«Il conte Ory» di Rossini ha aperto la stagione lirica del Regio al Carignano

«Il conte Ory» di Rossini ha aperto la stagione lirica del Regio al Carignano «Il conte Ory» di Rossini ha aperto la stagione lirica del Regio al Carignano Immaginiamo che per una esecuzione del Conte Ory miracolosamente rivivessero i cantanti del 1830, un Nourrit, una Cinti Damoreau, esperti dei modi vocali di Rossini e di quel tempo: l'opera resterebbe, qual è, mediocre, in qualche punto bella. La verità è che neanche a un Rossini era dato far della famosa lista del bucato un'opera d'arte. Anche a un tanto miracolosamente dotato musicista occorreva un centrale nucleo emotivo, drammatico, sìa comico o tragico. Il libretto, al quale Scribe non voleva legale il suo nome, è, oltre che sciocco, mal redatto, privo di stimoli. Alla fantasia di lui bastava una frase, una paro¬ la, un gerundio, un gesto. D'ai tra parte i pigri rabberciamenti restano tali. Quel che più contribuisce alla mediocrità del Conte Ory è la part^ trasferitavi dal Viaggio a Reims. Nel primo atto, dall'Introduzione alla scena dell'Ajo con Isoliero, la musica è degna soltanto d'un minimo contemporaneo di Rossini. L'aria « Astro sereno », del protagonista è del tutto generica in confron to alle scultoree pagine che tipeggiano altri personaggi Col finale, pur esso trasferito, e pur esso mediocre, la parte meno felice dell'opera è trascorsa via. E il secondo atto fa intrasentire come la dipintura d'un ambiente. Quel tranquillo concerto di castellane annoi antisi nella fede giurata e mantenuta, riflette psicologicamente, mi pare, l'ora che volge. Poiché lo sfrontato Ory ha turbato la quiete della vedova severa e delle caste spose, esse tentano di scacciare l'immagine di lui, pacare il tremore dell'anima; invano. C'è una tale rilassatezza in quella coralità, che la supporrei ambigua, a doppio senso. Ma è una debole ipotesi. Ed ecco il solito temporalino, annunciato da una sorpresina armonistica, alterno con la graziosa preghiera delle false pellegrine. La parte soprana, che è del tenore, reca là melodia elegante, sensibile e ricca di h-umor. Diclamo pure che per un Rossini del 1828 suonano stantii sia li rozzo e disadorno coro dei cavalieri, volgari ubbriaconi, sia l'aria di Roberto, fatta con uno di quei passettini 'sillabati cari a papà Paisiello. Che questi pezzi siano pur essi venuti fuori dal baule degli scartafacci «buoni per un'altra volta >? Pòi, un non breve episodio degnissimo di Rossini. Egli riaddusse lo spunto della canzone di Isoliero. Infatti il Conte ha attuato il proposito del Paggio, s'è travestito da pellegrina, ed eccolo accanto ad Adele; reminiscenza opportunissìma. Con l'Adagio che introduce il Conte l'ambiente sentimentale si precisa istantaneamente, si svi- ! luppa con crescente, sottile poe-i sia. L'accento ironico tace non per un desiderio sensuale, ma per una commozione che è tenerezza, forse amore. Nel giuocare all'amore, il Conte s'è scordato dell'avventura, della finzione. La donna attesa e desiderata è là, vicina,, sola, docile all'inganno. Cosi egli immagina, sente. Il canto si libra soave, trepida effusione d'una gioia onesta Le risposte lo infervorano un poco. Gli par di sognare, cede all'estasi, e canta tutta la sua felicità. Chi lo strapperà al sogno? Tanto puro amore non gli dà diritto d'essere riamato? Parsa! Arrivano i Crociati'! L'intreccio si affretta alla banalissima chiusa. Ma quel pezzo resta incantevole nella memoria e nell'anima, con quei sussurri vocali, le mezze tinte orchestrali, la determinazione degli stati d'animo, (altro che la lista della lavandaia!), con la sobrietà. Dice tutto ciò ch'egli sentiva e voleva dire; e non una nota di più. Mediocrità s'è detto, ma pur sèmpre rossiniana, che vuol essere cortesemente intesa e giudicata. Il Conte Ory, una fra le opere di lui non primeggiami e neppure da trascurare, torna a quando a quando, in un giro teatrale, per ricordarsi a coloro che già una volta l'ascoltarono, e presentarsi ai nuovi uditori. L'anno scorso l'ebbero i frequentatori della Piccola Scala, ora è venuta al Carignano, con la scorta d'un emerito rossiniano, il maestro Tullio Serafin, che sa utilizzare, fino ai limiti assegnati e raggiungibili, i mezzi, cioè il tempo della concertazione e le capacità degli esecutori. Correttezza tecnica e stilistica, proporzioni foniche, improntavano l'esecuzione orchestrale, con una cautela, che se attutì talvolta il brio e attenuò la lievità, garantì la coerenza con i solisti e con il coro, istruito dal maestro Lido Nistri. Del tenore Juan Oncina si scrisse nell'occasione milanese, e s'ha da ridire che meglio riuscirebbe nel cimento, se evitasse alcune malie schipiane per rifarsi al tempo dell'opera e alle maniere dei tenori francesi cui Rossini mirava componendo la parte del protagonista La soprano Gianna D'Angelo diede prova di piacevole, elegante vocalità nelle arie e di scorrevolezza nei leggiadri recitativi. MIO Truccato Pace, ottima Ragonda, Anna Maria Rota, Giù se Gerbino Crotta, sono ben note fra noi quanto Pao lo Washington, Renato Capecchi, ed Alessandro Gatti, e tutti, insieme con l'insigne maestro Serafin, ottennero gli insistenti applausi del pub^ blico, purtroppo non folto per la festosa inaugurazione della stagione. Alla regia, affidata a Riccardo Moresco, sarebbe e sarà inopportuno e ingiusto accennare: è nota l'inadeguatezza del palco alla profondità delle scene e all'illuminazione varia e temperata. a. d. c.

Luoghi citati: Adele, Washington