Industrie a Sian antichissima città

Industrie a Sian antichissima città VIAGGIO IN CINA Industrie a Sian antichissima città Nel primo crepuscolo dell'alba, , mi sveglia, in una stanza ignota, il grido improvviso, continuo e funebre dei corvi. Davanti al letto, nella sua cornice, una tigre mi guarda: la più melanconica, disperata delle tigri, dipinta in un paesaggio di neve, tra i punti bianchi dei fiocchi che il vento trascina. Vado alla finestra. Il cielo è grigio, l'aria fresca e leggera. In alto, stuoli innumerevoli di corvi neri passano e ripassano gracchiando, sotto di loro gazze bianche e nere, dalle lunghe code, svolazzano sagli alberelli di acacia, trasparenti di verde tenero, del giardino. Dalla distesa bassa e brumosa della città, che si perde all'orizzonte incerto, giunge un battere lontano di ferri tintinnanti, e i rumori vaghi e indistinti degli arrigiani, picchiare di martelli, strider di seghe, voci di venditori, richiami. La città è già desta, pare non si sia mai addormentata: passano sulla strada le biciclette, con le macchie azzurre degli operai pedalanti verso le officine, passa un risciò; uno, in un cortile, fa la. ginnastica a una sbarra, un altro, davanti a un cespuglio, si muove lento, a passi cautelosi, come una tigre in agguato; altri, davanti a dei fuochi, fanno sonare il martello sull'incudine; una campanella argentina chiama al lavoro (o è solo il vento che la muove, appesa all'angolo di un tetto?). Dove sono? Quel volo nero e clamoroso di uccelli, al risveglio, mi ha portato nell'India. Ma i tetti qui sono di un grigio violetto, l'aria è velata, azzurrati" dai, fumi di piccole officine, e le casette basse e il verde gentile degli alberi,- e il trepidare argentino e minuto Jegli spazi richiama i mattini della periferia di Parigi. Voci di bambini, passi brevi correnti verso la scuola, rumori di porte sbattute, brusii lontani, e ancora le campanelle del vento, richiamano dal fondo della memoria il suono antico, familiare, intimo, della chiusa vita della città vecchissima, nei suoi fragili muri di fango. Mangio una mela, dal piatto che è sul tavolo. Sono mele coreane, qui considerate preziose tanto da essere date in premio ai guerrieri. Mi faccio, con l'acqua calda del termos di metallo fiorato, una tazza di tè; e mi sbuccio una pera gialla dalla polpa legnosa, fresca e senza sapore. « Queste pere — mi avevano detto con fierezza — le mangiavano soltanto i figli dell'imperatore. Ma ora le abbiamo sul nostro tavolo, per tutti ». Sono a Sian, la prima, antica capitale della Cina. E' una città sterminata, distesa nella pianura; fatta di polvere e di argilla, di case di terra, di immense muraglie di terra, di pavimenti di terra nella sua parte antica; e attorno, a perdita di vista, gli edifici e le fabbriche di un grande centro industriale. L'automobile mi aspetta nel giardino dell'albergo, fatto, con architettura sovietica, per i tecnici sovietici. Le vie sono piene di una folla ordinata, brulicante e ragionevole, mite, pulita, sorridente. In una strada di belle case antiche con le porte sorvegliate da cani e da leoni di pietra, dai muri grigi dove il nero è usato come un colore, vedo su una porta una donna che tira il mantice di un piccolo fornetto. Mi invita ad entrare: attorno al cortile sono gli uffici, in faccia il laboratorio di un'officina artigiana. Vi si fanno forme, fusioni, con i lingotti grezzi prodotti dai contadini delle montagne, accatastati per terra. Studenti, abitanti della strada, sono intenti a fare ogni sorta di stampi, di oggetti, a lavorare il metallo con procedimenti elementari e ingegnosi. Nel fondo del cortile, sotto una tettoia, è la mensa. Tutte le case dei vecchi signori, dignitose e eleganti, qui attorno, sono piene di attività. La casa vicina è una scuola elementare: i bambini nelle classi cantano, sui quattro toni, le parole; o, nel cortile,'si esercitano saltando su una tavola imbottita, sotto gli