià con i primi nostri emi-' grati, erano venuti in Congo anche professionisti, medici, ufficiali e . sottufficiali, elementi che nei primi decenni del secolo formavano in certi settori il nerbo della burocrazia coloniale: oggi hanno 111 ; 111111M11111M111 1111J t r 1111111 ri 111 II I 11 1111 [S i i a o , ù i o i e a o ceduto il posto a belgi, sono praticamente scomparsi. Ma sono scomparsi anche gli eroici miserabili che erano arrivati in Congo mettendo una dopo l'altra per migliaia di chilometri le traversine della ferrovia da Città del Capo, a ' Elisabethvllle e a Port Franqui, o quelli che avevano realizzato l'unica altra ferrovia importante da Matadi a Léopoldville, breve ma dal tremendo tracciato. Molti sono scomparsi materialmente (<. è morto — dice la gente del Katanga — un congolese ad ogni traversina e un italiano ad ogni chilometro >); ma il grosso è sempre qui, trasformato da disperata massa bracciantile in élite di imprenditori che non teme concorrenza, che tiene il campo anche contro le maggiori imprese belghe. E' difficile sbagliarsi: ad Elisabethville come ad Vsumbura, a Léopoldville come a Lagos, le strade, gli edifici, i quartieri più belli sono opera di italiani. O, semplicemente, sono di italiani. Nei due migliori alberghi di Elisabethville la lingua di uso corrente è l'italiano, insidiato nella sua supremazia non tanto dal francese dei belgi, quanto dal dialetto dei piemontesi, che vengono in gran parte dai biellese Brusnengo, e da quello degli abruzzesi di Galliano Aterno. Gente diversa anche nell'aspetto dalla tipica dolorante figura dell'emigrante italiano: pezz\di uomini dal corpo robusto, "dallo sguardo fermo, dall'aria sicura, noti fra tutti gli europei per la serietà e l'onestà assoluta (non si ricorda un caso di qualcuno che abbia sgarrato). Certo molti anziani, dopo trenta o quarant'anni di vecchio Congo, sono portati a pensarla come i coloni belgi, trovano duro adattarsi ai nuovi tempi, all'idea che siano i neri a comandare, e discutono interminabilmente sulla opportunità di tornare a casa, a Brusnengo o a Galliano Aterno. Ma il grosso non la pensa così, ha fiducia, fa venire altri giovani dall'Italia. Ad Usùmbura, capitale del Ruanda Urundi, trovo una nostra colonia di trecento persone che sta méttendo su un circolo italiano con relativa lussuosa sede sotto la guida di un vecchio del Congo, il signor Ferdinandi, che è venuto qui trenta anni addietro a cercare miniere, e di un giovanissimo dott. Prina, uscito da pochi mesi dalla Facoltà torinese d'economia e commercio e che si sta occupando di automobili. Arrivo a Kitega, capoluogo dell'Urundi, dove i pochi europei sono quasi tutti italiani che controllano l'intero settore strade, trasporti, costruzioni: c'è un impresario che per curare le' sue attività sparse in un territorio immenso va e viene in aeroplano. Non ho il tempo di andare più a nord nel Kivu (ed è un peccato, sono terre fra le più belle del mondo), dove l'industriale- forse più noto del Biellese ha comprato di recente una grande piantagione. A Léopoldville, una delle più splendide città moderne dell'Africa, il quartiere più incantevole — tutte ville disseminate su una collina intera — è opera dell'italiano in- ' gegner Campo; e ad un italiano questa metropoli deve il collegamento con la città che la fronteggia dall'altra parte del fiume Congo, con Brazzaville, ex-capitale dell'impero equatoriale francese. Sullo specchio d'acqua largo cinque chilometri c'erano solo vecchie barche a motore, un quarto di secolo addietro, quando il signor Giovanni Fioroli pensò a dei motoscafi veloci e se li fece arrivare dal lago di Como, dando inizio ad un'impresa che oggi conta decine di navi vere e proprie, cantieri, centinaia di dipendenti. Di qua e di là del fiume ho trovato parecchia gente che non sapeva come a Brazzaville abbia dato il nome un esploratore italiano al servizio della Francia; ma nessuno, bianco o nero, ignora che è italiana la grande sigla della compagnia fluviale, la « Fima » (iniziali di Fioroli e del suo socio Maroncelli). Per gli italiani in Congo, non basterebbe un volume. Limitiamoci ad un cenno telegrafico sugli attuali rap- [ 111111111111S11M11 r 11111111M111111 i 111 ! 111111M1111 ! 1111 ^ porti economici fra i due paesi, con qualche cifra far- ■ nitaci dal dott. Pinelli, che dirige con eccezionale dinamismo e capacità il nostro ufficio commercio estero. Fra gli importatori dal Congo, l'Italia è al quarto posto, distaccata nettamente solo dal Belgio, ma inferiore di poco alla ' Gran Bretagna e agli Stati Uniti e superiore alla Germania (paesi tutti che dal '58 al '59 non hanno aumentato né diminuito, mentre noi abbiamo incrementato le nostre importazioni del 60 per cento, fino a circa ventidue miliardi di lire). Fra gli esportatori, siamo al quinto posto. Questi risultati — in un anno critico, come quello in cui il Congo si è avviato improvvisamente all'indipendenza — devono essere valutati positivamente, ai fini di un'ulteriore penetrazione su questo immenso mercato. Certo, ci dicono in Congo e ci ripetono in Nigeria, non c'è più posto in Africa per l'emigrazione eroica dei primi decenni del secolo, e tanto meno per quella picaresca dei magliari od altri avventurieri di oggi. Ma con. capitali adeguati agli obbiettivi, piccoli o grandi che siano, le possibilità sono ancora enormi. Trovatici una sera a Lagos in compagnia di molti italiani. entusiasti, chiedemmo a tutti un esempio pratico di « piccola possibilità ». « Eccolo — mi rispose pronto un noto grande impresario torinese. — Se qualcuno con qualche milione mettesse su a Lagos una lavanderia a secco, farebbe probabilmente fortuna, perché non ce n'è una in questa città che ha quasi quattrocentomila abitanti ». « E perché, scusi, non ci pensa leit». « Ho altro da fare, ho appena vinto un appalto del governo nigeriano per costruire ottocento chilometri di strade, un lavoro da sette miliardi di lire ». Dalla lavanderia a secco ad ottocento chilometri di stra¬ de: questa la gamma di possibilità che l'Afrièa offre ancora a chi disponga di capitali adeguati, a chi abbia il coraggio di affrontare un elemento di rischio in un periodo di profonda trasformazione storica, a chi — soprattutto — non pensi ai vecchi sistemi di facile sfruttamento. Poiché anche in campo economico, anche nei rapporti commerciali come in quelli politici, con i nuovi Stati africani non si può ormai trattare che in un modo: da pari a pari. Giovanni Giovannini

Persone citate: Albini, Giovanni Fioroli, Maroncelli, Pinelli, Port Franqui, Port Harcourt, Prina, Tessuti