La Lollo emigrante di lusso

La Lollo emigrante di lusso MOLTO STREPITO PER UN ESPATRIO La Lollo emigrante di lusso Si è fatto del chiasso, si sono esposti contrastanti motivi alla risoluzione dell'attrice di trasferirsi nel Canada - Si è parlato del figlio, di tasse, e persino di ragioni d'arte - Ma la fortuna della Lollobrigida fu quella di trovarsi a incorporare un tipo di bellezza, vistosa, doviziosa, italiana Sono cose che passano, splendori che fuggono: per difendersi la bella donna si avvili a copiare acconciature straniere, attenuò il suo fascino con esotiche sofisticherie - Ed ora, all'opposto di tanti che se ne sono andati per dura necessità, se ne va all'estero dopo essersi arricchita in patria (Nostro servizio particolare) Roma, 12 marzo. Occupiamoci dunque dell'espatrio della Gina non più nazionale. Di questo genere sono i problemi che muovono l'opinione pubblica, vicende di personaggi più o meno effimeri, avventure di minuscole ma chiassosissime ghenghe di viziosi di fannulloni d-esibizionisti, cantores et circenses, e fanno passa¬ re in ultima linea la politioa llllllIMllllliriIIIIDIIIIIUIIfliriflItlHIIIllllllllll» e la filosofia, la scienza e la poesia Bastano queste cronache a colmare la soddisfatta vacuità della gente, a contentarne l'inerzia di pensiero e di meditazione. I giornali che da una settimana danno colonne e grossi titoli alla vicenda espongono contrastanti motivi alla risoluzione di Gina Lollobrigida di trasferirsi nel Canada ed acquistare quella, cittadinanza. E prima di tutto, la sollecitudine di dare una patria al figlioletto al quale finora le autorità italiane avrebbero negato il passaporto. Ma ormai debbono averle spiegato ad abbondanza che se suo figlio non ha il passaporto perché ancora troppo piccolo, è italiano dalla nascita, per il solo fatto d'essere nato in Italia da madre italiana e da padre apolide: ope legis, senza che sia richiesta dichiarazione o scelta alcuna. Poi s'è detto che essa e il marito vogliono sfuggire ai rigori del fisco italiano con il quale certamente sono in contrasto da anni; le loro denunce non corrispondono mai agli accertamenti degli agenti delle imposte, e tre anni fa pensarono anche di cercarsi un migliore cielo fiscale trasferendo il domicilio a Sabaudia. Ma qui abbiamo una smentita del dottor Skoflc che ha solo il difetto di sonare un po' ironica, affermando egli che giudica il sistema fiscale italiano fra i migliori del mondo. Crediamo anche noi che sia il migliore del mondo, ma per i cittadini che non denunciano la verità e non intendono pagare; negli Stati Uniti e nel Canada le imposte si calcolano con aliquote molto più forti delle nostre e tali che oltre una certa somma assorbono quasi totalmente l'entrata; e non si può indugiare in cavilli e in opposizioni, e sperare in rinvìi e accomodamenti; chi non paga e non denuncia esattamente va in prigione; e se vuole cambiare cittadinanza paghi prima di tutto gli arretrati e finisca la prigione. Un funzionario delle imposte canadese li avrebbe già avvertiti, tvi accorgerete che le nostre leggi sono ben più dure di quelle italiane ». Prendo dunque atto della smentita del signor Skoflc; e rinuncio all'ovvio gioco di parole che m'è venuto subito alla mente attribuendo alla Gina con una lieve variazione la frase di Scipione l'Africano, « Ingrata patria, non avrai le mie tasse». I primi giorni leggemmo sui giornali un giudizio attribuito alla Elsa Maxwell, che la Gina < vuole rinverdire sulle sponde dell'Ontario la sua gloria ormai appassita alle pendici dei sette colli»; e questo potrebbe essere un più plausibile motivo: sente che la sua stella in Italia è impallidita, la gente non ha più per lei l'ammirazione