Uno scapolo può riconoscere il tiglio nato da donna sposata di Guido Guidi

Uno scapolo può riconoscere il tiglio nato da donna sposata il nuovo principio sancito dalle sezioni unite penali della Cassazione Uno scapolo può riconoscere il tiglio nato da donna sposata Il neonato deve essere denunciato come figlio di donna che non vuole essere menzionata - L'importante sentenza era stata emessa cinque mesi fa - Ora è stata pubblicata la motivazione (Nostro servizio particolare) Roma, 22 ottobre. Chiunque, purché celibe, può dare il proprio nome al figlio avuto da una donna coniugata la quale dichiari di non voler essere nominata, senza per questo incorrere nei rigori della legge ed essere punito per alterazione di stato. Le sezioni unite penali della Cassazione nell'affermare questo nuovo ed importante principio giurisprudenziale, hanno finito praticamente per risolvere un problema che da molti decenni affannava giuristi e magistrati. E' stato così sanato un contrasto che esisteva fra l'opinione della Cassazione civile e quella della Cassazione penale. Due sono gli episodi che hanno determinato tale importante decisione presa nella udienza del 30 maggio scorso, ma resa nota nelle sue motivazioni soltanto oggi. Il primo ebbe come protagonista, a Vicenza, il signor Eugenio Marchi, il quale, celibe, denunciò all'ufficiale dello Stato Civile il 29 dicembre 1953 un Aglio nato da lui e da una donna che non voleva essere nominata. Accertato, però, che la madre, Costantina De Polli, era sposata, si procedette tanto contro Eugenio Marchi quanto contro la donna per aver alterato lo Stato Civile del bimbo. Nel corso delle indagini si accertò che in una situazione slmile si trovavano anche il signor Pietro Zangrilli ed Elsa Borriero che vennero, anch'essi, incriminati per alterazione di stato. I giudici del Tribunale di Vicenza, nel maggio 1955, prosciolsero gli imputati « perché il fatto non costituisce reato»; la Corte d'Appello di Venezia, alla quale si rivolse il P. M. protestando contro la sentenza, fu di diverso avviso. Gli imputati, pur avendo concesse le attenuanti generiche e quelle per il particolare valore morale della loro azione, furono condannati a due anni, due mesi e venti giorni di reclusione. Ma le Sezioni unite penali della Cassazione hanno accolto invece i ricorsi degli imputati annullando la decisione della Corte d'Appello di Venezia senza rinvio « perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato ». Quali le ••agioni per cui i magistrati delle Sezioni unite penali, presiedute dall'allora primo presidente della Corte Suprema, dott. Ernesto Eula (estensore della sentenza è stato il consigliere dott. Antonio TIberti), sono giunti ad una decisione che ha rivoluzionato un indirizzo giurisprudenziale pressoché costante? Il problema da risolvere era grave e diffìcile. Da quando è entrato in vigore 11 codice Rocco, salvo una pronuncia in senso contrario che risale al 10 giugno 1949, la gturlspruriem.r. della Cassazione penale ha sempre affermato che quando un celibe, denunciando allo Stato Civile un figlio, taccia che esso è nato da donna coniugata incorre sempre nei rigori della legge. 11 problema ha finito per assumere, nel corso degli anni, un aspetto sempre più grave soprattutto per la entità della pena (da cinque a quindici anni di reclusione) definita dia numerosi studiosi « enorme ed atroce ed altresì assurda risultando superiore perfino a quella comminata per l'Infanticidio ». Le Sezioni civili della Cassazione, però, hanno sempre mostrato di avere una opinione diversa sull'argomento. Infatti secondo la suprema magistratura civile, per ritenere operative le presunzioni dell'art. 231 e 232 del C.C. (<I1 marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio »; «Si presume concepito durante il matrimonio il Aglio nato . quando sono trascorsi 180 giorni dallo scioglimento o annullamento di esso») non è sufficiente 11 fatto della procreazione da parte di donna