La figura di Jannaccone rievocata da Luigi Einaudi

La figura di Jannaccone rievocata da Luigi Einaudi Un orticaio dell'cac-presidente della Repubblica La figura di Jannaccone rievocata da Luigi Einaudi II primo, lontano incontro dei due studiosi nel «Laboratorio di economia politica» in via Po - Lo'scomparso non fu soltanto uno «specialista» dal pensiero vigoroso e fermo; fu scrittore sobrio ed elegante, acuto osservatore dei tatti politici, ottimo letterato Il senatore Luigi Einaudi ha accettato di scrivere per « La Stampa » un articolo sul senatore Pasquale Jannaccone. L'ex-presidente, mentre rievoca la personalità e le opere dell'economista scomparso, che ebbe per tanti anni compagno di studi e collega d'insegnamento, traccia un quadro suggestivo del mondo culturale e universitario torinese all'inizio del secolo. Ci eravamo conosciuti, lui appena laureato ed io ancora studente, nelle salette al mezzanino dell'edificio universitario di San Francesco da Paola in via Po. Quelle due salette erano state conquistate dal professore Salvatore Cognetti de Martiis quando l'istituto di Bizzozzero aveva potuto emigrare in più ampia sede nei nuovi edifìci della Facoltà di medicina al Valentino. In prosieguo di tempo, il « Laboratorio di economia politica » — così l'aveva voluto intitolare Cognetti a palesare il proposito suo che gli studenti dovessero lavorare, oltreché e più che sui libri tecnici, sui fatti, sulle inchieste, sulle statistiche — si estese alle stanze dell'istituto di medicina legale ed alla grande buia aula, nella quale Lombroso teneva lezioni, seguitatissime dagli studenti, grazie alla familiarità geniale di esposizione del professore ed alla sua non infrequente presentazione fisica di delinquenti chiamati a dar testimonianza del loro operato. Nelle due prime stanzette i libri erano dapprima pochi, quelli depositati dallo stesso Cagnetti. Crebbero poi, in seguito allo scorporo di talune riviste economiche dal fondo dell'« Istituto giuridico », il quale da tempo fioriva presso la Facoltà di giurisprudenza. Il professore, cosa in quei tempi singolare, stava con noi gran parte • del giorno e ci consigliava ed incoraggiava. Assistente era Eugenio Mosè-Darì, libero docente allora di economia politica a Torino, poi a lungo professore all'Università di Modena ed oggi, vivo e vegeto a 95 anni, presidente sempre, credo, dell'Accademia virgiliana di Modena. Subito dopo di lui, studiavano a quei tavoli Luigi Albertini e Pasquale Jannaccone,' già laureati e con essi alcuni studenti.' tra i quali anch'io. Tutti, dal professore agli studenti, addetti onorari ai lavori proprii di una piccola biblioteca nascente; tra i quali non ultimo quello di conservare vivo nell'inverno il fuoco in una stufa necessaria a mantenere un po' di caldo in stanze naturalmente fredde perché situate sopra i portici di via Po e volte a mezzanotte. Anche Jannaccone, sin d'allora elegante nella persona, con la barba bene curata (lui ed Antonio De Viti de Marco furono i due economisti più eleganti d'Italia) si adattava alle umili fatiche di laboratorio, mentre attendeva a meditare e scrivere quel suo « Costo di produzione » il quale gli valse la cattedra e rimane ancora oggi libro che nessuno studioso può ignorare. Poi, giovanissimo, Jannaccone andò ad insegnare a Cagliari, e di lì, attraverso Siena e Padova, ritornò a Torino. Frattanto, la sua faina era cresciuta, e membro di Commissioni internazionali, socio di accademie, era eletto all'Accademia d'Italia e, dopo la Liberazione, chiamato a far parte a vita del Senato della Repubblica. Non tuttavia alla dignità ed agli onori, che furono suoi, vanno i miei ricordi; ma allo studioso ed allo scrittore. Pochi ricordano che le sue prime predilezioni non erano state per le scienze economiche; sì per la letteratura; e di lui abbiamo un breve limpido libro su Walt Whitman e la metrica della sua poesia. Dal suo amore