Tutti i paesi, lontani e vicini hanno bisogno del lavoro italiano di Nicola Adelfi

Tutti i paesi, lontani e vicini hanno bisogno del lavoro italiano -s= LA CRESCENTE CRISI DELLA MANO D'OPERA =- Tutti i paesi, lontani e vicini hanno bisogno del lavoro italiano I nostri due milioni di disoccupati possono alimentare un'emigrazione che non deve essere considerata soltanto uno sfollamento -1 lavoratori italiani sono apprezzatissimi e ricercati ovunque, ma è necessario proteggerli e tutelare i loro interessi - Spetta all'autorità scegliere i luoghi più favorevoli agli emigranti, esigere qualificazioni professionali, impedire lo sfruttamento, aiutare moralmente coloro che affrontano costumi nuovi e diversi - A queste condizioni l'emigrazione diventerà redditizia, le "rimesse,, contribuiranno all'equilibrio della nostra bilancia commerciale (Nostro servizio particolare) Roma, marzo. Secondo i calcoli compiuti dagli economisti delle organizzazioni intemazionali, fra una decina di anni al massimo la disoccupazione non sarà più un problema nell'ambito della tPiccola Europa-», Italia compresa. Sta anzi sorgendo, e diventerà sempre più acuto nei prossimi anni, il problema contrario, cioè quello della scarsezza di manodopera. Diversi sono i motivi, ma due i principali: da una parte troviamo una espansione economica costante e dall'altra un progressivo assottigliarsi delle leve di lavoro. In altre parole, se da un lato il tenore di vita dei popoli migliora di anno in anno, e questo comporta maggiori consumi e nuove esigenze, dall'altro lato cominciano ora a farsi sentire gli effetti demografici della seconda guerra mondiale; dal 1939 al 19i5 la natalità subì una brusca diminuzione in tutta l'Europa. Fra le sei nazioni della < Piccola Europa », l'unica che abbia riserve di mano d'opera è la nostra: quasi 1 i 1111 ii i si i : 111111111 li 11111 il i 111 il 11111 il 11111 u 1111 ! i 1 due milioni dì disoccupati e forse altrettanti sottoccupati. Da tutte le parti, anche dalla lontanissima Australia e dal Canada, si guarda agli italiani per fronteggiare la crisi che già si profila sul mercato del lavoro. I tedeschi hanno detto che quest'anno avranno bisogno di almeno altri centomila emigranti italiani. I francesi, per quanto alto sia il numero degli italiani che passano le Alpi, non battono ciglio. Oli svizzeri addirittura si mettono le mani nei capelli al solo pensiero che possa diminuire l'emigrazione italiana, e nei loro giornali insistono nel dire che bisog 'a fare ai lavoratori italiani condizioni molto più umane delle attuali. I Paesi africani di nuova indipendenza si rivolgono di preferenza agli italiani per risolvere i loro problemi di crescita. Dalle giovani nazioni dell'America meridionale giungono pressanti appelli all'Italia perché mandi laggiù i suoi tecnici e le sue maestranze per valorizzare le grandi risorse locali. 8i può dire che non c'è oggi continente che non tenga gli 1 r 11 il i i i t li 11 i 1111 r 1111 ti i > i il 1111 il 1111111111 111111 n occhi puntati sui lavoratori italiani. Ed è un coro universale di elogi. Dovunque vi rechiate, vi si allarga il cuore nel sentire gli stranieri dirvi un mondo di bene dei nostri compatrioti emigrati. Sono parchi, rispettosissimi delle leggi, leali verso il paese che li ospita; e poi apprendono facilmente le nuove tecniche, non si tirano mai indietro quando si presenta la necessità di fare lavoro straordir nario. Non si ubriacano, non fanno politica, sono molto attaccati alla famiglia. Sono perspicaci, corrispondono prontamente alle più ardite iniziative, hanno molto amor proprio. Per udire qualche lagnanza, dobbiamo recarci nei sindacati; là dicono che i lavoratori italiani sono fin troppo zelanti verso gli imprenditori, quando si parla di sciopero fanno finta di non sentire e perciò indeboliscono il fronte del lavoro. Se del tutto favorevoli si presentano le prospettive dell'emigrazione, e gli esperti arrivano a prevedere che nei prossimi anni il fenomeno della disoccupazione è destinato a scomparire anche dall'Italia, rincresce dover constatare lo scarso interesse che le nostre autorità mettono in tutta questa faccenda. Da noi si continua a considerare l'emigrazione come uno sfollamento di disoccupati. Si direbbe che gli italiani, sentendosi troppo stretti nella