Il festival del jazz a Sanremo si è concluso tra polemiche e litigi di Gino Nebiolo

Il festival del jazz a Sanremo si è concluso tra polemiche e litigi Il festival del jazz a Sanremo si è concluso tra polemiche e litigi I capricci di Norman Granz e il "caso Arigliano,, - La buona prova dei complessi italiani nella seconda giornata della manifestazione msmnmnnm Sanremo, lunedì mattina. Fra polemiche e litigi si è concluso ieri sera il Festival intemazionale del jazz. La parte più chiassosa, che ha sfiorato la rissa, ha avuto come protagonista Norman Granz, l'uomo che tiene sotto il suo duro imperio personaggi come L'ilrt Fitgerald, Roy Eldridge r Shelley Manne. Sabato, appena arrivato a Sanremo, il rude americano è stato lì lì per mandare a monte il concerto e la trasmissione televisiva. Ha urlato contro i tecnici della tv che, per le loro esigenze, avevano disposto in un certo modo gli strumenti sulla scena; ha infierito sugli organizzatori del Festival e ha capovolto i numeri del programma; si 6 perfino scagliato sulla docile e mansueta Adriana Serra, perché non voleva che l'annunciatrice apparisse alla ribalta con un mazzo di garofani per la Fitgerald. Si è calmato soltanto quando gli fu detto che, in caso di una mancata ripresa televisiva, egli avrebbe dovuto pagare una penale di cinquanta milioni. Partiti alla svelta Norman Granz e i suoi musicisti, tutti credevano che le liti [fossero finite; invece è subito nato il t caso Arigliano ». Il bravo cantante (l'unico autentico cantante jazz che vi sia in Italia) in un primo tempo aveva accettato di partecipare al Festival; poi il suo intervento era andato in fumo e il suo nome era stato cancellato dai programmi. Ieri Arigliano, preso dalla nostalgia, aveva rinunciato ad un vantaggioso contratto per una serata in Toscana ed era giunto a Sanremo con la speranza che lo avrebbero invitato a cantare. Cautamente ha fatto qualche € avance ».' si sarebbe accontentato anche di un solo brano, in un angolino del concerto. Gli organizzatori hanno opposto un secco < no »: pare che la presenza di Arigliano avrebbe potuto sollevare prò teste degli altri musicisti, prò vocando una specie di rivolta dietro le quinte. Arigliano si è rassegnato a prendere posto in platea, ma non si sono rassegnati i suoi innumerevoli tifosi che hanno discusso aspramente, minacciando persino di disertare la manifestazione. La minaccia non è stata attuata ed il teatro del Casinò era gremito ed esultante. Degli stranieri il primo gruppo che si è esibito è il trio del pianista negro Bud Powell, con Oscar Pettiford al contrabbasso e Kcnny Clarke alla batteria. Powell occupa un posto importante nella storia del jazz. E' un uomo tormentato, dai trascorsi burrascosi: ha conosciuto le case di cura dove ha tentato di disintossicarsi delle droghe, la sua salute è malferma, spesso deve ricorrere allo psichiatra. Ereditò da Charlie Parker, con il quale partecipò alla rivoluzione mu¬ srszvssLdstpqmsptstcsbcus sicale del « bop », un fraseggio rotto, scattante e dinamico. Il suo trio è un modello di perfezione tecnica e di geniale inventiva. Pettiford, c.ontrabassista di razza pellerosse, ha uno stile grave, cupo e vigoroso. L'innovatore Kcnny Clarke ha dimostrato quanto alta sia la sua arte: nelle sue mani la batteria diventa uno strumento pieno di armonie, specialmente quando accenna l'accompagnamento con lievi suoni delle spazzole sui piatti e con impercettibili, nevrotici movimenti ai tamburelli. Max Boach, allievo di Clarke, si è presentato con un quintetto di recente formazione. Anch'eglt è un « bopper », dal tessuto ritmico vivacissimo, si abbandona ad assoli introversi e contenuti. Ogni sua battuta è una idea musicale che gli altri strumentisti riprendono e sviluppano. Con la continua percussione dei piatti, ha fatto da guida e da sfondo alla tromba di Nat Turrentine, al sax-tenore di Stanley Turrentine, al trombone di Julian Priester e al contrabbasso di Bobby Boswell: quattro giovanissi?ni che Roach ha scoperto e lanciato. Il programma del batterista negro è stato salutato da ovazioni, le più calde di tutto il Festival. E veniamo agli italiani. Con un certo spirito di parte, qualcuno ha detto e scritto che nel nostro Paese il jazz e soltanto milanese, la maggioranza dei musicisti essendo lombardi. Il che è inesatto. Caso mai l'affermazione si dovrebbe correggere nel senso che la maggioranza dei jazzisti italiani viene dal Piemonte. Nel quintetto di Gii Cuppini (che ha aperto la serata) suona il trombettista torinese Sergio Fanni, una rivelazione per il grosso pubblico, dalle idee chiare e dal suono puro e impeccabile; e di Cuneo è Ettore Righello, che si avvia a diventare fra i pianisti più personali che vi siano in Italia. La vera novità del Festival è stato l'ottetto di Basso-Valdambrini (astigiano il primo, torinese il secondo) preparato apposta per il Festival, che annovera elementi autorevoli come il sassofonista-alto Glauco Mosetti, il sassofonista-baritono Attilio Donadio, il trombonista Mario Pezzetta (tutti e tre piemontesi), Renato Sellani al piano, Franco Cerri al contrabbasso e Jimmy Pratt alla batteria. L'organico vasto ed affiatato si abbandona alle morbide fantasie dello stile € californiano » con piacevoli effetti d'insieme. Gli arrangiamenti dei brani dell'ottetto erano opera di tre noti musi cisti: lo svedese Lars Gullin, 10 svizzero George Grunte e Piero Umiliani Del complesso si parlerà a lungo fra gli appassionati è forse la migliore formazione moderna italiana che sia mai stata presentata al pubblico. Ultimo dei complessi il quartetto Cerri-Masetti, con Cerri alla chitarra, Mosetti al sax Kate Geier (contrabbasso) ( Pratt, ha completato • il quadro del jazz italiano di oggi. Un bilancio permette di affermare che i nostri musicisti, nati tardi al jazz, sono su di un livello molto elevato. Dopo 11 concerto, Bud Powell si è congratulato con essi: « Non credevo che in Italia — ha detto — si suonasse bene cosi >. • Gino Nebiolo

Luoghi citati: Cuneo, Italia, Piemonte, Sanremo, Toscana