Al diavolo il paesaggio di Paolo Monelli

Al diavolo il paesaggio Al diavolo il paesaggio L'Italia, si sa, è bella. <tE' il Paese della bellezza », dice il protagonista dell'ultimo libro di . Roger Pcyrcfittc, scusandosi subito dopo, « l'antifona è sempre quella, suscita fastidio tanto è ovvia, ma bisogna pur ripeterla quando si ha la religione del bello ». (Che poi la « religione del bello » di cui parlano personaggio e autore sia di natura assai particolare, è un altro discorso). Si sa anche che questa bellezza è la sola ricchezza dell'Italia. Non ha altro. Non ha le materie prime indispensabili alla vita di oggi, né combustibili mincrarii, né ferro in quantità adeguata, né tungsteno e molibdeno e gli altri metalli dell'avvenire; e non ha oro né diamanti; né coste pescose, né grandi fiumi per alleggerire il traffico come la Francia e la Germania; né spazio sufficiente ad una popolazione troppo e inconsideratamente prolifica. Non che non abbia altra consolazione che guardarsi allo specchio; essendo la sua bellezza assioma per tutti i popoli del mondo (finora) ne trac qualche vantaggio pratico; per cui è sempre stata, ed è tuttora (ma non si sa per quanto tempo ancora) mèta di viaggiatori stranieri che vi lasciano soldi; il che induce troppi cittadini a mestieri comodi e servili. Ma pur tenendo nel debito conto questa fonte di guadagno, noi italiani possiamo dirci, come certi bull di una nota pellicola, «poveri ma belli». c Consolate co' l'ajetto », dicono i romani a chi si conforta con fallaci argomenti, o con vane speranze; e credo che la stessa frase dicessero i romani antichi per lo stesso motivo, consolare te cimi alio. Che durando l'andazzo attuale anche quel pattolo delle entrate turistiche inaridirà ben presto (già se ne vedono i segni). La bellezza non è più privilegio di questa nostra penisola; altri Paesi gliene stanno togliendo il vanto; non perché abbiano elementi per piacere di più, o un fascino più adatto ai gusti moderni; ma perché la loro bellezza, per quanto modesta, la sanno con servare, mettere in valore, difenderla da ogni alterazione; e noi distruggiamo la nostra con le nostre stesse mani. Con tanto impegno, come fossimo in preda ad un furore di sacrificio, di abbiezione, di annichilimento; ebbri di dissolvimento, come i flagellanti descritti dal Carducci nell'ode al Clitumno. Sono stato, questo agosto, in Provenza. Un paese poco dotato dalla natura; avvampato dal sole, o corso da venti secchi e. freddi; vaste paludi orlanti la marina, sassaie sterili, colline aride, valli e pianure di povera terra rossastra mal ricoperta di magri cespugli, dossi di calcare aspro, su cui nemmeno l'erba fa presa, solo qua e là i pini insinuano le radici nelle crepe e attenuano un poco con le loro macchie nere la desolazione. Ala l'uomo ha saputo farne una delle regioni più grate alla vista, più amabili a viverci; prima i romani che vi portarono civiltà e coltura e vi hanno lasciato templi e arene e archi e mura e strade; poi i discendenti loro e dei barbari invasori e degli indigeni che con paziente travaglio di secoli hanno dissodato piane e colline e allevato i prodotti più adatti al suolo; e ricoperto il deserto di vigne, di ulivi, di mandorli, di risaie; e dove hanno potuto hanno piantato alberi, alberi grandi e solenni, da averne compagnia e conforto più che utile, olmi, ippocastani, locci, faggi, frassini, platani. Sopratutto platani. I platani sono la veste festiva della Provenza. Ombreggiano per chilometri le strade in doppio filare animando la campagna monotona, si tuffa con sollievo il viaggiatore in quella frescura venendo dagli aliti ardenti della Camargue e della Crau. Se torno col pensiero ai borghi, alle città silenziose e indolenti, ad Arles, a S;?lon ove morì ed è sepolto Michele Nostradamus, a Aix dotta e discreta, a Beaucaire bellicosa che fronteggia sul Rodano la pacifica Tarascona, e Avignone, e Orange, e altri, rivedo prima di tutto il fìtto di platani entro cui stanno sommerse. I tronchi verdazzurri fiancheggiano sui due lati le vie principali, sorgono in ociva dalle piazze, stendono su di esse il vivo trepido fogliame; seggono i cittadini sulle panchine, ai tavolini di un caffè, in felice inerzia sotto quel padiglione lucido che tien lontano il calore estivo e nasconde la vista accecante del cielo limpidissimo e vuoto. (Nel mezzo, una fontana di vecchie pietre muscose.) La Francia ha gli stessi problemi del traffico che abbiamo noi, strade spesso strette e tortuose, guidatori temerari che ogni tanto si fracassano contro un tronco d'albero; ma nessuno oserebbe proporre di abbattere o diradare quelle rigogliose spai lierc; e sarebbe cacciato a furor di popolo il sindaco che proponesse di diboscare una piazza per farne un parcheggio di macchine. Al contrario, spesso è vietaro alle automobili l'accesso alla piazza centrale, mezzo bosco e mezzo parco, e nessun turista * protesta