di una volta, e vuole andare in un Paese dove la sua arte sia apprezzata con maggiore imparzialità. Ma se la bella Gina la pensa cosi è nostro dovere ammonirla che deve la celebrità, la ricchezza, la sua stessa ben pagata attività cinematografica a ben altro che alla sua arte che è piuttosto mediocre, e non soltant per colpa degli squallidi personaggi che le hanno dato da interpretare; e ad ogni modo era alquanto rudimentale quando già il suo nome aveva valicato le frontiere. (Essa mi ha sempre fatto ricordare Faustina, celebre mima del primo secolo; bravissima a fare sempre e soltanto una parte che non richiedeva né arte di recitazione né particolare vivezza d'atteggiamenti né meditato gioco d'espressioni; ma sapeva atteggiarsi a silenziosa statua, sorridente o triste, con i suoi attributi esposti nel modo più vantaggioso; e per questa sola abilità godette per lustri di smisurata celebrità in ogni parte dell'Impero Romano). La sua fortuna è stato il fatto d'una straordinaria avventura; di essersi trovata a incorporare un tipo ideale di bellezza femminile soda e doviziosa, di carne piena e di curve voluttuose, che risultò valido non soltanto >>ot suo paese ma in tutto il mondo. Anzi noi italiani la vedevamo forse più bbona che bella, più pacioccona che armoniosa di forme, con un viso più dolce che classico; ma per gli stranieri più sensibili assommava in sé le prosperose dònne dei pittori italiani dal secolo XV al XVIII, le Susanne del Guercino e del Tintoretto, le « Amanti > del Tiziano e di Paris Bordone, le cortigiane venete, le veneri e le baccanti bolognesi, tutte docilità e opulenza, la fronte angusta e sgombra di pensiero, una luce ferma di palude negli occhi neri e senza lampi. A questa sua rigogliosa venustà che sembrò impersonare per tutti l'èra dell'abbondanza dopo le carestie e le tribolazioni della guerra e inaugurare una nuova forma femminile riposante e serena dopo le aride donne in uniforme e le ausiliarie e le missionarie, essa deve quel suo imperio universale, clamoroso e misterioso, che per tanti anni l'esaltò su tutte le contemporanee. A questo successo portò il contributo d'una sua pratica intelligenza, d'una furberia di monta-, nara che seppe ben presto dove voleva arrivare e il modo migliore per giungervi. Ricordo il suo viaggio trionfale in America l'anno 195$; per trentacinque giorni essa occupò le cronache dei giornali, la radio, le copertine delle riviste più diffuse, Esquire, Life, Look, Collier's, This Week; anche l'ambitissima copertina di Time, che è un almanacco di Gotha contemporaneo; chi vi è effigiato è iscritto in una sceltissima lista di rinomanza universale, se è una donna essa è per una settimana la pin-up di tutto il globo. Non ci fu giorno di tutto quel mese che gli americani non se l'avessero per un'ora intera sullo schermo televisivo. Il presidente Eisenhouier s'affrettò a riceverla in udienza particolare. Quando partì dall'aeroporto di Idleivild accorse a salutarla con molte ore d'anticipo una folla immensa, ebbe onori ufficiali e militari. Una uguale tempestosa accoglienza trovò al suo ritorno in patria a Ciampino, tale da fare impallidire nel ricordo tutti i precedenti arrivi di regnanti di Dt'ncffori di pacieri. L'anno dopo sconfisse dopo fiera guerra Christian Dior che voleva tornare alle donne scarse di petto e di curve, d'accordo con i mercanti della moda e i fabbricanti di stoffe interessati ad un rapido cambiamento. Vinse pienamente la sua battaglia, e non soltanto perché rincalzata dall'industria americana della produzione in massa di mammelle finte, ma anche perché in quegli anni di splendore non si immaginava che alcuna donna potesse prenderne il posto. La sua