Aristocratica semplicità di un vero signore di Nicola Adelfi

Aristocratica semplicità di un vero signore LA FIGURA DI ENRICO RE NICOLA IN MEZZO SECOLO RI STORIA ITALIANA Aristocratica semplicità di un vero signore Giurista di fama internazionale, a 32 anni fu, eletto deputato, Giolitti lo nominò Sottosegretario alle Colonie Quando trionfò il fascismo era Presidente della Camera : senza cedere alle lusinghe, si ritirò nel suo studio d'avvocato a Napoli - Era fermissimo difensore del diritto: preferì sempre dimettersi piuttosto che piegarsi al compromesso (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 1 ottobre. Ispiriti e permaloso al punto che nel trattare con lui non si sapeva mai quale fosse il verso giusto, Enrico De Nicola sfuggiva la popolarità trattenendosi il più possibile nell'ombra, non concedeva niente ai gusti plebei, stava attento a tenersi alla larga dalle combinazioni dei politicanti di professione, dalle manovre dei corridoi parlamentari, dalle beghe dei partiti. Era la sua una natura di aristocratico, senza albagia beninteso, ma che provava un'istintiva avversione per le effusioni troppo vivaci, per le manate stille spalle, per i discorsi sboccati; ed egli aveva una indole così poco malleabile che mai e poi mai si lasciò attrarre da quest'arte del compromesso che si vuole sia ii fondamento della politica piatica. Eppure, quest'uomo tutto di un pezzo e per giunta scabrosissimo, lascia dietro di sé una eredità di affetti quali pochi uomini politici ai nostri tempi hanno avuto dopo k7 loro scomparsa. La gente avvertiva che dietro quelle sue apparenze un po' brusche, c'era un galantuomo, un gran galantuomo, forse l'ultimo dei galantuo¬ mini meridionali. Favori, De Nicola non ne faceva a nessuno, ma ogni volta che poteva aiutare il prossimo di tasca sua o con la sua attività di avvocato, allora ?ton stava mai a pensarci due volte. C'erano poi quei suoi modi signorili, il caratteristico modo di cavarsi la lobbia e tirarsela fin sul fianco sia che rispondesse al saluto di un ministro o a quello di un pezzente, l'allargare delle braccia quando camminava incontro a un amico, e le parole garbate, e il sorriso aperto, a circondare la sua persona di una costante, affettuosa simpatia Quando la mattina, verso le nove, spuntava in corso Umherto, dov'era lo studio di avvocato di De Nicola, la vecch'a «//no» verde cupo, era sempre un accorrere (ti passanti, dalle botteghe e dai negozi usciva gente per andare incontro al vecchio statista; alcuni si scappellavano, altri si inchinavano come per una profonda riverenza, i pia vicini correvano a baciargli le mani. E da tutte le parti lo chiamavano chi gridando e chi invece con un sussurrio: « Don Enrico, don Enrico... ». Don Enrico da molti anni non aveva rinnovato il suo guardaroba. Dicono addirittura che si fece confezionare l'ultimo capo di vestiario, una marsina, al tempo >n cui venne eletto Presidente della Repubblica. Tuttavia, quel suo modo di vestire come usava fra le due guerre gli conferiva maggiore distinzione, aiutava a farlo apparire come un galantuomo di altri tempi. Anche nelle amicizie era estremamente conservatore; quasi tutti i suoi compagni di gioventù e ì pochi amici che aveva avuto di poi se n'erano andati da questo mondo, e De Nicola, quando voleva scambiare due parole con qualcuno, ricorreva sempre più a. lungo alla compagnia di Armando Cuciniello, il guardiano giovare e arguto della sua villa a Torre del Greco, oppure n quella della sua fidatissima governante tedesca, Franziska Scimeli. Ma forse i lati più cospicui della sua personalità furono la semplicità e la discrezione. Anche durante la ultima e mortale malattia, anche quando i mr-dici diagnosticarono la broncopolmonite bilaterale e cominciarono a scuotere il capo con una brutta cera, De Nicola cercò di non far parlare il mondo delle sue faccende private. Impose ai i , h i è ' i , , n — i e e o e v l a a o . e a i o n n medici e ai parenti di non lasciarsi scappare una sola parola; sicché, nella sua stessa Torre del Greco, nesj suno sospettava neppure approssimativamente che l'exPresidente della Repubblica andava spegiiendosi. «Gii fanno male le gambe, ma non è niente », rispondevano invariabilmente Franziska Schnell e Armando Cuciniello quando qualcuno domandava come mai Don Enrico non si fosse recato al lavoro a Napoli. La sua stessa villa, la Villa dei Cappuccini, la famosa villa degli oleandri, di cui così spesso si parlava al tempo in cui De Nicola stava in primo piano sulla scena politica italiana, rispecchia la discrezione dell'uomo. Sorge appartata dalla cittadina, se ne sta nascosta alla vista dei passanti da un sipario di ', oleandri e di folti, verdissi- \ mi alberi d'arancio; neppure \ dal cancello è possibile scor- j gerla, perché si trova dopo | un gomito descritto dal via-, le. E' una costruzione linda, per bene, senza pretese o eccentricità, su un pilastro del cancello c'è scritto « Inveni portum>. Nel I9h6, quando Don Enrico fu eletto capo provvisorio dello Stato, i notabili di Torre del Greco, nelle loro riunioni serali al Caffè Cerbone, decisero di fare una sorpresa al loro illustre concittadino; avrebbero fatto allargare e sistemare il viottolo che conduce alla sua villa, in modo che il Presidente della Repubblica non fosse più costretto a infangarsi o impolverarsi le scarpe, ma vi potesse arrivare in automobile. Una mattina una squadra di operai aveva già sradicato due piante di oleandri quando dalla villa piombò giù come una furia Franziska Schnell e imperiosamente fece rimettere ogni cosa al suo posto. Quando entrate nell'interno della villa, la semplicità e una sicura, istintiva distinzione vi accolgono da ogni stanza o corridoio. Non c'è niente di sfarzoso, non c'è niente di superfluo; è la casa di uno scapolo che dal secolo scorso ha trasportato fin oltre la metà del ventesimo secolo tutte le buone cose dell'Ottocento. Nella stessa stanza da letto pochi sono i mobili, ma scelti con molto gusto: il letto è di ottone, ampio e comodo, c'è un comodino scuro, un trumeau inglese, qualche sedia. Però, se si spalanca una finestra, ecco che là dentro entra la campagna vesuviana con i mille colori della sua ricca vegetazione. Indicando con una mano il Vesuvio e i campi circostanti, De Nicola soleva dire ai rari visitatori: « E' questo il mio teatro. Non mi delude mai. Qui le scene cambiano di ora in ora a seconda della luce del giorno, e l'incanto è sempre nuovo. E' una rappresentazione che non mi stanca mai ». Durante l'estate Don Enrico si metteva in una poltrona con un libro in mano, guardava il Vesuvio, il brulichio di luci dei paesi e delle ville, di tanto in tanto leggeva una pagina, fino a quando non arrivava il sonno. Che Don Enrico si mettesse a discorrere con voi di uomini c di avvenimenti odierni, oppure con tutt'e due le mani vi porgesse una tazza di caffè, ovvero dall'alto di uno scanno presiedesse una solenne assemblea pubblica, sempre traspariva dalla sua persona una sottile nostalgia per l'Ottocento. Per questo suo invincibile attaccamento alle idee e al comportamento di altri tempi, egli detestava fotografi come la peste, e irai a la compagnia dei giornalisti, in ogni tempo aveva protetto la sua vita privata e le sue amicizie, specialmente quelle femminili, con un velo di pudicizia. Ma si dirà: come mai un uomo così schivo e ritroso acconsentì a figurare spesso, molto spesso, fra i primissimi attori sulla scena politicat La risposta è difficile, e i suoi stessi amici intimi, aitando si tocca questo ta°to, vi danno ora una spiegazione, ora un'altra. Poiihé nessuna ci sembra convincente, forse una migliore potremo trovare interrogando il suo passato. Enrico De Nicola, sebbene fosse stato ai suoi bei di un giovane aitante e un partito vantaggiosissimo, non volle mai prendere moglie; e se mai il suo cuore conobbe turbamenti amorosi, nessuno se ne accorse. Da sempre portava la cravatta nera in ricordo di Concetta Carpaccio, la madre adorata. Era un avvocali) sconosciuto, alle sue prime armi, quando fu chiamato come difensore nel processo Summonte. Nell'aula infocata della Corte d'Assise venne a trovarsi di fronte, come avversario, Giovanili Porzio, un avvocato di pochi anni più anziano di lui, ma che già faceva parlare di sé per le arringhe appassionate, travolgenti. Bell'uomo dalla testa leonina, Porzio a ogni udienza cambiava vestito, portava all'occhiello un fiore sgargiante, le sue parole calde, i suoi ,gesti drammatici trascinavano al delirio il pubblico. De Nicola invece indossava sempre lo stesso abito grigio, non gestiva mai, i suoi interventi erano pacati, le sue idee avevano per binario solo la logica, nicnt'altro che il freddo ragionamento. A seguire il dibattimento c'era Don Gaspare Calosimo, un uomo che viveva allora ai margini della politica ed era considerato importante nella società napoletana per l'estesa clientela e per le potenti amicizie. Quel giovatic avvocato così acuto e riservato, così poco napoletano, fece grandissima impressione al napoletanissimo Don Gaspare. Così, De Nicola non auera ancora trent'anni quando, quasi scusa accorgersene, fu eletto consigliere comunale; e a SS anni si trovò deputato. Fu dunque il caso che lo sollevò da una aula giudiziaria di Napoli e lo depose a Montecitorio. Giolitti, col suo straordinario fiuto nel distinguere i