America europea di Luigi Salvatorelli

America europea America europea Il compianto André Siegfried inizia il suo classico Tableau desEtats-Uìiis (1954) con un capi- tolo intitolato «La personnalité du contincnt amcricain », in cui afferma che i diversi continenti hanno ciascuno la loro atmosfera propria, la loro psicologia. Pertanto, esiste « un temperamento americano »; e il primo argomento da considerare è il contrasto Europa-America. Avverte bensì, il Siegfried, che l'unità americana è geografica, mentre storicamente le differenze fra le diverse parti dell'America superano le somiglianze. E' necessario, cioè, tener conto del fatto « che il popolo degli Stati Uniti proviene quasi interamente da uno stock europeo iniziale, di razza bianca, di religione cristiana, di civiltà occidentale. La storia, la tradizione, sono dunque presenti; ma deviate, adattate, digerite, spesso rinnegate, quasi sempre irriconoscibili, a causa di una ricostruzione in un quadro continentale interamente differente ». Come si vede, codesta impostazione del Siegfried del rapporto America-Europa non è semplice, e neppure del tutto chiara: si potrebbe anche dire, contraddittoria. Tuttavia, per quanto concerne il tema suddetto (da ora in poi, useremo sempre « America » come equivalente a Stati Unitù, il Siegfried è forse quello che si mantiene più equilibrato, e non spinge la diversità fra i due termini fino all'antitesi pura e semplice, alla reciproca negazione. Invece uno studioso eminente de Lo spirito americano come il Cohimagcr ci dice (trad. it. « Nuova Italia », p. 4) che le origini britanniche, e le derivazioni sostanziali dalla coltura europea classica e moderna, hanno dato — per effetto dell'ambiente — un prodotto così nuovo « da far supporre un distacco dal corso normale dell'evoluzione ». E un altro, non meno eminente, scrittore americano, il Brogan, ne La politica in America (trad. it., Pozza ed.) fin dalle prime pagine ci enumera una serie di fondamentali differenze, in fatto di struttura politico-sociale e di svolgimenti storici, fra l'America e Europa. Accanto a questi americani citiamo il nostro Piovcnc (De America, Garzanti), il quale (p. XVII-XVIII) non si contenta di negare, contro « l'intellettualismo europeo e la boria europea », che l'America sia una pura e semplice derivazione dall'Euiopa, che «l'America non è affatto un'appendice dell'Europa » — ma c'è qualcheduno che ha detto simili baggianate? —; non solo sostiene (e siamo anche qui d'accordo) che l'America è « dotata di elementi che esigono uno sforzo d'ottica e di ambientazione per intenderli e assimilarli »; ma invita l'Europeo a considerare l'America come « la civiltà complementare, quell'altro da se stesso, quel termine estraneo che occorre per formare una civiltà nuova »; e irride al « tenacissimo narcisismo europeo ». (Ma se gli Europei non fanno, oggi, che profondersi in salamelecchi di fronte a qualsiasi popolo, a qualsiasi « civiltà », purché non-europea, o antieuropea!). Beninteso, né al Pioventi, né al Brogan, e tanto meno (come si è detto) al Siegfried, passa per la testa di negare l'apporto europeo alla civiltà americana. E nella Storia della cultura e della società americana di Merle Curri (trad. it. dall'americano, Pozza ed.), troviamo esposto, in ricchi capitoli, come la coltura americana si sia propagata da quella europea, intrecciandosi con essa per due secoli così strettamente da apparire quasi una sola cosa con lei. Intreccio e fusione che risaltano con particolare luminosità quando si esaminino le idee politiche e le correnti religiose di qua e di là dall'Atlantico, sboccanti nella grande civiltà illuministica del Settecento, fino alla rivoluzione francese e alla reazione storicistico-romantica. Locke per l'illuminismo, Burkc per la reazione furono maestri all'America non meno che all'Europa. * * Nella preminenza data dal Siegfried — non da lui sole — al fattore <t continentale », è impossibile non scorgere un determinismo psicofisico, sia pure non sistematico. Dietro il suo stimolo, i tratti caraneristici americani vengono cristallizzati, ingranditi fino alla deformazione, e raggruppati di fronte a quelli europei in una contrapposizione frettolosa e arbitraria. Si vede la diversità particolare e derivata, e non il nucleo originario e persistente. Superficie, struttura e spirito si confondono insieme, a piuttosto il terzo fondamentale elemento è ignorato, o almeno trascurato, per mettere in rilievo solo i due primi. 