Noia a Parigi di Paolo Monelli

Noia a Parigi Noia a Parigi (Dal nostro inviato speciale) pParigi, 16 febbraio. CE viene la séra che l'inviato 9speciale s'imbarca per la solita idtrita avventura del Paris la nuit, Parigi di notte, pur sapendo che finisce sempre con l'essere Paris VEnniti, Parigi la noia. La noia è tedio filosofico, che ci fa misurare la vacuità triste e frivola del nostro tempo che rifugge, dice bene Carlo Fio, dal raccoglimento e dall'esame di coscienza. La visita obbligata ai templi del ballo e della musica frivola, alle riviste di donne più o meno nude fra nuvole di piume e di pennacchi c di gonnellini barbari, vuote di vita come manichini di cera; ed ai luoghi che qui si chiamano boites, scatole, e la definizione è esatta, scatole perché ci si sta dentro serrati più o meno alla rinfusa sotto un coperchio che è soffitto di cantina o padiglione basso o vòlta di caverna e custodisce aria ferma, odori grevi, nebbia di fumo. Sugli angusti palcoscenici donne si spogliano, orchestre urlano, nel breve spiazzo fra i tavolini si raccolgono esseri ambigui. Ce ne saranno una cinquantina, forse più, di queste buche più o meno sotterranee. Penso che cosa succederebbe da noi se improvvisamente cinque o sei soltanto di questi luoghi notturni si trasferissero a Roma o a Milano; che chiasso sui giornali, quante proteste di padri di famiglia e di benpensanti, magari interrogazioni alla Camera; considerando l'agitazione in tutta l'Italia per La dolce vita, di cui ho notizia dai giornali. Due concezioni sono di fronte, la nostra eccitata ed austera (per non dire bacchettona) quella francese frivola r in fondo indifferente. (Paris VEnnui lo han no detto loro per primi). Qui autorità e cittadini e moralisti pare si comportino con maggiore di stacco; pensano in fondo che tutti i gusti sono gusti, e finché da questa giungla non escano pistolettate e scandali clamorosi, è meglio lasciar correre; tanto più che questa licenza con licenza dei superiori giova all'industria del forestiero. E' aperta alla rue Miromesnil una « Mostra internazionale del surrealismo » che è soltanto un pretesto per un erotismo alla marchese de Sade; si va per corridoi e stanzette e alcove messe come grotte comunicanti, sopra un denso strato di sabbia in un silenzio ossessionante come in un sogno gremito di incubi fra quadri, sculture, simboli ripugnanti, strumenti di tortura, totem,, feticci, statue di cera rappresentanti scene macabre e sacrileghe. Un cittadino è andato alla polizia a protestare, si sono messi a ridere, chi gli piace questa roba — gli hanno detto — e se la sente di spendere 1500 franchi per vederla ci vada pure, questa è la terra della libertà; non c'è scritto ben chiaro sulla porta che l'ingresso è vietato ai minori di sedici anni? (La ragazzina che ci ho veduto dentro, i sedici anni li aveva passati si e no da poche ore). Un altro cittadino invece ha preso ombra per una mostra di Buffet, ove su grandissime tele donne nude e giganteschi animali alati si azzuffano alla rinfusa, ed è andato al settimo commissariato di polizia a chiedere che intervenga « per offese ai buoni costumi ». Due funzionari di polizia sono andati a considerare la cosa, ed hanno assolto pittore e organizzatore della mostra. Bisogna dire, per tornare a quegli sconcertanti luoghi notturni, che non si tratta soltanto di industria del forestiero. Vi accorrono curiosi, provinciali, stranieri, ma sempre in numero inferiore agli appassionati, a coloro per i quali ritrovarsi in quella pubblica intimità, se posso usare queste due parole contraddittorie, è bisogno e vizio. C'è nel Quartiere Latino, sotto la montagna di Santa Genovieffa, un antro popolare ove si bevono birra e aranciate; e giovani in maglione e ragazze in pantaloni si stringono e ballano con lo stesso furore del le coppie dei luoghi di lusso, le ragazze con le ragazze, i