rinomanza giungeva capillarmente alle classi più schizzinose o più umili; impose la sua pettinatura, la sua molle andatura, le vesti strette alla vita, l'espressione soavemente imbambolata. In Francia il suo nome entrò nel linguaggio popolare per indicare il seno e, per traslato, il latte; come appare dal Dictionnaire de l'Argot moderne di Geo Sandry e Marcel Carrère, pubblicato a Parigi nel 1953. In questa sua condizione di regina di bellezza universale s'era accomodata assai meglio che una regina del sangue. Aveva assunto con ammirevole incoscienza i gesti, gli atteggiamenti, la sicurezza di sé di chi aalla nascita è predestinata al trono. Ma oggi deve pur rendersi conto che la carriera di regina universale di bellezza è assai più labile di quella di un'attrice veramente degna del nome, che a mano a mano che avanza negli anni riscatta la giovinezza che se ne va con sempre maggiore maestria, e dà ancora brividi alle folle inoltrandosi nell'età matura. Ha raggiunto l'età nella quale la bella contessa di Castiglione stabilì di fuggire il mondo e serrarsi in una casa senza specchi per non assistere alla già iniziata o anche soltanto temuta decadenza. Ma la decadenza di Gina Lollobrigida da quella sua eccelsa condizione è cominciata già da qualche anno; da quando diventò infedele al suo tipo, e questo gli italiani hanno sentito forse per primi; quando dopo essere stata a lungo quel prototipo insostituibile, si avvilì a copiare le acconciature correnti prima in Francia poi ili America; e nell'illusione di rispondere meglio alle esigenze di produttori e di registi attenuò le fiorenti forme con una cura dimagrante, mutò la camminatura e la forma degli occhi e della bocca, assunse esotiche sofistecherie di gesti e di contegno. Un giornale francese ha scritto che la Lollobrigida in America ha imparato a emanciparsi dalla potestà maritale; <Non è più la timida moglie sottomessa, ma una donna autoritaria risoluta ad affermare la propria autorità ». Non vedo che c'entri un tale atteggiamento con l'espatrio. Il proposito d'andare a vivere stabilmente nel nuovo mondo a farsi o a rifarsi una patria nuova ci pare invece naturale per un apolide come il dottor Skofic. E'propria dell'apolide l'irrequietezza del mutar sede nella continua ricerca d'un luogo ove ci si possa trovare meglio, U considerare l'opportunità di scegliersi una cittadinanza che rechi determinati vantaggi; forse il dottor Skofic non domandò mai di diventare italiano perché non vedeva ancor chiaro nella faccenda, adesso si fa canadese perché in Canada è emigrato un suo fratello e ci si è trovato bene. Ma quanto appare semplice e naturale per il dottor Skofic non è altrettanto giustificabile per la Gina. Molti italiani credo considereranno con poca simpatia questa emigrante a rovescio che s'è fatta ricca in patria, e volta le spalle al suo paese per motivi che non appaiono convincenti. E forse della stessa opinione saranno gran parie di quegli italiani che sono emigrati non per capriccio ma per dura necessità; per molti dei quali il passaporto verde, la conservazione della cittadinanza d'origine è una ricchezza morale, è il rifugio dei giorni di nostalgia, è l'orgoglio di sentirsi diversi angiomi di nostalgia, è l'orgoglio di sentirsi diversi in mezzo alla gente straniera; è soprattutto la coscienza di un sentimento a cui forse non sanno dar nome, ma è più alto degli interessi contingenti. Quando nel 1945 a Trieste agenti jugoslavi facevano girare fra quei cittadini un modulo d'opzione per la Jugoslavia, dicendo loro < Con l'Italia creperete di fame, ma in Jugoslavia si nuota nell'abbondanza», rispose un popolano, « Mi no vendo la mare per comprar la madregna». Paolo MonellE