perché deve arrivarci a pdqcnTcuenlsrpplprdtbbdddpnAtppvaamcvcdafidvs piedi. Ma l'Italia altrettanto mediterranea, assolata, arsa per cinque sei mesi dell'anno da un clima subtropicale, l'Italia va a nozze se può abbattere alberi. Tutti i pretesti sono buoni, la costruzione di un vespasiano, di una stazione di benzina, di una edicola di giornali. L'albero è il nemico numero uno degli italiani. A Roma di questi giorni si fa una gran strage di venerande sòfore del Giappone e di platani in corso d'Italia per far posto a certi baracchini sorti per lavori stradali che prenderanno pochi mesi. A Napoli il piano regolatore si dà cura sopratutto di sgominare il verde e le piante, stabilisce che una fungaia di bruire case come le sanno far brutte e inamabili i costruttori d'oggi serri dappresso l'acropoli di Cuma, facendo piazza pulita dei prati dei boschi della campagna più classica e più armoniosa d'Italia, i campi Flegrei. Al Congresso di Stresa per il traffico automobilistico è stata presa in seria considerazione la proposta di alcuni fanatici della velocità, di abbattere tutti gli alberi che ancora sorgono lungo alcune strade nel Veneto, in Piemonte, in poche altre regioni col pretesto che ogni tanto ci vanno a sbattere contro le macchine; criterio discutibile, che dovrebbe portare logicamente all'abbattimento di tutti gli edifici, palazzi, antiche mura che danno forma e limiti ad ogni via. Ma siatene certi, queste nostre proteste non serviranno a nulla, avranno partita vinta i campioni della pialla e del piccone e della scure, le nostre strade saranno tutte un tratturo arido e calvo. Ma non perderanno bellezza, ci assicurano gli eversori, ci saranno sempre come ora, e più fitti, al posto degli alberi i pali le antenne le capriate le incastellature che reggono i cartelloni della pubblicità; decorazione allegra e modernissima, come ognun vede, delle campagne, dei colli, delle marine, a proposito dei quali i congressisti citati non hanno avuto nulla a che dire. E se un automobile va a sbatterci contro e i viaggiatori ci lascian la pelle è colpa loro, palizzate e cartelloni sono strumenti intoccabili dell'industria e del progresso. Il paesaggio interessa costruttori e imprenditori e gli uomini degli affari e della politica solo quando lo giudicano degna cornice di fabbriche, di officine, di opere deturpanti. Per costruire una nuovissima fabbrica di fe tidi gas, con i cistcrnoni e le opere accessorie, ed un pezzo di montagna verde pelato via, non si è trovato di meglio che la pittoresca riviera fra Gaeta Formia; che ne è ferita, e la strada panoramica è perpetuamente intasata dagli autotreni C'è un lago, in Alto Adige, al fondo di una valletta silenziosa che dalla Pusteria si dirige verso altissime cime, che ha una rinomanza mondiale, è mèta ogni anno di turisti raffinati che amano la solitudine ed il mutar di colore delle erode. Ecco come lo descrive uno scrittore inglese del principio del secolo: «E' uno dei più belli, solitari, romantici laghetti alpini, circondato e quasi nascosto com'è dalla potente parete della Croda del Becco (2810 metri), dal Sasso del Signore (2801 metri), dal Col di Ricegon (2652), dal Giovo Grande (2477) e da altre vet- Illir 11 11 11 IMI 111 ! I II II 111111 IMI 11111M11111M Hill I 11 i te imponenti e selvagge. Nelle acque verdeoliva del lago i due giganti prima nominati si specchiano con mirabile nitidezza; mentre sulle pendici circostanti l'argenteo fiore dell'edelweiss e il regale blu delle genziane hanno un rigoglio come in nessuna altra parte delle dolomiti ». E' i lago di Braics. Un altro lago c'è in Pusteria, forse altrettanto pittoresco, pur se meno celebrato, altrettanto solitario e di fermo oscuro colore, sotto le lucenti vedrette di Rics; il lago di Antcrselva. Ora per fare una centrale elettrica non si è pensato di meglio che sacrificare questi due laghi, con tutto quello che la distruzione comporta; fra cui la condanna ad una lenta morte di anemia di due graziosi paesi che vivono del turismo estivo, Villabassa e Monguclfo. Il progetto dormiva da trent'anni, è di ardua e costosa attuazione, potrebbe essere sostituito da un altro che consideri luoghi e acque più fuori mano; nossignore, proprio quello oggi si è stabilito di attuare, con frettoloso impegno. Le popolazioni di quelle valli, e gli abitanti di Villabassa e Monguclfo non sono come gli altri abitanti della Penisola, che del paesaggio, con licenza, se ne fregano tanto quanto progettisti e costruttori; e hanno inviato una protesta a j Roma, con migliaia di firme. Ma non gli daranno retta; al diavolo il paesaggio, alla malora le bellezze antiche e tradizionali; ed i turisti stranieri prendano pure la via della Svizzera o della Scozia, se vogliono laghi romantici. Paolo Monelli < i > M1111 j 111i1j111111r [ 1 ! 11 i 1j111:11 l 11 r1m11l l h1 !ì m

Persone citate: Carducci, Michele Nostradamus, Roger Pcyrcfittc