coniugata; è indispensabile ohe questo fatto sia collega Lo alla esistenza, altresì, di un atto di nascita in cui l'Infante risulti denunciato come figlio di donna coniugata Indicata nell'atto stesso o che, in difetto di tale titolo, il figlio abbia il relativo possesso continuo di stato legittimo, così come stabilisce l'art. 236 del Codice civile. A questa affermazione le Sezioni penali della Cassazione avevano sempre replicato sostenendo che l'infante, il quale nasca da donna coniugata, ha senz'altro e per questo solo fatto lo stato di figlio legittimo e che l'atto di nascita non è elemento integrativo delle presunzioni previste dal Codice civile ma è soltanto un mezzo di prova. Ora, stabilendo 11 nuovo importante principio, i magistrati delle Sezioni penali della Corte Suprema hanno solennemente affermato: «In ossequio al principio della unità dell'ordinamento giuridico e della unità della funzione giurisdizionale è, per tutte le leggi, ma in particolare per queste norme del Codice civile, di così grande importanza, auspicabile che venga adottata, nell'avvenire, una interpretazione uniforme sia da parte delle Sezioni civili sia da parte di quelle penali di questo supremo collesi" » La sentenza ricorda che sin dal 1934 la Cassazione civile decise che non può essere attribuita al marito la paternità, di un figlio avuto dalla donna in seguito ad una relazione adul¬ terina. Inoltre, l'infante concepito in costanza di matrimonio, ma denunciato all'ufficio dello Stato Civile come figlio di donna che non consente di esser nominata, non si trova, solo per il fatto di essere nato da una donna coniugata, nello stato di figlio legittimo: egli può essere riconosciuto dal genitore che non era unito in matrimonio al tempo del concepimento. Le Sezioni unite penali della Cassazione hanno quindi posto in rilievo come, in sostanza, l'infante acquisti lo stato di figlio legittimo soltanto quando è stato concepito da una donna coniugata ad opera del marito, e poiché con l'atto dì nascita non si può documentare ad opera di chi sia avvenuto il concepimento, l'atto ha valore quando da esso risulti la maternità da donna coniugata. « Se fosse sufficiente, per avere titolo di stato legittimo, l'esserp. stato partorito da donna coniugata, non si spiegherebbe la ragione per cui, per avere il possesso dello stato di figlio legittimo, debbano concorrere i fatti specificati nell'atticolo 23 ì C. C. ; e cioè il "nomen " ed il " tractatus " da parte del padre», è stato ricordato dalla sentenza. « Il costante insegnamento della Cassazione civile è pienamente conforme alle norme che regolano l'istituto della filiazione — hanno affermato così i magistrati delle Sezioni unite penali — per cui la legittimità è giuridicamente presunta in relazione al matrimonio, qualora dall'atto di nascita risulti 11 nome della madre coniugata; se tale menzione manca non solo non funziona la presunzione di paternità del marito, ma al contrarlo, esiste una presunzione della sua non paternità». « Poiché dunque — è stato concluso nella sentenza — nell caso in esame gli infanti non avevano assunto secondo la legge lo stato di figli legittimi, non fu, ad opera degli imputati, alterato uno stato che loro j spettasse legalmente; il titolo è, nel caso, conforme allo stato che loro realmente compete. D'altra parte essendo celibi Eugenio Marchi e Pietro Zangrilli hanno il diritto di riconoscere i figli adulterini da loro procreati. Se effettuando il riconoscimento essi esercitano un diritto che la legge civile attribuisce loro, non può nell'esercizio di questo ravvisarsi reato ». Di conseguenza non può essere sottoposto alle sanzioni penali chi esercita un diritto denunciando come proprio il figlio realmente avuto da una donna coniugata, la quale però non desidera essere menzionata. Guido Guidi I

Persone citate: Antonio Tiberti, Costantina De Polli, Elsa Borriero, Ernesto Eula, Eugenio Marchi, Pietro Zangrilli

Luoghi citati: Roma, Venezia, Vicenza