Parigi e Roma di Paolo Monelli

Parigi e Roma Parigi e Roma Yvan Audouard è un giornalista di Paris-presse Intransigeant che corrisponde a Carmen Tessier che su Fraiice-soìr fa i potins de la commère; ha una rubrica quotidiana che potrebbe chiamare i potins du compire. Il compare è. stato tre giorni a Roma; ed ha avuto anche lui le curiose esperienze che hanno tanti francesi quando vengono in Italia; specie quelli che poi ne scrivono. « A Roma — dice Audouard — la maggior parte degli abitanti appena finito il lavoro rientrano direttamente a casa e si mettono a letto». (Siccome scrive più avanti che i romani non fanno altro ia sera che guardare la televisione, penserà che la guardino da! 'etto). Scrive : « La maggior parte delle case nuove non hanno riscaldamento centrale; non è incuria dei costruttori, ma gli amministratori non lo fanno andare perché temono che gli inquilini si dimentichino di pagare il riscaldamento ». Essendo — dice — un salario di sessantamila lire il mese considerato a Roma come abbastanza cospicuo, si chiede quante paia di scarpe potrà comperare ai suoi figli un guidatore di autobus nel corso della sua vita. (Scssantamila lire, come potere d'acquisto, valgono un po' più di scssantamila franchi; ora un salario di sessantamila franchi il mese è considerato anche a Parigi assez remarquable, con lo svantaggio che ci sono tre mesi d'inverno più che a Roma; come farà un guidatore d'autobus parigino a calzare i suoi figli?). Continua : « L'orgia romana contemporanea consiste essenzialmente nell'andare a mangiare la sera a prezzi piuttosto esorbitanti una cucina mediocre in ristoranti purchessìa ». Un altre francese che rimpiange la sua eterna bistecca e patate fritte. Ala dove li portano a mangiare, i loro amici italiani, questi poveri stranieri? Via Veneto, — c qui ha visto giusto, — « di cui Felli ni ha fatto le boulevard du vice international », gli è appar- eessa castissima, tranquilla, casalin-1 ga. Ci ha visto soltanto ragazze « che hanno in abbondanza la materia prima per sedersi, ma non sanno dove metterla». Sì, perche ha scoperto che i romani non si mettono mai a sedere. « I romani sognano, leggono, mangiano, bevono, parlano, amano in piedi ». E quando proprio per stanchezza consentono a « cadere seduti » vanno alla stazione Termini, « uno dei rari luoghi di Roma dove ci si può mettere a sedere senza perdere la faccia». (Sui binari? ). Notava il Machiavelli dei francesi che « sono nimici del parlare romano e della fama loro ». Notava anche che « non si curano molto di quello che st scriva o si dica di loro ». Questo è ancor vero. Non si potrebbe immaginare in Francia tanto chiasso per un libro che parli di cose francesi quanto, per esempio, se ne è fatto da noi per il libro del Revel. Prima di tutto perché leggono assai poco nelle lingue straniere, e aspettano che un libro sia tradotto prima di parlarne. E perché hanno una gran sicumera di sé, e le lodi paiono loro ovvie, e le critiche indegne di essere ascoltate. Gli italiani invece quando sono in Francia vanno a gara a fare gli spiritosi sul loro paese. Credono sempre di parlare con gli amici al solito caffè; e trovano orecchie pronte' a sodisfatti consensi. Indro Montanelli li ha fatti felici dicendo che non vi è nulla di più volgare di più conformista di più provinciale di Roma, « città africana ed ecclesiastica ». Sofia Lorcn intervistata ha detto sorridendo, o almeno così riferisce l'intervistatore, « così siamo fatti noialtri italiani, ignoranti e fanfaroni ». Ho scritto l'altro giorno da Parigi che noi i panni sporchi gli scioriniamo in piazza, e forse questo è bene perché ci stimola ad un continuo esame di coscienza. Ma facciamolo sulle nostre piazze; non proprio anche sulle piazze straniere. I francesi, per esempio, viaggiano meno di noi, e pochi sanno che abbiamo anche panni puliti e cose buone, e magari meglio delle loro. Ad ogni modo i turisti, si sa, vedono assai poco. Questo valga anche per gli italiani. La Fran eia ne è piena, di turisti italiani, specie Parigi e la Riviera; ma per mia esperienza debbo dire che all'infuori di prezzi di ristoranti e di negozi di mode, e di nightclubs e di cinema, poco vedono e meno ancora osservano. * * Bai negre. Di negri a Parigi, ve l'ho già detto, se ne vedono in tutti i quartieri; sono più numerosi naturalmente nei rioni più poveri, quelli tristi del nord verso la porta d'Aubcrvilliers, quelli proletari del sudovest sulla sinistra della Senna. Ce n'è di quelli che paiono scesi adesso dall'albero, nonostante le vesti europee; ma i più hanno una disinvoltura che potrebbe rivelare una seconda generazione d'inciviliti, parlano con buon accento, hanno modi gentili, una timidezza che non è quasi mai goffaggine; e camminano senza suono, con passo di danza anche sul selciato sconnesso delle vie. e tornando