Il marchese De Cavi, pallido e assorto ascolta l'inesorabile arringa d'accusa

Il marchese De Cavi, pallido e assorto ascolta l'inesorabile arringa d'accusa Davanti a un9aula gremita di ex-clienti Il marchese De Cavi, pallido e assorto ascolta l'inesorabile arringa d'accusa L'avvocato di parte civile ha parlato per 2 ore - Passeggero malessere dell'imputato: già domenica aveva dovuto essere ricoverato in infermeria (Dal nostro corrispondente) Genova, 7 marzo. . L'odierna udienza del processo di secondo grado a carico dell'ex-banchiere Giannetto De Cavi è stata interamente occupata dall'arringa dell'avvocato Andrea Corte, ultimo patrono di Parte Civile, che nel dibattito rappresenta gli interessi del fallimento < Cimes » la più vecchia delle quattro aziende di prestigio create dal l'i nputato e, come le altre, largamente finanziata 'In dalla nascita col denaro dell'c Antic< Banco di via San Lorenzo. Giannetto De Cavi, seduto fra due carabinieri nel piccolo recinto ih legno riservato agli imputati in stato di detenzione, non ha quasi mai sollevato gli occhi verso il pubblico, oggi particolarmente numeroso e formato in larga parte da suoi ex-clienti. Pallidissimo, l'imputato a tratti si è scosso dalla sua immobilità per prendere qualche appunto su un taccuino. Versò mezzogiorno ha chiamato con un cerino uno dei suoi patroni, l'avv. Giovanni Salvarezza, e gli ha detto, di sentirsi poco bene. Un ufficiale giudiziario gli ha portato un bicchiere d'acqua minerale, nella quale P : Cavi ha fatto scivolare una pastìglia, e si è quasi subito ripreso. L'imputato ieri mattina in carcere, durante la Messa, era stato colto da un leggero svenimento, per cui aveva dovuto essere ricoverato In infermeria e fino all'ultimo momento, stamane, dopo aver trascorso una notte piuttosto agitata, era rimasto in forse se presenziare al dibattimento. Giannetto De Cavi ha cosi dovuto, durante due ore, ascoltare una dura, documentata arringa, dedicata in buona parte alla vita ed alla morte prematura della « Cimes », una società che ha procurato all'Imputato le più pesanti accuse. Lo stabilimento, costruito nel 1942 per la produzione di manufatti di lamierino zincato, venne smantellato in fretta e furia nel 1953 — per far posto alla fabbrica delle «fiale miraco lose > —, pochissimo tempo do po che l'imputato vi aveva investito sessantatré milioni di lire. Alla chiusura delle attività i periti fallimentari accertarono un passivo dì 1500 milioni, di cui 261 versati dal Banco di via San Lorenzo. La frettolosa liquidazione dello stabilimento ha provocato a carico di De Cavi due accuse di bancarotta fraudolenta (una per distrazione e l'altra per dì struzione) oltre a quelle di fai so in bilancio e bancarotta semplice. Dopo avere controbattuto le varie eccezioni di nullità sollevate dalla difesa dell'ex-banchiere, l'avv. Andrea Corte ha ribadito la propria sorpresa per l'improvvisa comparsa nel processo di taluni documenti relativi alla « Cimes >, dei quali prima non si conosceva neppure l'esistenza. « Queste lettere prodotte dalla difesa De Cavi — ha affermato — starebbero a dimostrare che la « Cimes» non fu smantellata per far posto allo stabilimento farmaceutico. Io affermo che questo fatto mette ancora in evidenza i ben noti sistemi dell'imputato. Non so che cosa farà il Procuratore generale, ma ribadisco che essi sono stati scelti, fior tra flore, da un enorme mucchio di documenti spariti al momento del fallimento ». L'avv. Corte ha quindi tratteggiato la figura di Giannetto De Cavi, dichiarando che — sebbene nel 1947 l'imputato fosse stato costretto a riconoscere in una lettera ad un amico che « ...corro 11 rischio di naufragare, di crollare, perché ormai la situazione è insopportabile », — egli prelevava venti milioni all'anno dalla cassa del Banco per le sue spese personali, che dovevano consentirgli un tono altissimo di vita. Il patrono ha ricordato altresì l'episodio della Banca italo-venezolana, quando De Cavi si sarebbe ' appropriato delle rimesse degli emigranti italiani e soltanto quando costoro giunsero à minacciare una denuncia per appropriazione indebita egli sì decise, con ritardo di mesi e mesi — a fare il proprio dovere, a consegnare cioè alle famiglie degli emigranti il denaro pervenutogli. «A quell'epoca, però, n De Cavi lo aveva già sperperato — ha detto l'avv. Corte — perché, per far fronte all'impegno, l'imputato dovette vendere degli stabilimenti di proprietà della moglie ». Il patrono di Parte civile ha concluso la sua arringa associandosi all'appello del Procuratore generale per la condanna di De Cavi in ordine alla bancarotta fraudolenta per distruzione, dalla quale è stato assolto in primo grado con formula dubitativa, e per l'aggravamento della pena già inflittagli per l'appropriazione indebita continuata dei titoli avuti in deposito. In suberdine, l'avv. Corte ha chiesto la conferma della sentenza appellata. Domani si avrà la requisitoria del Procuratore Generale- C. m.

Persone citate: Andrea Corte, De Cavi, Giannetto De Cavi, Giovanni Salvarezza

Luoghi citati: Genova