Almeno dodicimila i morti ad Agadir Il cielo è pieno di corvi: sciacalli urlano nella notte di Francesco Rosso

Almeno dodicimila i morti ad Agadir Il cielo è pieno di corvi: sciacalli urlano nella notte Le dichiarazioni del principe ereditario del Marocco Almeno dodicimila i morti ad Agadir Il cielo è pieno di corvi: sciacalli urlano nella notte Lo vittime italiane salite da 11 a 23 - Recuperate le salme solo di 7 - Un superstite di Piacenza racconta le oirende 18 ore sotto le macerie - Due italiani ricoverati in clinica psichiatrica - Soltanto squadre di monatti volontari frugano tra le rovine: ritrovate incolumi due bimbe - Tonnellate di calce viva e fuoco per scongiurare epidemie - Forse la città sarà trasformata in un immenso rogo (Dal nostro inviato speciale) Agadir, 4 marzo. Ancora una volta è scesa la sera su Agadir, una sera gonfia di calda polvere e grevi odori che esalano dai cumuli di matterie 'svito cuì^si decompongono rapidamente migliaia di corpi. Col trascorrere dei giorni la tragedia di questa piccola città rasa al suolo nel volgere di pochi secondi assume proporzioni immani, la cifra delle vittime cresce vertiginosamente. T\ principe ereditario Moulay Hassan, In una conferenza-stampa, ha detto oggi che i morti di Ag..dlr sarebbero almeno 12.000 e che sarà compiuto ogni sforzo per salvare gli eventuali sepolti vivi. Verso sera Agadir era un luogo di tregenda, il cielo era pieno di avvoltoi ed intorno alla città distrutta sciacalli correvano ululando feroci, tenuti a distanza solo dalle scariche di fucileria del soldati di guardia. Questa notte un funzionario del palazzo imperiale diceva che i morti ritrovati sono 3944, ma che un numero ben mag¬ giore è ancora sepolto sotto le montagne di detriti. Stabilire un elenco anche approssimativo delle vittime non sarà mai possibile: nei paesi arabi non esiste lo stato civile e non si sà*ne'mWei(<f~"quante persone abitavano nei quartieri popolari della Casbah e di Talborgi che sono stati interamente distrutti. Rimuovere tutte quelle macerie appare lavoro sovrumano, occorrerebbero migliaia e migliaia di operai e macchine, gru a non finire, ma Agadir è lontana oltre cinquecento chilometri a sud di Casablanca, con una strada lunga e tortuosa che scavalva la catena dell'Atlante e il solo collegamento possibile è quello aereo. Inoltre sistemare una massa così ingente di persone, provvedere ai loro bisogni più immediati appare impossibile: di' qui la necessità di sventare al più presto possibile il pericolo di un contagio che i corpi in rapida decomposizione sotto il sole feroce potrebbero provocare. Sui cumuli di detriti sono state lanciate tonnellate di li- i o i i guidi disinfettanti e di calce viva, autocarri con macchine speciali circolano per le strade lanciando nuvole di polvere di un giallo sulfureo che acceca, ma tutto ciò non 6 ancora sufficiènte "contro- W pericolo dell'epidemia e non resta che il fuoco. Reparti speciali dell'esercito americano hanno già ideato il sistema di operare profonde inieaioni eli liquidi in/ìammabiH'/ra le macerie e provocare quindi rapidi incendi che distruggerebbero i detriti, rr.a non si ha ancora il coragy<o di tentare l'operazione definitiva e radicale perché sotto quelle macerie potrebbero esservi ancora persone vive. Ieri sera tardi, quando Agadir era già dominata dal lugubre silenzio notturno, i marinai francesi hanno tratto an cora vive due bimbette marocchine rimaste incolumi accanto a un armadio che aveva attutito il crollo dei muri: in simili condizioni nessuno ha il coraggio d'impartire l'ordine di appiccare il fuoco, si aspetta ancora in attesa che le squadre di salvataggio accertino con sicurezza i luoghi do e la vita è spenta totalmene. In alcuni punti della città ov'è certo che più nessuno ive, le fiamme hanno già comiuto la loro opera in attesa he tutta Agadir si trasformi n un immenso rogo. Fino ad oggi era