Condannati i tre fratelli di Venasca riconosciuti colpevoli di due assassini di Gino Nebiolo

Condannati i tre fratelli di Venasca riconosciuti colpevoli di due assassini Sentenza alla Corte d'Assise di Cuneo dopo otto ore e mezzo di camera di consiglio Condannati i tre fratelli di Venasca riconosciuti colpevoli di due assassini Domenico Michelìs: 22 anni di reclusione; Giuseppe: 21 anni; Giovanni: 15 anni - Insufficienza di prove per il terzo delitto - Violenta e penosa reazione degli imputati tra le sbarre mentre il Presidènte legge il verdetto (Dal nostro inviato speciale) Cuneo, 17 ottobre. I tre fratelli Michelìs sono stati condannati. Dopo otto ore e quaranta minuti di riunione in camera di consìglio la Corte d'Assise è rientrata in aula verso sera. Mille e più persone si premevano dalle dieci del mattino nei corridoi, lungo gli scaloni e nella sala fin quasi sotto il banco dei giudici. Gli imputati erano terrei ed immobili. Conservavano sul volto un'ombra della im¬ passibilità che non li aveva abbandonati dall'inizio del processo. Ma appena il Presidente ha pronunciato i loro nomi, anche quell'ombra è caduta, sono scoppiati in urli, lamenti, pianti e implorazioni. La sentenza dice: Giuseppe e Giovanni -Michelìs, responsabili dell'omicidio volontario di Giuseppe Bodino, sono condannati il primo a 21 anni e G mesi di reclusione, il secondo a 15 anni (incensurato, beneficia delle attenuanti generiche; la Corte ha pure te¬ nuto conto della sua minore età all'epoca del delitto). Domenico Michelìs, responsabile dell'omicidio volontario aggravato di Lucia Boero, condannato a ££ anni e 6 mesi di reclusione. Giuseppe Mìchelis doveva rispondere anche dell'uccisione di Michele Arra e di rapina nei confronti di qtiesta vittima: è stato assolto per insufficienza di prove. E con la medesima motivazione è stato prosciolto dall'accusa di avere partecipato al delitto Boero, e dai reati di furto e di falsa testimonianza. Il fratello Giovanni, coimputato di furto, è stato assolto con formula dubitativa. Per tutt'e tre la Corte ha comminato Pinterdizione perpetua dai pubblici uffici e la libertà vigilata per almeno tre anni. La reazione degli imputati, drammatica e penosa, è durata più di mezz'ora ed ha interrotto molte volte la lettura della sentenza. Giuseppe si è abbattuto sulla panca, le braccia gli tremavano; s'è messo a gridare: <Non abbiamo fatto niente, perché non mi credete T ho giurato cento volte! ». Dalla bocca di Giovanni è uscita una lunga lamentazione, un sordo e rauco singhiozzo al quale si è unito Domenico, e la voce del Presidente ne è rimasta coperta. Il pubblico taceva emozionato. I carabinieri nella gabbia sostenevano Giuseppe che sembrava sul punto di crollare svenuto. «Vi prego — ha detto allora il Presidente. — Vi prego, ricomponetevi, debbo continuare ». Il suo tono era accorato e pieno dì umanità. Qualche istante dopo, la scena è ripresa più violenta. Domenico, nell'udire la sua pena, si è scagliato contro le sbarre della gabbia e ha tentato di picchiarvi contro la testa. Trattenuto dai carabinieri, si divincolava urlando: <Io non l'ho uccisa,lasciatemi andare!». Il Presidente si è rivolto a lui: « Avete diritto di fare appello, è nel vostro diritto ». Ma i tre fratelli non lo udivano, tutti assieme piangevano con i fazzoletti sul volto. Giovanni è uscito in un grido altissimo: «Ho sbagliato! Si, ho sbagliato! Quando mi hanno arrestato in Francia, dovevo rifiutarmi di chiedere che mi portassero qui. Sono venuto nella mia patria per farmi condannare! ». Al banco dei giudici, le tre giovani donne che facevano parte della giuria popolare erano pallidissime, esangui. Una di esse, la signora Maria Politano, stamane aveva avuto un malessere. Dopo le molte ore di camera di consiglio per decidere le sorti degl'imputati, sembravano disfatte: adesso i gemiti e i pianti le turbavanoprofondamente. La seduta è stata tolta poco dopo, mentre i Michelìs continuavano a singhiozzare. Nessuno dei loro parenti era nell'aula, né la madre che per undici giorni li aveva assistiti, né i fratelli né la moglie e i figli di Giuseppe, l'unico sposato. Tutti erano rimasti a Venasca, non avevano trovato la forza di scendere per l'ultimo atto del dramma della loro famiglia. Un foulard ha perduto i tre Michelis: la sciarpa di seta acquistata a Grenoble da Domenico una settimana prima di venire in Italia e compiervi il delitto. Fu trovata nella stalla della baita di Lucia Boero, la povera vecchia capraio strozzata la notte del 13 aprile 1958 perché « sapeva e parlava troppo », raccontava in paese che quei giovanotti avevano ucciso due persone. La sciarpa non era l'unico indizio contro l'assassino, ma certamente il più grave, contro il quale la Difesa s'è validamente ma inutilmente battuta. Senza quell'indizio forse Domenico sarebbe libero, e forse anche Giuseppe e Giovanni. Non sarebbero mai riemersi agli occhi dei carabinieri e del giudice istruttore gli altri due precedenti episodi di cui s'è tanto disputato al processo, l'uccisione del contadino Bodino e la morte di Michele Atro. E' stato un caso: ti P. M. dott. Spaziani, nella sua requisitoria, ha parlato di nemesi. Nel 1953, quando si scoprì il cadavere del Bodino in un canale di Venasca, e quando le voci anonime del paese li indicarono subito come gli omicidi, Giuseppe e Giovanni furono arrestati e trattenuti in carcere. Alla fine dell'istruttoria li misero fuori: non erano emerse prove convincenti. Avrebbero potuto vivere senza noie con la giustizia: ma decisero di uccidere la Capraia, e fu la loro rovina. Dal piccolo foulard gli indagatori risalirono indietro negli anni, riaprirono la « pratica » Bodino ormai dimenticata. In Corte d'Assise, sei anni dopo, si sono riascoltati tutti i testimoni, vagliate le voci e gli indizi. 1 giudici ne hanno tenuto conto per condannare. L'episodio rircuro, che il processo non è riuscito ad illuminare, riguarda Michele Atto. La stessa Pubblica Accusa lo aveva definito un « argomento difficile ». Non è stata dimostrata la responsabilità di Giuseppe Michelis nella morte del compaesano. Di tre delitti, questo resta du chiarire. Nella sentenza di rinvio a giudizio, la fine dell'Arra veniva strettamente collegata con quella della Boero. Con l'assoluzione dell'imputato per insufficienza di prove da questo delitto, tutto ritorna nel dubbio: anche i motivi per cui la Capraia « che sapeva » fu soppressa. Ma di Michele Arra si dovrà riparlare: P. M. e Difesa hanno annunciato che presenteranno appello. Gino Nebiolo I fratelli Domenico, Giovanni e Giuseppe Michelìs (da sinistra) scoppiano in pianto nella gabbia delle Assise di Cùneo dopo la lettura della sentenza (f. Aloisio) ■iiiiiiiiiiiiiiitifiiiiiiiiiifiitiiiiiiitiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiin

Luoghi citati: Cuneo, Francia, Italia, Venasca