Domani in Assise i criminali di via Osoppo accusati anche della rapina all'ATM di Torino

Domani in Assise i criminali di via Osoppo accusati anche della rapina all'ATM di Torino Ma a Corte di Afila no giudica, i temerari banditi delle tute blu Domani in Assise i criminali di via Osoppo accusati anche della rapina all'ATM di Torino Diedero l'assalto al furgone della Banca Popolare in pieno giorno a Milano e si impadronirono di 114 milioni di lire in contanti - Molti altri colpi del genere compiuti in precedenza - Uno degli imputati si è ucciso in carcere - Ugo Ciappina, uno dei fuorilegge, afferma: "Siamo banditi da strapazzo,, (Dal nostro inviato speciale) Milano, 3 ottobre. «Non siamo delinquenti incalliti e pericolosi. Siamo appena dei piccoli banditi da strapazzo, se fossimo stati veri delinquenti nessuno avrebbe confessato », ha scritto Ugo Ciappina siili'* Europeo ». Questa sua dichiarazione, fatta alla vigilia del processo, non ha lo scopo d'ammorbidire la corte raffigurando sé e i compagni come ladruncoli alla loro prima impresa, meritevoli perciò d'indulgenza. E' evidente invece il tono sprezzante, di delusione e d'amarezza, per quanti, lui compreso, cedettero agl'insistenti interroga, tori della polizia — un'insistenza del resto che si prolungò per giorni e giorni — rivelando tutto sulln. famosa rapina di via Osoppo. Egli probabilmente non se ne rende conto, ma in pratica quel suo deprezzo è proprio la conferma che essi sono tutt'altro che piccoli banditi da strapazzo. Compariranno lunedì venturo alla corte d'assise di Milano per rispondere di quella e di altre rapine minori — fra cui, notevole, quella commessa in danno dell'ATM di Tq_ rina — Ugo Ciappina, h nando Russo, Armando Bolognini, Luciano De Maria, Arnaldo Gesmundo, tutti confessi. Con questi cinque c'è Enrico Cesaroni, reduce dalle sue disavventure nel Venezuela dove fu arrestato e da lì estradato l'estate scorsa in Italia. Egli nega ogni addebito. Cesaroni era considerato il capo della banda, Ciappina ne era il cervello. Manca il settimo componente, Eros Castiglioni, che è riuscito a far perdere le proprie tracce. Al banco degl'imputati sederanno altri diciassette complici, fra cui Mauro Cusanno e Libero Malaspina che insieme con Castiglioni e con Filippo Cusanno, zio di Mauro, compirono la rapina torinese Mancherà Filippo Cusanno, che ha preferito il suicidio al processo. In totale i ventiquattro accusati dovranno rispondere di sette rapine comprendenti sessantotto reati, variamente distribuiti. La banda, la cui composizione subiva modifiche nei grega- i-'O ri ma lasciava inalterati i ca)'. iniziò la sua attività con M inizio l PPfcr r-c,;**'?•■"*»?• mt %;.o cembre '56 a Milano in danno del macellaio Fedeli. Il bottino non fu rilevante, ma essa dimostrò l'efficienza degli uomini. L'anno d'oro fu il '57, con cinque rapine ben riuscite. Il 6 marzo a una banca di Cesano Boscone, un milione 300 mila lire; il SS giugno in danno del gioielliere Potetti, sedici milioni; il tS agosto contro un furgone del banco di Roma, in piazza Wagner a Milano, dodici milioni; il SI ottobre fu depredato a Milano lo ufficio postale di via Colombo, bottino un milione 700 mila lire; il 16 novembre toccò alla azienda tranviaria di Torino, e fruttò quasi diciatto miiioni. Venne infine la grande, la celeberrima rapina del 27 febbraio '58 a Milano, in via Osoppo, contro il furgone della banca Popolare: bottino IH milioni in contanti, piti J,16 in assegni e tìtoli, inutilizzabili. I IH milioni furono divisi fra i sette esecutori, ai quali toccarono circa quattordici milioni ciascuno. Una quota andò alle spese d'organizzazione, compreso l'acquisto d'un appartamento e il noleggio delle armi, e una modestissima parte fu assegnata ad Andrea Zanata, ideatore dell'impresa, alla quale non potè partecipare trovandosi ospite d'un manicomio criminale. In realtà il rammarico di Ciappina può avere una certa spiegazione. La rapina fu un modello di preparazione tecnica e psicologica e di perfetta esecuzione. In linguaggio criminologico, fu appunto definita un capolavoro. La prima idea fu di Bolognini, il quale, disoccupato, aveva notato il passaggio ogni mattina del furgone della banca Popolare. Per mesi ne seguì l'itinerario. Propose a Ciappina di fare il colpo, ma per qualche tempo egli rifiutò. Dopo -parecchie insistenze, « a malincuore » finì con l'accettare. Il piano fu scientificamente e meticolosamente studiato e preparato con la collaborazione