occhi delle maestre - bambine. Più in là, dentro una bellissima porta dal retto come una nave o una foresta intricata di legno, guardata da leoni di ferro e di pietra, si apre un lungo mercato, ai due lati di una via, o di un corridoio, che conduce in fondo ad un tempio, dalle pareti coperte di quadri votivi di paesaggio, e dove, davanti alle stame dorate dei Budda, sono accese candele e bruciano le bacchette di legno di sandalo. Nelle stradette laterali, tra monaci, venditori e bambini, si svolge, oscura, una chiusa vita segreta. Ma la macchina mi aspetta : traversiamo la città, i grandi rettilinei nuovi tra i palazzi e le costruzioni anonime degli uffici, delle scuole, delle case operaie, delle fabbriche, e siamo nella campagna piana, terra e terra, argille preistoriche di villaggi neolitici, lande grigie su cui si levano a tratti ì grandi coni iso-' lati dei tumuli. Arriviamo, oltre un fiume, alla città industriale. Questa zona era, fino a poco fa, un tremendo nido di banditi: ora è un grande centro tessile. Alla fabbrica tessile numero 5, che tcs.se la tela necessaria per i venti milioni di abitanti della provincia, ci riceve, giovane e preciso, il direttore You; e, spiegati, davanti a una tazza di tè, i dati tecnici .e la storia della fabbrica, ci accompagna tra i quattromila telai e gli ottantamila fusi al lavoro. Tra le macchine basse e verdi, di costruzione cinese, le donne sparse sembrano raccoglitrici di cotone in un campo pieno di insopportabile frastuono. E' una fabbrica nuova, e l'atmosfera vi è allegra e attiva: gli operai sono tutti giovani (l'età media è di ventitré anni) e si vanno formando sotto la guida di operai specializzati, mandati qui dalle antiche fabbriche di altre province. Mi fermo a parlare con qualcuno di loro. Una anziana operaia, che viene da lunghe esperienze nelle vecchie filande di Sciangai, mi dice che ora qui si vive meglio. Le chiedo perché. La risposta è semplice, senza retorica, e, per quel che riguarda il passato, agghiacciante, «c Perché — dice — non debbo più baciare la mano ai padroni. E perché ora non mi si batte più ». Ritorno in città, e giro, a piedi e solo, guardando la gente, le case, i lunghi muri dentro i quali si sente svolgersi una vita misteriosa. Seguendo un triciclo, entro per una porta in un cortile nascosto, e mi trovo in un dedalo di viuzze, come un labirinto senza uscita. La folla formicola fino alle ultime diramazioni, tra abitazioni microscopiche dove si stringono, si addensano le persone : gente che lavora, che porta, che cammina, che parla, che mangia seduta sui talloni, sulle porte o in mezzo alla via. Sono i « cortili » di Sicilia, è l'India, nascosta dietro i muri, in mezzo al vicolo un bambino è seduto su un vaso, e tutta la famiglia lo guarda e lo sprona; una bambina abbraccia un pollastro, lo stringe affettuosa come una bambola. Vicino, un vecchio dalla lunga barba bianca sta solenne in mezzo- a una famiglia innumerevole, in un antico padiglioncino aper¬ tnsainQndtfiuclcssncsdmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMniiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiim to e cadente dai mobili moderni. Le donne cuociono il riso sui cantoni. La polvere copre e avvolge gli odori, il frastuono, il movimento dei corpi pigiati nel breve spazio del « vicinato ». Questa è dunque la vecchia Cina dei poveri? Questo mondo di terra, giallo e grigio come la terra, fatta d'ossa e di germi infiniti senza forma? Attorno a un lungo tavolo, in mezzo al vicolo, stanno seduti i bambini e leggono i libretti della biblioteca infantile, una delle mille che si aprono in ogni strada, Seri, silenziosi, coi loro lucidi occhi neri, guardano intenti le figure, compitano i caratteri, e con visi candidi e rapiti, sorridono della scoperta. Carlo Levi (llllllllllllllllllllllltllllllIllllllllillllllllllllltlllll

Persone citate: Carlo Levi, Sian

Luoghi citati: Cina, India, Parigi, Sciangai, Sicilia