stanchi dal lavoro. Capitai una sera in un caffè del sudovest, dalle parti dell'avcnue. Felix Faure, non indicato da alcun segno particolare. Trovai in uno stanzone enorme un'orchestra di riegri che sonava con tempestoso clamore musica da ballo, e un fitto di negri e di bianchi nella proporzione di cinquanta e cinquanta (mi venne in mente quel cocktail che si fa alle Antille e si chiama sol y sombra, sol-, e ombra, perche per metà è di rum Saint James, scurissimo, e per metà di limpida aguardlente). La metà negra, la sombra, era di tutti uomini; la metà bianca, el sol, di tutte donne; tenerissime, biondissime studentesse della Sorbona, infermiere, commesse di grandi emporii, con candide camicette e capelli leggeri usciti pur ora dal parrucchiere, spiaccicate sul petto di grossi negri con un grosso sigaro in bocca e grossi occhiali. E c'erano negri più giovani, con anche da fermi, che erano preda di ragazzetto spettinate e mal messe che sembravano uscite da una pellicola della nouvelle vaglie Ho visto anche qualche ragazza negra, sofisticata, con molti colori indosso, con uno della sua razza; ma in genere le negrette più educate preferiscono i luoghi notturni dei quartieri eleganti, ove trionfano con severe vesti da sera di Coen Chanci o di Cardin. e intorno una corona di uomini bianchi. * * Un prete albanese, profugo, che ha studiato a Roma ed ha avuto cura d'anime in certi poverissimi quartieri italiani, come la Garbateli» di Roma, è venuto a cercarmi uno degli ultimi giorni del mio soggiorno a Parigi per farmi vistare il XIX arrondissement dove è viceparroco. « Vedrà cose, — mi ha detto, — che in Italia non se ne ha l'idea, per miseria e sporcizia e promiscuità ». Certo, il diciannovesimo è uno dei quartieri più squallidi della metri>p< li, senato fra i fasci di binari della stazione del n'«rd, i maglioni sportivi, clastici, in per- pctuo ondulamcnto di danza I canali della Marne di Saint Denis deU'Ourcq, i macelli generali della Villette e gazometri e imprese di pompe funebri; abitato da operai, da povera gente, anche stranieri, italiani, arabi, negri; ma sempre una piccola t^crcentualc, gli stranieri, su quasi 400.000 indigeni. Strade case cortili pare non abbiano avuto il selciato rifatto, le facciate ridipinte, le mura le scale ripulite dal temp.} della seconda repubblica. Intonaco che cade a pezzi, qua e là traccie d'antiche insegne pitturate sul muro a grandissimi caratteri corsivi, di trattorie o alberghi o ditte scomparse da decenni. Persiane sbocconcellate, vetri neri di fuliggine. Un'enornv: scritta, ripetuta due volte, sulle mura di un magazzino abbandonato o decaduto in ruc RiqUCt, defesse n'uriner snus pei ne d'amende. Su certi portoncini bassi stretti la scritta Hotel sembra assurda. « Una mezza dozzina di camere, mi spiega la mia guida, senza comodità alcuna, l'acqua nel cortile, la fontana accanto alle immondizie, che si affittano ciascuna ad una famigli i intiera ». Andiamo fra le pozzanghere della pioggia recente, che ogni tanto riprende; ma quando balena il sole fra brandelli di nuvole le cose non appaiono meno lugubri. Ugni tanto si apre sulla via l'ingresso ad un vicolo cicco lungo, angusto, che qua c là si allarga in un cortile; mura leb- brosc, che trasudano umidità e oia, ci abita, si direbbe, gente che è già uscita dalla vita. Dietro i vetri grigi delle finestre guardano vecchie immobili; pendono all'aria sotto l'umido cielo umili pannicelli (al confronto sventolano nella memoria, allegri sotto il ciclo d'un azzurro di coccio, i grandi pavesi del nostro meridione, lenzuoli, gonne vaste, lunghissime vesti da notte). ■• Case che hanno un cesso solo per ogni piano, o per tutto l'edificio; ecco, guardi questo, — mi dici: la mia guida, e mi mostra andando un usciolino mezzo aperto, — debbono scendere in strada ogni volta che ne hanno bisogno ». Mi fa penetrare in corti oscure, fetide d'odori, mi aizza su per una scala angusta, umida, buia, appena vedo i gradini rotti al fioco barlume di una lampadina polverosa. « Sono venuto in questa casa, se si può dir casa, un giorno per assistere una moribonda; nella stessa camera c'era il giaciglio della vecchia, ed un letto per tutta la famiglia, e la tavola a cui sedevano tutti a mangiare, la morente ormai l'avevano affidata a me e loro non se ne occupavano più ». La pioggia ha ripreso, in fondo alla ruc de Crimée ho una visione larghissima nera e bigia di magazzini, di mura di cinta, di binarii, di gazometri giganteschi, « gas de France ». Lunghissimi treni neri fermi, il fumo delle locomotive stagna e si allarga sotto le nuvole basse. Mi torna in mente un verso di Laforgue : « Qtte triste sous la phiie un traiti de viarchandises ». Paolo Monelli

Persone citate: Cardin, Carmen Tessier, Coen, Felix Faure, Felli, Indro Montanelli, Machiavelli, Revel, Yvan Audouard