Mendicanti in Cina

Mendicanti in Cina Mendicanti in Cina ISi ha talvolta l'impressione, qui in Cina, di vivere in un mondo rovesciato, dove i problemi, i valori e le realtà tradizionali, si siano capovolti senza che l'aspetto delle cose sia mutato, quasi che, come in una formula algebrica, il segno « meno » sia stato sostituito col segno « più », o viceversa; e che questa sostituzione sia avvenuta (se non si conoscessero i cent'anni di rivolte, di stragi, di guerre, di dolori, di lotte, che l'hanno consentita), con facilità, naturalmente, come con una invisibile grazia. VV'uhan, a mezza distanza tra Pechino e Canton, e tra Shangai e Ciunking, è il cuore della Cina, il suo perfetto centro geografico. E' l'insieme di tre città divise dai fiumi Yang Tze Kiang e Han Kiang, ha oggi due milioni e mezzo di abitanti, copre una sterminata distesa di millecinquecento km. quadrati, e va crescendo con straordinaria rapidità. Fondata verso il 220 d. C„ al tempo dei tre regni combattenti, nel sesto secolo era già una delle quattro maggiori città della Cina, centro di cotone, di riso, di grano, di pesca, di trasporti fluviali, di antiche miniere di ferro, di calce e di carbone; era chiamata « patria del riso e dei pesci ». Neil' '800 fu, con^ Shangai, il principale centro dell'influenza e dei commerci dei Paesi occidentali; e anche delle prime rivolte per la libertà cinese, della prima tradizione culturale rivoluzionaria. Non c'era cui altra industria se non quella artigiana degli spaghetti o del cotone: questa città di commerci, di sfruttamento e di consumo, è diventata in questi dicci anni il maggior centro dell'industria pesante. Questo luogo di sviluppo e di trasformazione in atto conserva, nella sua vitalità prorompente, l'immagine del passato, l'aspetto delle antiche contraddizioni. Vedrò più tardi le fabbriche meccaniche, il nuovo ponte, le sterminate acciaierie, i nuovi quartieri a perdita di vista. Ora, appena arrivato dall'aeroporto, nella prima aria calda del sud, all'albergo, mi trovo nel vecchio centro di Hankow, una delle tre città, in quella che era stata la Concessione britannica. L'architettura inglese delle strade ha l'aspetto orrendo delle cose arbitrarie: sembra la cornice propria e necessaria della miseria dei primi tempi della rivoluzione industriale. In mezzo a quelle case europee mi appare per la prima volta l'aspetto e il peso della povertà, come in un souborgo dickensiano di Londra: i residui di un mondo schiavo, sfruttato e coloniale. Le strade sono invase da torme di bambini, coi piccoli sederi nudi; mi parlano incomprensibili, e mi guardano, pallidi, coi neri occhi confidenti e luminosi. Passano facchini che portano appeso a due lunghi bambù un frigidaire bianco di marca « Tatra », e riempiono la via del loro passo ritmato come di danza, e del grido che li aiuta « ho ho ho ho - ho ho ho hé ». Sugli angoli uomini seduti in terra offrono in vendita caramelline od elastici. Dagli usci guardano grige donne incinte. Nelle botteghe file di ragazze, « innocenti prigioniere », stanno curve sulle macchine da cucire, a ricamare allegri fiori colorati. Il peso del mezzogiorno, il peso del passato, pare ristagni nella stanca lentezza dei gesti, nei visi oscuri dei facchini in attesa verso il Fiume Azzurro. Domani mi si mostreranno gli aspetti contrari di questa vita, i volti luminosi di fierezza e di potenza degli operai dell'acciaio. Ma ora, per una prima occhiata, esco, da solo, nella notte, per le strade. Cammino qua e là fino a tardi, fino a che le mie gambe sono così stanche che stentano portarmi, e tuttavia non voglio ancora affidarmi a uno degli uomini-cavallo che aspettano agli angoli delle vie coi loro tricicli. Dappertutto, nelle bottegucce, nei laboratori, nelle stanze, si lavora. Cammino in un immenso teatro notturno di gente operosa, in un formicaio affaccendato. Mi fermo continuamente a guardare. Con la paglia e coi giui chi si fanno cappelli per gli operai delle acciaierie: quando sono mezzi fatti, tenuti ben fermi, compressi fra le cosce delle, donne lavoranti, sembrano dei soli da cui partono raggiere di raggi di giunco. Si fanno oggetti incomprensibili con i materiali più impensati, fili di ferro, pezzi di metallo, rotta,.ii; con la carta, il filo, gli stracci, si costruiscono mille futili stranezze; si cuce, si ricama, si lavora il legno; si studia, si legge. Spio da una fessura di una porta