giovani con i giovani; e assistono e si divertono e partecipano alle danze bottegai, artieri, piccoli borghesi, tutta gente del quartiere. I francesi hanno l'arte di pre sentarc queste cose, e le loro miserie, come curiosi fatti di costume. Quei vagabondi senza tetto, mendicanti senza vergo gna, che si vedono lungo il fiume e sotto i ponti, o dormono le notti d'inverno sui graticolati della metropolitana da cui viene su un calore umido e persistente (due li vedo tutte le sere presso Saint-Germain-desPrés, coperti di stracci e di giornali, indifferenti al tumulto sfarzoso e allegro di chi va o viene dai ristoranti e dai caffè vicini), noi ce li sentiremmo come una vergogna cittadina, e, peggio, gli stranieri ce li fotograferebbero come documenti della nostra inguaribile miseria. Qui hanno cominciato col dargli un nome, clochards, ci hanno creato intorno una letteratura fra il picaresco e il romantico: nessuno li disturba, nessuno pensa che sarebbe meglio chiuderli in un ricovero. E loro ne ritraggono un atteggiamento fra l'insolente e l'orgoglioso. Ne ho visti due l'altro tecctrvmPdvdsrcctoplannmsslctpmvlaNnhersla pomeriggio sulla piazza della Contrescarpc, ai piedi di uno di 9uei quattro alberelli stecchiti delIa rotonda; uno sdraiato a uno sdraiato terra per dormire, non vedevo che età avesse, l'altro giovane, con una barba nerissima di quattro giorni, seduto a guardare nel vuoto. C'era un vento di tramontana che tagliava la faccia. Passandogli accanto li ho guardati con curiosità: subito il giovane si è alzato, è venuto presso di me con la mano tesa ed un sorriso sicuro senza dire una parola. Gli ho dato due monete dicendogli che una era per il suo compagno. Bien sur, mi ha detto, e subito dopo mi ha voluto per forza stringere la mano con la mano sudicia; come per rinnegare la qualità di mendicante nell'atto stesso di chiedermi l'elemosina, e collocarsi sul mio stesso piano sociale. Poco dopo, risalendo la via Mouffetard verso la piazza, l'ho veduto venire giù con allegra baldanza e una bottiglia vuota in mano; andava a prendersi con i miei soldi, come mi disse passando, un litro di vino. E' uscito di questi giorni un libro sull'Italia di cui parlerò più a lungo, J'ai vii vivre l'Italie di Noèl Calef. L'autore cerca di narrare le cose d'Italia come le ha viste o crede di averle viste, ed è soprattutto pieno di ammirazione e di affetto per il nostro popolo « vivace, gaio, intelligente, affettuoso, laborioso » ma quasi .metà del libro è dedicata all'Italia del sud, vi si descrive la misera vita dei pescatori e contadini e braccianti; una descrizione che purtroppo non si allontana molto dalla realtà, grazie alle compiacenti informazioni che gli hanno dato persone di ogni classe sociale. Il lettore francese ne avrà l'impressione che mezza Italia sia una regione squallida e arida, con città e borghi brulicanti di miserabili, di affamati, di disperati, e certamente mai una volta l'autore fa intendere che scene uguali di abiezione umana possono vedersi anche nel suo paese. Basterebbe nominare i tanti sobborghi poveri, sudici, sordidi, desolati della metropoli, Bagnolet, Neuilly Plaisance, Pré-SaintGervais, Porta di Monteuil, La Bièvre, eccetera; dove brulicano e vivono alla giornata esseri avviliti dalla miseria, vagabondi che dormono sui prati, alloggiano in baracche di lamiera di cartone di legno o in catapecchie cadenti, umide, che non arrivano mai ad asciugarsi un poco al sole. Ma noi, i panni sporchi li scioriniamo in piazza. Dovremmo forse essere più discreti, tenerci per noi le nostre tristezze. O forse no; questo sbandieramento è segno che alla miseria non ci rassegnarne ce la teniamo, sott'occhio perché ci sia cura costante ed esame di coscienza, e monito continuo a cercarvi il rimedio. Paolo Monelli

Persone citate: Buffet, Carlo Fio

Luoghi citati: Italia, Milano, Parigi, Roma