L'America ha bisogno dell'Europa
L'America ha bisogno dell'Europa La conferei! e c o n o m i c a di Parigi L'America ha bisogno dell'Europa All'inizio di un anno che offre al mondo occidentale presagi di grande prosperità e di crescente progresso, si apre a Parigi un'importante conferenza economica. Oggi e domani si incontrano per colloqui ufficiosi i rappresentanti degli Stati Uniti, del Canada e di una decina di paesi europei; giovedì si riunirà, ancora alla presenza degli « osservatori » americani, il Consiglio dei ministri dell'Oece: dell'organizzazione, cioè, che raccoglie tutti i paesi dell'Europa non comunista. Tre argomenti principali figurano nell'ordine del giorno dell'uno e dell'altro convegno: le relazioni commerciali tra Europa ed America; i rapporti fra i sei paesi del Mercato comune ed i sette membri della ■ Piccola area di libero scambio»; i piani per una opera congiunta, europea ed americana, di assistenza alle nazioni sottosviluppate. Sono temi ardui, monopolio dei tecnici; e già sappiamo che gli incontri non si chiuderanno con accordi spettacolari, serviranno soltanto ad impostare i problemi in vista di ulteriori, lunghe trattative. Eppure la conferenza ha un grande interesse anche per i non specialisti. Per un complesso di circostanze, le riunioni di Parigi sembrano segnare una svolta nella storia economica dell'Occidente; possono chiudere la prima fase del dopoguerra e servire di prologo (come scriveva il prudente Economist fin da metà dicembre) c al più importante sviluppo dell'economia internazionale dal giorno in cui Marshall lanciò il suo Piano ». Nella primavera del '47 l'Europa era inerme, divisa, povera, minacciata dall'anarchia; con il peso della difesa militare, anche l'onere della sua ricostruzione economica ricadeva in gran parte sugli Stati Uniti. Gli aiuti americani offrirono i mezzi insostituibili per iniziare una ripresa, che presto si sviluppò con un ritmo e dei risultati superiori alle più ottimistiche previsioni. Nel '47 l'Europa era coperta di debiti, affamata di dollari; sembrava certo che gli Stati Uniti, i quali già possedevano più di metà dell'oro esistente, avrebbero continuato ad essere i creditori del mondo. Da due anni la situazione è mutata: i paesi dell'Occidente europeo dispongono di dollari e riserve auree in quantità crescente, mentre la bilancia americana dei pagamenti è diventata passiva. Dunque gli Stati Uniti non sono più la maggior potenza finanziaria del mondo? Nulla di simile. La loro bilancia commerciale presenta tuttora un largo attivo; sono le spese militari oltremare e gli aiuti all'estero che provocano quel deficit, quell'emorragia di dollari. A Washington il fenomeno non è giudicato allarmante, ma serio, soprattutto mentre l'economia europea si sta organizzando su basi nuove. Sei paesi hanno dato vita al Mec, entro pochi anni costituiranno una Comunità perfettamente c integrata»; altri sette, tra cui l'Inghilterra, si sono uniti in una zona di libero scambio; tutti i membri dell'Oece stanno per abolire anche le ultime restrizioni agli scambi intereuropei. I responsabili della economia americana temono che l'Europa, in taluni settori, possa trasformarsi in un'area chiusa; ma gli europei av¬ vertono il pericolo che gli Stati Uniti possano reagire, a « discriminazioni » reali od apparenti, con misure protezionistiche o forse abbandonando i programmi politico-economici di assistenza all'estero. Saranno discussi vari piani, nei colloqui ufficiali ed ufficiosi di Parigi: la liberalizzazione dei rapporti Europa-America, le prospettive di accordo fra il Mec e l'Inghilterra, !a possibilità che Stati Uniti e Canada entrino nell'Oece e la trasformino in un organismo di cooperazione economica fra tutti i membri del Patto atlantico... Ognuno di questi temi avrà ripercussioni politiche; ma su tutti sovrasta il progetto di un grande programma collettivo per gli aiuti alle nazioni afro-asiatiche. « Si tratta di vedere — ha scritto un giornale inglese — se nel prossimo decennio l'Europa in piena prosperità si unirà all'America come intelligente benefattore per i paesi poveri extra-europei ». Un'opera che, non meno del Piano Marshall, potrebbe pesare sul destino del mondo. Carlo Casa le gito
Persone citate: Carlo Casa
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