di Zanotti (che aveva ottenuto una licenza premio dnl\ manicomio criminale di Pisn dove si trovava ricoverato) e dagli altri caporioni della banda. Quattro tentativi andarono a vuoto, due falliti e due rinviati per ostacoli imprevisti. Il quinto fu compiuto la mattina del 27 febbraio ed ebbe pieno successo. Si veda di quanta diabolica perizia, sia tecnica che psicologica, essi diedero prova. Alle 9,25 il furgone della banca Popolare giunse all'incrocio di via Osoppo con via Caccialcpori. Sette uomini erano ai loro «posti di combattimento ». All'arrivo del furgone una «1400» come impazzita attraversa lo spartitraffico e va a sbattere contro una casa, al lato opposto della via; Il accorre la gente incuriosita, attratta dal fracasso, lasciando quasi sgombro il teatro dell'operazione. In termine militare la manovra si chiama « diversione ». Intanto un autocarro punta deciso contro il furgone della banca e lo investe. Cinque uomini escono da un furgoncino e da una «Giulietta» (tutti veicoli rubati in precedenza) che sostavano nei pressi; a essi si uniscono gli autisti dell'autocarro investitore e della « l-'/OO » danneggiata; sono sette «omini in tuta e col viso coperto da passamontagna. Uno di essi stordisce con una martellata alla testa l'agente di scorta Matteo Tedesco, uno lo minaccia col mitra, che oscilla fra l'agente, l'autista del furgone bancario Piero Burgonzi c il commesso della banca Gualtiero Re. Gli altri s'impadroniscono delle nove valigie metalliche che compongono il carico, e che contengono 590 milioni, di cui 11!) in denaro contante. Le caricano tranquillamente sul furgoncino, come per una normale operazione di trasbordo. Sullo stesso veicolo salgono cinque di es-isi, due balzano sulla « Giuliet-]•%t*,ty tt.Wf.yry *v-Kìvjvvt'i. L'operazione è durata meno di due minuti e mezzo. Cominciava ora il compito della polizia. Scoprirne gli autori apparve subito un'impresa ardua. Dice bene Ciappina che i rapinati non avrebbero potuto riconoscerli; e nemmeno qualcuno dei presenti avrebbe potuto farlo. La polizia vi riuscì dopo un mese, e pare che il successo sia dovuto proprio agli errori commessi dagli stessi rapinatori. Sono corse parecchie voci sull'origine della traccia che condusse alla loro scoperta e all'arresto; si è parlato di telefonate clandestine, di appuntamenti misteriosi del capo della squadra mobile, di rivelazioni, anzi di delazioni, fatte dal fuggiasco Castiglioni in cambio appunto della fuga. Ciappina parla con sicurezza della spifferata d'un distributore di benzina, già com})lice d'una precedente rapina: «La vittoria della polizia porta il nome di quest'uomo» egli afferma. La versione della polizia jiarla soltanto di errori dei rapinatori. Il più grosso fu quello delle tute. Una partita di tute era stata rubata tempo prima insieme con l'auto d'un commerciante di Castelsangiovanni da Giorgio Puccia e Romano Perego, e ceduto a De Maria, che a sua volta le rivendette a un ricettatore. Ma ne trattenne una, mentre le altre sci usate dalla banda vennero acquistate. iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiini La sera del 6 marzo lo strac cìvendolo Albino Fiori ripescò iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiu 'él Jo/.l limaccioso del fiume Olona. Era proprio quell'unica tuta proveniente dal furto di Castelsangiovanni. La polizia rintracciò la macchina rubala, rintracciò i ladri. Si giunse a De Maria. Da costui si giunse agli altri. Sembra molto semplice, ma ci vollero parecchie settimane. Arrestati il 27 marzo, De Maria, Ciappina, Bolognini, Russo e Gesmundo, negarono. Cesaroni aveva tagliato la corda da un pezzo, e Castiglioni proprio poche ore primo degli arresti (il che parve appunto sospetto, una coincidenza o un fiuto sbalorditivi). Gli arrestati si accanirono-a negare, e il dott. Zamparelli, capo aella mobile, si accanì a interrogarli. Non lì mollò finché non cedettero, quattro giorni dopo. Confessarono ogni particolare della rapina; crollarono gli alibi; una minuscola parte del bottino, qualche diecina di milioni, fu recuperata. Ha scritto con amarezza" e disprezzo Ugo Ciappina dal carcere: «Se fossimo stati dei delinquenti veramente pericolosi nessuno avrebbe confessato. Non c'era possibilità di riconoscimento da parte dei derubati, nessuna prova nelle nostre case. Avevamo contro di noi soltanto un'accusa che poteva crollare; ma ripeto, non siamo dei delinquenti, non abbiamo resistito ». Questo è autolesionismo. Giuseppe Paraci