Dna biografia di Pergolesi in musica
Dna biografia di Pergolesi in musica -= IL FESTIVAL ALLA FENICE DI VENEZIA Dna biografia di Pergolesi in musica Benché difettosa, la composizione dodecafonica di Wladimir Vogel è apparsa la più. ispirata fra quelle eseguite ieri • Applausi calorosi al direttore Nino Sanzogno (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 11 settembre. Il caro nome di Giambattista Pergolesi è iscritto al principio del programma con il quale il Festival internazionale di musiche contemporanee ha iniziato stasera alla Fenice il suo ventiduesimo anno. Quel nome è soltanto un pretorio alla nuova composizione del sessantatreenne Wladimir Vogel, dì cui qualche cosa, già presentata qui, è nota anche altrove in Italia. La sua produzione, non abbondante e neppur scarsa, vivace e quasi estrosa per l'influenza, prima, di Skriabin e di Busoni, segui, circa venticinque anni or sono, la teoria dodecafonica, favorita da un incoraggiante patrono, Hermann Scherchen, che sarà più volte citato in queste cronache. Da un lustro ormai l'uso del sistema dodecafonico appare più deciso e preciso nelle varie composizioni del Vogel, insieme con il proposito di maggiormente svincolare nei testi vocali la dizione dalla cantabilità. Poiché Pergolesi è ricordato dalla cultura germanica più che dalla italiana, e novera colà perfino una Gesellschaft di fervidi e attivi amatori, è venuto in mente al Vogel di scrivere questa Cantata in memoria di Pergolesi, Recitativo ed Epitaffio, affidando a un tenore il testo verbale, che consta di una non breve narrazione in prosa della vita del jesino e dell'elogio inciso nella lapide che segna la casa natale di luì. Come ha disposto la stesu¬ ra? Ecco, il Vogel dichiara: < Per non trarre dalle musiche di Pergolesi i temi, ed impegnarli direttamente, ho costruito una serie dodecafonica, la quale si basa su gli intervalli caratteristici nella musica pergoleslana ». (Mi scusino i lettori l'innumerevole e tediosa ripetizione del vocabolo dodecafonia; è inevitabile perché i compositori lo pronunciano incessantemente, quasi indicasse la sola cosa, il solo fattore, che importi nel campo dell'arte; intanto i bollettini divulgativi dei loro proponimenti pullulano di particolari e di schiarimenti soltanto tecnici). Ho detto che il nome di Pergolesi, come la tematica, fu il pretesto del titolo e della composizione; aggiungo: pretesto dannoso. Quella biograna, intonata nel frigido, impassibile, artificioso, modo recitativo ricorrente in diecine di composizioni, è del tutto superflua, non esprime pietà o ammirazione o tristezza per le vicende del musicista rievocato. La .parte strume«iT tale invece, escluse le Irrilevanti citazioni pergolesiane e le allusioni, potrebbe esser considerata opera d'arte autonoma e pregevole, grazie alle nobili, coerenti espressioni liriche di sentimenti diversi, per lo più mesti, elegiaci, e talvolta rasserenati, talvolta un poco lieti, che nei motivi, nei ritmi, nei timbri suggestivi, restano espansivi e deter minati. Come si vede, ò in di scussione non l'applicazione della dodecafonia, ma l'essenza e l'artisticità del musicista. Benché difettoso, questo pare fra i pezzi stasera eseguiti il più ispirato. Quel tal vocabolo non manca nelle informazioni della Fantasia per clarinetto e orchestra del nostro Antonio Verettì, « composta su una serie dodecafonica, tenendo tuttavia presenti alcuni aspetti della tonalità >. E non c'è da dire altro. Poco noto fra noi, il quarantaseienne Witold Lutoslawski, che studiò matematica e musica, ha fatto conoscere la Musica funebre per archi, presentata l'anno scorso nella città dove nacque, Varsavia. Anche in questo caso, osservate le relazioni stilistiche di lui con Bartok, si aggiunge: « Arricchite con le acquisizioni dodecafoniche da Bartok sfiorate e respinte ». La prima parte ha un carattere molto severo, con un tema dolente che dagli archi gravi perviene lento ai violini e s'espande drammaticamente. La seconda parte si sperde, senza meta. Abbiamo alla fine ritrovato con un nuovo Concerto per orchestra soprano e violino, Rolf Liebermann, delle cui strambe opere, Leonora 40-46 e Penelope, non sapemmo entusiasmarci, e non gli disconoscemmo talento e astuzia. Allievo del Vogel, ora nominato, e dello Scherchen, che tenne a battesimo nel '47 il dodecafonico Furioso, questo Concerto non manca di grazia, di piacevolezza, neppure nella parte sopranile, la quale non intona parole, ma soltanto la prima lettera del nostro alfabeto. Applausi, come sempre, a tutte le musiche, e calorosi al direttore, maestro Sanzogno ed ai solisti: tenore Handt, soprano Kalmus, violinista Fietz, clarinettista Gandini. A. Della Corte
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