semichiusa, e vedo una donna, con un saldatore acceso, che butta la fiamma, con viso intento, sopra un oggetto di ferro, sul pavimento della camera da letto. Dappertutto si cerca, in tutti i modi della più inventiva fantasia, come in una Napoli immensa, di vivere: ma quasi con una ostinata follia nell'alta notte, come in pieno giorno, si lavora. Da tutte le parti fumano le friggitorie, nei calderoni si bollono i tortellini, le trippe, te zuppe, il riso: sui marciapiedi si puliscono le verdure o si sventrano i pesci. Nelle botteghe chiuse e illuminate si vedono i letti pronti per la notte: una folla incessante circola sui marciapiedi bui. Mi fermo a un tenue suono melanconico che mi giunge dall'ombra. Appoggiati al muro di una casa nera, in una parte oscura del viale, vedo un uomo, una donna e un bambino. L'uomo suona senza pause un violino cinese, la donna canta con una voce atona, stridula e spettrale; il bambino, col viso rivolto al muro, sta abbracciato e quasi incastrato tra le gambe del padre, chiuso in una lunga giacca imbottita e rigonfia, nerastro come un grumo di miseria senza forma. La donna, piccola, cenciosa, grigia, inesistente, è senz'occhi : due buchi neri stanno in mezzo alla ragnatela del viso. L'uomo, alto, secco come uno scheletro addobbato di stracci neri, tiene gli occhi chiusi: quando, talvolta, per un attimo, li apre, non capisco se veda, o se anch'egli sia cieco. Sunna, sul suo violinetto a una corda sola, una nenia monotona, straziante, ripetendo il lamento disperato delle cinque note: lo spettro della voce della donna lo accompagna di tutta la fatica e la solitudine del mondo. Rimango, attratto da un perfido incantesimo, a guardarli per più di mezz'ora. I passanti si fermano, a qualche passo di distanza: deve essere uno spettacolo inconsueto e strano. Guardano in silenzio, con visi impassibili: nessuno fa l'elemosina. L'uomo e la donna continuano il suono e il canto: sempre più smunti, terrei, nei cenci neri. Finalmente, a un tratto, l'uomo dice qualcosa, una frase breve che certo significa: «Proprio nessuno mi dà nulla?». Una giovane ragazza vestita di blu che guarda con viso sereno risponde come a dire : « Via, qualche cosa ti darò, non ti affliggere » : si avanza, e gli mette in mano una monetina da un centesimo. - (Durante tutto questo lungo tempo, ero tentato di dare qualcosa a quei miseri. Avevo molto denaro cinese con me, i diritti d'autore di un mio libro tradotto e pubblicato in Cina, che avrei dovuto spendere in cose inutili prima di uscire dal paese. Avrei potuto dare una semplice monetina, oppure anche l'equivalente di un anno di salariò di un operaio. Ero spinto a farlo e a immaginare che cosa sarebbe successo. Ma ero solo, senza interprete, e vedevo gli occhi della gente fissi su di me. Pensando alle loro imprevedibili, e quasi certamente negative, reazioni, mi astenni, con rimorso, da ogni atto). Ricevuto il centesimo della ragazza, l'uomo e la donna cessarono il suono' e il canto. (Da molto era passata la mezzanotte). L'uomo con gli occhi chiu¬ aiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiitimiiiiiiiiiHiiiiiiiii si sollevò da terra il bambino e se lo pose a cavalcioni sul collo. La donna, come nell'inferno medievale di un quadro di Breughel, gli si mise dietro con le mani appoggiate alle spalle, e il violinetto infilato nella cintura. Il bambino, lassù in alto, aveva due grandi occhi aperti: era il solo che avesse gli Occhi: sembrava un mozzo di guardia sull'albero di una nave di morti. Guidati da quei due occhi neri, a tentoni, strascicando i piedi, si incamminarono sul marciapiedi, svoltarono l'angolo, e si perdettero nel buio. Furono questi i soli, gli unici mendicanti che io vidi in tutte le città e i villaggi della Cina: forse i soli che esistano, in un paese che ha vinto la miseria, che ha abolito del rutto la prostituzione; una oscura volontà del caso me li fece incontrare nella notte di Hankow. Rientrando all'albergo, ricordavo un altro violino che sonava, in un anfratto tra i grattacieli, in una notte di Broadway: un italiano perduto in quelle luci sfolgoranti: e tuttavia meno assurdo, in quella ricchezza, di questi nella povera strada, apparizione terribile di un tempo passato, testimonianza cadaverica di una realtà per sempre finita. Carlo Levi s 11111111111:11 ! i ! 1111 f 111111111111111 n 1 i 111111 m 11111111

Persone citate: Breughel, Carlo Levi, Durante