penisola, spingano fuori i più deboli e ignoranti, e una volta che li abbiano cacciati fuori di casa, facciano dì tutto per recidere dai loro cuori persino il ricordo dei luoghi nativi. Una volta che Vemigrante si sia lasciato alle spalle la linea di confine, suoi sono i rischi e sue le pene. Le autorità italiane non si danno troppa pena. Se l'emigrante sì trova bene in un paese nuovo, fra gente forestiera, tanto di guadagnato; se invece si trova male, peggio per lui. Per parlarci francamente, l'emigrante è considerato una merce da « piazzare > comechessia e dovunque sia; ed è già avvenuto che abbiamo mandato barbieri venditori ambulanti a paesi che ci avevano chiesto operai e contadini oppure che abbiamo fatto emigrare con la qualifica di cavamonti i manovali della provincia di Latina ch'è tutta in pianura. E quando sfrondate l'emigrazlotie dì tutta la retorica ufficiale, trovate una sola, cruda verità: sfollare, sfollare, sfollare. Questa spietata furberia ci costa caro. Che fa il buon agricoltore quando toglie una pianta dal luogo dov'è nata e la sistema in un altro luogo t Lavora con mani delicate in modo da non offendere le radici, sceglie un sito conveniente per il trapianto e non si affida al caso; e poi protegge, assiste, difende la pianta specialmente nei primi tempi, finché non la vede attecchire. Se questo fa l'agricoltore con le piante, di quante maggiori cure avrebbero bisogno le creature umane quando siano sradicate'dal luogo natio e trapiantate in terre lontane, fra gente di cui non conoscono quasi niente. Pensate per un momento quali siano i dubbi, le ansie, i traumi veri e propri che colpiscono un giovane calabrese o molisano che di colpo sia tolto dal suo ambiente familiare e gettato non dico a Torino o a Milano, ma nel Canada o nell'Australia. E non valga l'eterno, fatalistico pretesto che noi siamo un paese povero. Solo che ci fosse la risoluzione di esaminare con occhio nuovo il problema dell'emigrazione e di eliminarne gli aspetti più brutali o drammatici, noi vedremmo in poche stagioni meno lacrime, meno angustie, un minor spreco di energie in mezzo alle moltitudini degli emigranti. E anche nel giro di poche stagioni gli investimenti fatti per reperire gli sbocchi più idonei e rendere più regolare il deflusso degli emigranti; per migliorare qualitativamente la nostra emigrazione e per difenderla nel periodo iniziale, quando i lavoratori non ancora si sono ambientati; quegli investimenti, dicevo, ci verrebbero restituiti con abbondantissimi interessi. Infatti, se le nostre autorità riuscissero a dare una qualificazione professionale ai nostri emigranti prima di permettere loro l'espatrio, se stessero attenti alla scelta dei luoghi più favorevoli per gli emigranti e poi vigilassero sul destino di questa < merce umana y, allora ai «iiimiimiiimiiimiiiiiitiiiniiiiiiiiHiiii iii iiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiii nostri lavoratori non sarebbero più assegnati i lavori meno retribuiti, più faticosi e umili. In breve, le rimesse degli emigranti e i gruzzoli che i nostri lavoratori riporterebbero in Patria incanalerebbero verso la bilancia commerciale italiana un ruscello di valuta pregiata molto più copioso di quello attuale. Tanto per fare un esempio, un bracciante agricolo che non conosca alcun mestiere e che non possa offrire altro che la forza dei suoi muscoli, riceve nelle campagne svizzere un salario che si aggira sulle S5 mila lire U mese; ed invece un tornitore, un fresatore bravo riesce a portarsi a casa nella stessa Svizzera un salario mensile di oltre 150 mila lire. Ricordiamoci che nel mondo di oggi il lavoro dei muscoli umani serve sempre di meno; è compiuto in misura crescente dalle macchine. Per concludere, una grande occasione sta davanti a noi: tutto il mondo, cominciando dalle nazioni Hmitrofe e legate alla nostra da stretti -iMncoii economici, ha bisogno del lavoro italiano. Speriamo che fra cinque o dieci anni, il governo che sarà allora in carica non venga a dirci unicamente che la disoccupazione in Italia è diminuita. Non ci basterà. Speriamo che posse, anche dirci che i lavoratori italiani non vanno più in giro per il mondo facendo gV. sguatteri, i braccianti agricoli, i minatori nelle miniere più pericolose e malsane. Nicola Adelfi

Persone citate: Piccola Europa