possibile entrare in città con uno speciale permesso, da domani la circolazione sarà rigorosamente vietata: alcune squadre dì volontari hanno accettato di rimanere cftiuse in città a tempo indeterminato, impegnandosi a non uscire se non quando lo stabiliranno le autorità sanitarie; questi gruppi di uo mini in funzione di monatti resteranno prigionieri nel vasto cimitero di case per frugare fra le macerie e stabilire dov'è possibile appiccare gli incendi, non potranno avere contatti con l'esterno, solo con gli uomini che provvederanno a rifornirli e che subiranno poi radicali disinfezioni. Quando le fiamme avranno compiuto la loro opera entrerà in azione la dinamite e ciò che il terremoto ha risparmiato crollerà sotto le esplosioni: già oggi sono stati abbattuti in tal modo alcuni muri lesionati che minacciavano le squadre di salvataggio intente a scavare. Altre vittime sono state ritrovate, composte alla meglio entro sacchi e portate alle fosse comuni; i bulldozer hanno lavorato ininterrottamente in questi giorni a scavare profonde buche, nelle quali sono state composte tutte le salme finora ritrovate: uno strato di uomini, uno strato di calce viva, un'abbondante spruzzata di liquidi disin/ettanfi e il bulldozer rispianava la terra. Il nuovo cimitero di Agadir non è molto vasto, ma densamente popolato: vi sono fosse che contengono anche cinquecento morti. Sono andato alla ricerca di italiani che la sera di lunedi erano in città per sapere da loro la sorte dei nostri connazionali. Oltre agli undici dipendenti dell'Eni e loro familiari scomparsi nella catastrofe, se ne devono aggiungere altri 1£ che appartenevano alla nostra comunità, stabiliti da molti an ni ad Agadir. mnecrSlgfianss i o o i i a i e £ a Ecco i nomi degli italiani morti: Gaetano Filipponi, Eleonora Tracanella coi figli Gigi e Alberto, Enrico Marocchi con la moglie e figlia Ezia, Marinella Nelli, Alberto Ghizzomi, Stefano ' Rizzo, Sergio Nardelli, i coniugi Paolotti e un figlio, i coniugi Decanini e due figli, Antonio Lauretta di 6 anni, Luigina Agosta di 6 anni, i coniugi Botta, Patrizia Franchini di 3 mesi, Marco Discurdiere. Di tante vittime, sono state trovate soltanto le salme della famiglia Marocchi e di Marinella Nelli, di Patrizia Franchini, Antonio Lauretta e Marco Discurdiere. Gli altri risultano dispersi. Pietoso eufemismo per confonderli nella folla immensa di anime che popolano le macerie di Agadir dalle quali i corpi non saranno più estratti. Parlando con alcuni italiani sono riuscito a rintracciare Francesco Cordani, ormai- famoso ad Agadir perché da solo, scavando un tunnel nel groviglio dei detriti, è riuscito a salvare se stesso e due vecchi coniugi inglesi, con lui ospiti dell'albergo Gauthier. E' un uomo di 60 anni, solido, equilibrato, alieno da fantasie. Abita a Piacenza, dove ha lasciato la moglie e due figli in vie .Rossi 36, per venire a dirigere il parco macchine dell'Eni. Durante la conversazione parlava dei suoi cari e si commuoveva fino alle lacrime, ma si riprendeva immediatamente e continuava il racconto con lucidità e acutezza di linguaggio che aumentavano l'orrore delle 18 ore trascorse nell'immensa bara di cemento c ferro aggrovigliato. Era rientrato alle 11 e si era allungato sul letto per fumare una sigaretta. Senti un boato e per istinto si gettò in un angolo della camera. Pochi se condì dopo la scossa si ripetè più violenta e l'albergo crollò interamente. Egli alloggiava al primo piano e fu sepolto dalle macerie di altri quattro piani. Si trovò rannicchiato in un buco alto mezzo metro e largo uno, inebetito dal terrore, incapace di formulare un pensiero. « Poi — disse — ho veduto dinanzi a me i miei figli e mia moglie. Calma, mi sono detto, bisogna uscire ad ogni costo ». Incominciò a tastare intorno e vi trovò una borsa entro cui aveva una pila elettrica. L'accese e vide che la mano sinistra perdeva molto