per la poesia e la bella prosa nacquero le due qualità, che lo fecero eccellere nelle scienze economiche, della sobrietà e della eleganza. Fu sobrio nello scrivere; e mai indulse alla gar'. anni or sono imperversante nella nostra confraternita, dai titoli concursuali, voluminosi ed ispidi di citazioni di libri altrui a mala pena sfogliati. Come avrebbe potuto dilungarsi I lui che spesso vidi coprire la grande pagina bianco rigata col testo dei suoi scritti ed iscrivere noi nel verso le citazioni e le note appropriate? Le aggiunte lo avrebbero costretto a manipolazioni fastidiose ; che erano inutili per lui, che a lungo meditava prima di scrivere. Dalla meditazione venne l'eleganza nello scrivere scientifico. Il ricordo, che, degli scrittori di gran razza, rimane nella mente dei lettori, non è sempre quello dei libri maggiori; che la mente ricorre non di rado più volentieri a talun saggio minore; e così a me, quando penso allo Jevùns, che fu sicuramente uno dei maggiori economisti inglesi del secolo scorso, il ricordo non va ai « Principii » che pur segnaron un'orma nella storia della scienza, ma ad un saggio monetario nel quale lo Jevons indagò le correlazioni fra i metalli pregiati, l'oro e i prezzi. Elegantissimo saggio, quasi un ricamo nel quale si sposano la perfezione tecnica del ragionamento e l'uso sapiente delle statistiche e dei fatti addotti a riprova della bontà del ragionamento tecnico. Così è di Jannaccone ; che la mente corre spontaneamente ad un suo mirabile saggio nel quale si illuminano le correlazioni esistenti fra le quantità dijmerci importate ed esporta' te dall'Italia, le partite in- visibili del commercio inter-nazionale, i prezzi, gli investimenti attivi e passivi. Egli toccò in quel saggio la sommità dello scrivere sobrio ed elegante, perché frutto di lunghe e faticoseIe personali elaborazioni, ! compiute senza aiuto di scolari e di macchine. Maestro nelie scienze economiche, Jannaccone era anche uno scrittore politico; non da oggi soltanto, e cioè da quando dovette, senatore, prender parte alla vita politica. Ne avevo avuto la rivelazione nel 1898, quando nella rivista « La riforma sociale » allora diretta . da Luigi Roux e da Francesco Nitti, lessi un breve articolo, firmato con una sigla, intorno ai doveri delle classi dirigenti in seguito ai moti di quell'anno. Da alcuni impercettibili indici, mi convinsi che quelle pagine non potevano essere che di Jannaccone; ed avendoglielo detto, attorno a quel tavolo del « Laboratorio » di Cognetti, egli consentì. Erano pagine di pensiero vigoroso e fermo; quel pensiero che mezzo secolo più tardi rivisse nei discorsi al Senato e negli articoli su giornali, massimamente su Lo Stampa: discorsi ed articoli oggi raccolti in un volume (Giulio Einaudi, editore, 1956) col titolo « Scritti e discorsi opportuni ed importuni ». Il titolo palesa lo sconforto dell'uomo ed insieme la sua fede. Sconforto per la scarsa eco che i suoi discorsi avevano tra i parlamentari e sull'azione dei governi; e fede nella vittoria ultima della verità. Perciò egli, quasi in epigrafe, ricordava i versi di Dante (Paradiso, XVII, 130) : Che, se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nutrimento lascerà poi quando sarà digesta. Auguro all'Italia che le parole di fede dell'amico non vadano deluse. Abbiamo grande bisogno di chi nei parlamenti e negli scritti quotidiani dica il vuoto delle parole le quali corrono e sono parole in libertà, prive di significato- La analisi che Jannaccone fa, in quei discorsi ed articoli, delle parole correnti, delle idee generalmente divulgate ed accettate, degli errori, delle proposte di legge presentate dai governi, delle contraddizioni fra i dati esposti nei documenti finanziari, è spesso una analisi spietata. Poiché quasi sempre è vera, auguro sia ascoltata. Anche in ritardo. Luigi Einaudi

Luoghi citati: Cagliari, Italia, Modena, Padova, Siena, Torino