giovani di merito, gettò presto gli occhi su De Nicola, lo nominò a 36 anni sottosegretario alle Colonie. Ebbe inizio in quel tempo la collana di incarichi ministeriali e parlamentari che doveva concludersi provvisoriamente nel ISSO con l'elezione di De Nicola a presidente della Camera dei deputati. E cominciarono anche allora le prime rinunce e dimissioni. Sia prima del fascismo che dopo, quattro volte De Nicola fu chiamato al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il governo, e ogni volta lui r'spose di no. I napoletani lo volevano sindaco, e lui disse di no. Il re lo nominò senatore nel 19S9, e De Nicola durante il fascismo si tenne lontano da Palazzo Madama. Dopo la caduta del fascismo fu eletto Capo provvisorio dello Stato e in seguito Presidente della Repubblica, ma rimase sempre col cappello in mano come chi sia sul punto di accomiatarsi; e non passava quasi mese che non minacciasse di dimettersi. Fu poi nominato presidente del Senato; ma quando si trovò sul tavolo la legge maggioritaria, la cosiddetta < legge truffa » si cacciò risolutamente il cappello in tenta e uscì senz'altro da Palazzo Giustiniani. Allo stesso modo spiccio, tre anni dopo, si dimise da presidente della Corte Costituzionale. Se dunque molte volte rifiutò e alcune accettò incarichi politici, bisogna anche tener presente che quando acconsentì, lo fece sempre dopo lunghe, estenuanti pressioni da parte di amici, colleghi, altissime personalità. Ma perché mai ogni volta vi furono così tenaci, persino appassionate pressioni intorno a quest'uomo che non chiedeva di meglio se non di essere lasciato in disparte, dietro l'ombrosa cortina di oleandri f La risposta è che se molti uomini politici possedevano eguali o maggiori doti di De Nicola, nessuno aveva più di lui il senso dell'imparzialità. Non era solo una questione di probità, ma soprattutto il fatto che De Nicola sentiva il diritto con una specie di religiosità. Egli venne giudicato volubile e bizzarro, e in qualche rara occasione lo fu effettivamente; tuttavia, nella, maggioranza dei casi, egli preferì dimettersi dalle più alte cariche, rinunciare provvisoriamente alla stessa vita politica, pur di restare fedele al culto della legge. La legge; fu questa l'unico, verace amore di quest'uomo scapolo e con rari amici, che ha trascorso la vita in solitudine. Per questo, tutte le volte che in Italia si determinava una situazione delicata, e avrebbe potuta risolverla solo {'unanimità dei consensi, tutti i partiti si rivolgevano istintiuamente verso la Villa degli Oleandri, e con le loro insi¬ stenze, preghiere, con i loro ragionamenti finivano col trascinare ancora una volta De Nicola alla ribalta. Questo forse spiega come mai a De Nicola, nolente più assai che volente, spettò il, compito di tenere a balia la neonata Repubblica, il primo Senato repubblicano e la Corte costituzionale. Ma era anche qui, in questo suo inflessibile rispetto per il diritto, il limite alle sue possibilità politiche; e di conseguenza anche qui troviamo una spiegazione per le sue frequenti crisi, le famose dimissioni di De Nicola. In effetti, il diritto e la politica sono due cose diversissime. Il diritto non volge ora qua or là per mutar dei venti; la politica invece lo fa. Il diritto non dà ragione agli uni e torto agli altri a seconda della loro appartenenza a questo o a quel partito, oppure tenendo presente la loro consistenza economica o fede religiosa; la po¬ litica invece deve fare i conti anche con queste cose. Il diritto si muove per linee rette, secondo la logica più rigorosa; e invece la politica è l'arte del possibile, traccia i suoi sentieri tortuosi sul viscido terreno dei compromessi. E ancora: chi serve il diritto non può servire altri padroni; chi invece serve la politica, deve obbedire a molti padroni. Per concludere, Enrico De Nicola non fu certamente un grande uomo politico. Tuttavia, sarebbe altrettanto certamente un gran bene per la nazione se la classe dirigente italiana non disperdesse il suo insegnamento. Il quale consisteva nel predicare, con le parole ma ancor di più con l'esempio, che nello Stato moderno esiste, un,solo sovrano, il diritto, e tutti gli organi dello Stato, dal più elevato al più umile, devono obbedire solo, unicamente a quel sovrano. Nicola Adelfi | Una popolana di Torre del Greco rende omaggio alla salma dello statista (Tel.) UIMlllltMMIIIMlllllIMIIIlllIfMMIMIIMllMIMIIMIIlllIllllMMIIIIIIIIIIIIIlllilllllIIIII IIIIIIIIIIilllIIIIIJIlIIMIIMIKIIllIlliltlIMlIlllllllllllIMIIlilIIIlClia ', \ \ j | Corazzieri e valletti del Senato di guardia nella camera ardente (Telefoto)

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