sangue. Ma l'orologio da polso ha continuato a scandire le 18 ore che egli credeva della sua agonia. Era quasi mezzanotte ed egli pensò di incominciare a scavare. Lo ha salvato la fredda determinazione con cui ha compiuto tutti i gesti nell'augusto spazio in cui era costretto a muoversi. Per prima cosa fece una specie di pilone con alcuni blocchi di ce mento per sostenere i detriti; poi incominciò a scavare. Fatti alcuni metri di galleria accese un cerino per sentire se c'era corrente d'aria: il cerino si spense immediatamente. Aveva la gola riarsa per la polvere e la sete. Continuò à scavare ' per un altro mezzo metro id accese ancora un cerino: nel buio vide fiammeggiare due occhi imrtiensi, orrendi che lo gelarono; accese la torcia e vide che era un grosso gatto rannicchiato fra i rottami. Alla luce abbagliante icsdnzslvlpd<t—pletzmzmtnac«cdC a e n o i d a a e a e e i i r i ; l a no a mi, en i e il felino strisciò via tra fessure che egli solo vedeva. Se passa di lì — pensò Cordoni — si dirige certo all'aperto, e continuò a scavare in quella direzione. Ad un certo momento si senti stanco da morire, con la mano sinistra che continuava a sanguinare e che gli doleva terribilm-ente. Si allungò nel cunicolo per riposare e si addormentò, dormì due ore, poi riprese a scavare. <Ho toccato una mano e ho tirato, mi è rimasta fra le dita — disse chiudendo gli occhi —• poi ho trovato una gamba dilaniata, poi una bimba morta e spappolata. Sopra di me abitava il mio amico Alberto Ghi»zoni, ho sentito che mi chiamava e gli ho risposto: a mezzogiorno non rispose più alle mie invocazioni: era già morto ». Aveva cinque caramelle e ne succhiò una riservando lealtre col pensiero di restare chissà quante ore là sotto: « Forza, bisogna uscire » mi dicevo, devo andare alle nozze della bambina, non posso mancare ». A questo punto il signor Cordani si mise a piangere con la testa fra le mani. Continuò a scavare con tenacia il suo tunnel strisciando sul ventre, senza avvedersi che attraversava una camera: lo sentirono i due coniugi inglesi, anziani turisti che avevano cercato il caldo di Agadir, erano ancora distesi sul letto miracolosamente vivi. Parlarono senza comprendersi e Cordani continuò a scavare. Quando arrivò quasi alla salvezza si trovò la strada sbarrata da un grosso macigno di cemento armato, contro il quale le sue unghie non potevano nulla, ma sentì delle voci, e si mise a gridare e fischiare con le dita fra le labbra; dall'esterno lo sentirono e lo aiutarono a superare l'ultimo ostacolo: «Poi — disse — ho visto il sole ». Quando l'hanno tirato fuori erano le sei di aera del martedì: aveva trascorso più di diciottp ore in quella bara di macèrie. Indicò ai salvatori il luogo dov'erano i due inglesi vivi e corse a cercare gli amici: « Guardi — ditse — clie bel regalo mi hanno fatto ». Mi tese un foglio, il suo regolare certificato di decesso: «Se vuole, posso farle vedere anche la bara che mi avevano destinato ». In quel momento passarono due uomini, avevano l'aria stranita con una luce di demenza negli occhi: erano il pilota Tracanella e il signor Nelli, volevano tornare ad Agadir per ritrovare i loro cari che sono scomparsi sotto le macerie e coi quali tessevano immaginarie, tenere conversazioni; nel pomeriggio li hanno ricoverati in una clinica pai-' chiatrica di Casablanca. Questa mattina è giunto un terzo aereo italiano da trasporto con medicinali e undici medici, tra cui alcuni professori dell'Università di Roma. In serata è giunto il cacciatorpediniere « Indomito » con un gruppo di medici e, molto materiale sanitario. Il capò del governo Abdallah Ibrahim, tornato di recente da un viaggio ■ufficiale in Italia, ha ringraziato a nome del Marocco il governo italiano per la sollecita e fattiva solidarietà dimostrata in questo momento di tragedia nazionale. Francesco Rosso

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