11.Brogan esalta la stabilità politica americana, considerata eccezionale rispetto agli stati europei, Inghilterra compresa. Ma in verità l'Inghilterra, di fronte "alla stabilità politica americana di poco più di un secolo e mezzo, ne può vantare una che si avvicina ai tre secoli: la «rivoluzione gloriosa » è del 1688. Certo, grandi cambiamenti sono in- tcrvenuti nella vita politica in- glcse in questi tre secoli; e il Brogan ha, superficialmente, ra- gione di contrapporre il mantc- nimcnto del potere e della fun zione presidenziale americana al la trasformazione-riduzione del potere regio britannico. Ma la continuità evolutiva britannica, per quanto riguarda i rapporti fra governo dello stato e « base » popolare, non ha significato diverso dalla staticità americana; e questo significato si compendia in tre parole: libertà, democrazia, legalità. La realizzazione americana dei tre postulati, che sembra verificarsi con la Costituzione degli Stati Uniti del 1787 in un colpo solo, è in realtà il risultato di tutta una gestazione durante un secolo e mezzo nelle Tredici Coonie, con il « parto cesareo » finale della guerra d'indipendenza. Gestazione che fu né più né meno che uno dei passaggi dall'Europa assolutistica a quella liberale-democratica. E già al- indomani della Costituzione americana del 1787 si ebbe la prima serie dei dicci emendamenti del 1791, a cui altri ne seguirono, fino al ventiduesimo del ioji, che riguarda proprio quell'ufficio presidenziale di cui il Brogan vanta particolarmente la stabilità di fronte alle variazioni della Gran Bretagna (la quale, poi, ha finito per trovare nel Premier capopartito l'equivalente, e al di là, del Presidente americano). Tutta la vita politica americana, dopo il 1787 non meno di prima, è contesta di clementi « europei », non meno di quella culturale. Ciò vale per il contrasto iniziale tra « federalisti » di Hamilton (cioè, centralisti autoritari) e « repubblicani » di Jefferson (cioè, democratici autonomisti); contrasto che ha notoriamente collegamenti esteri (anglofili contro francofili). Vale, altresì, per gli sviluppi partitici; e a proposito di stabilità peculiare americana, vorremmo domandare se ci può essere una trasformazione maggiore di quella del nuovo partito repubblicano dalla sua fondazione al tempo di Lincoln, quando proclamò e attuò l'abolizione della schiavitù, al « Great Old Party » di oggi. Vale anche per lo sviluppo capitalistico, in cui l'America seguì, e non precedette, l'Europa; per il contrasto fra industriali e agricoltori, fra protezionisti e liberisti; per lo stretto nesso fra interessi economici, corporativismo sociale e vita politica. Vale, infine, in pieno, per la colossale espansione colonizzatrice del West, a proposito della quale si è voluto creare il mito de « la frontiera ». Perfino l'episodio maggiore e più singolare della storia americana dopo la co: tiluzione degli Stati Uniti, cioè la guerra di secessione, ci riconduce incontestabilmente a grandi movimenti e contrasti europei, quali l'insurrezione morale contro la schiavitù (frutto di uno dei mas-} simi incontri fra illuminismo e cristianesimo), e la tendenza allo stato unitario, accentrato, contro i particolarig ni locali. Sotto quest'ultimo punto di vista, la guerra di secessione americana ci si presenta in parallelo non soltanto cronologico coi ia for¬ mazione dell'unità italiana e di quella germanica; e potremo aggiungere, con la guerra del Sonderbund svizzero, e la successiva trasformazione della Confederazione svizzera in Stato federale (Siaatenbund in Bundesstaat). * * 11 mito « continentalista » è anche il germe della abituale parificazione fra Stati Uniti ed Europa, come appartenenti ambedue alla stessa categoria di formazioni politiche. E' l'equivoco per cui si addita così frequentemente l'esempio delle Tredici Colonie, costituenti già nel 1787 uno stato federale. all'Europa odierna ancora recalcitrante allo stato supernazionale. E' perfettamente lecito, anzi opportuno e necessario, additare I ideale di un ordinamento europeo (e mondiale) supernazionale; ma l'esempio addotto non calza. Le Tredici Colonie, che dettero vita allo stato federale americano, erano già una nazione : mentre l'Europa, da più di un millennio, è un insieme di nazioni. In questo insieme gli Stati Uniti, nazione europea, sono arrivati ad. occupare il primo posto, quello della massima potenza, e della massima responsabilità. Luigi Salvatorelli