Un ritratto di Marziano Bernardi

Un ritratto Un ritratto Anche quella sera eravamo in parecchi, nella casa amica, a contemplare il solito ritratto appeso alla parete della sala sopra il divano profondo, come a vigilare i riposi e le letture dell'ospite; e ancora una volta ci si divertiva, ciascuno con le sue supposizioni, a fantasticare sul piccolo enigma dell'ignoto personaggio, lì sulla tela da circa due secoli, definito nel tempo dall'elegante ma già sobria veste settecentesca, e nel carattere da,llo studio introspettivo dell'anonimo pittore. Particolarmente incuriosiva in quella graziosa figura di giovane dai tratti acutamente espressivi, la sfumatura, sul volto spirituale, di disincantata mondanità in lieve contrasto con lo sguardo intento, fisso sul libro aperto ch'egli teneva in mano. Chi poteva essere l'autore del quadro, non certo gran maestro e tuttavia abile e garbato ritrattista? Forse un bergamasco o un bresciano seguace alla lontana del Ghislandi o del Ceruti, comunque uno di quei lombardi tuttora fedeli alla realtà dell'uomo e della vita prima della dittatura neoclassica dell'Appiani. E chi il soggetto? Un Giovin Signore compagno d'ozi e piaceri di quello del Giorno} o un letterato alle sue prime armi nella cerchia del Beccaria e del Verri, aspirante magari a un seggio nell'Accademia dei Trasformati, ma non ancora tanto ardito da offrire una collaborazione al progressista Caffè? o un abatino opportunista e ambizioso che aveva preferito posare in abito borghese? e perché non addirittura (un po' d'immagina zione aiutando...) il Parini stesso ripulito e raffinato dalle frequentazioni cittadine, alla vigilia d'en trarc precettore in casa Serbelloni? Piaceva congetturare sul pie colo enigma proposto da una pittura che senz'essere un capolavoro aveva però in sé forza bastante da rievocare un'epoca, una cultura, un costume, un temperamento; e piaceva anche la modestia dello sconosciuto pittore che, terminato il lavoro, aveva ritenuto superfluo e vano dichiararne la paternità. Ala ciò che più colpiva era l'aura familiare che qui fra domestiche pareti dal ritratto spirava per chiunque lo guardasse, quasi che l'immagine richiamasse la memoria antica di un antenato del quale si fosse perso il nome, ma non la nozione della remota esistenza e del fardello umano da lui portato sulle spalle fino alla morte. Ebbene, così fantasticando prò babilmente nessuno di noi s'accorgeva che stavamo facendo della critica d'arte, o almeno toccando il punto più delicato e sensibile dell'attuale polemica artistica. Infatti sui dati visivi d'un dipinto, e proprio su quelli che maggiormente Io umanizzavano misteriosamente apparentandolo eoe la nostra realtà di esseri viventi e pensanti, noi ricostruivamo una « persona » che, quantunque ridotta in polvere da quasi duecent'anni, aveva partecipato, benché in un tempo tan to diverso dal nostro, della no stra medesima natura. Era dunque codesta persona come noi « vissuta », cioè aveva sperato amato lottato sofferto « umana mente », e quindi, tramandataci nelle sue fattezze fìsiche, nelle sue caratteristiche morali (per quanto il pittore era riuscito a esprimerle), rappresentava la tradizione, la continuità della sto ria degli uomini. E con questa ricostruzione, ch'era in larga parte vera e propria invenzione, noi inconsciamente facevamo opera di poesia. Non solo. Noi quest'opera, appunto mercé quei dati visivi, estratti, por dir così, da una realtà quotidiana, eravamo in grado di riferirla a un momento preciso di codesta storia, alla peculiarità di un ambiente, di un costume, di una cultura, insomma di una determinata civiltà, Le creavamo quindi tutt'intorno l'atmosfera adatta per meglio capirne noi stessi la genesi ed il perfezionamento, ma anche per meglio farla intendere dai nostri simili, in quanto il fine d'ogni opera d'arte è una comunicazio ne « artistica » di idee e di sentimenti. Ma, molti obietteranno (e sa ranno color» per i quali l'arte si riduce a una pura soggettività di sensazioni che non importa in qual modo possano essere da altri interpretate, bastando ad essi di manifestarle con un semplice « gesto », come oggi si dice, che implica nient'altro che una loro « presenza » nel mondo delle forme; in altre parole, coloro che rifiutando la rappresentazione dell'uomo, delle cose, della natura, s'appagano di esprimere coloristicamente e gra ficamente le reazioni del loro istinto a un'idea o a un soggetto, cine gli astrattisti, i nonfigurativi, gli « informali », o come meglio vi piaccia nominarli), molti obietteranno, diciamo, che ambiente e costume, tipicità fisica e tipicità morale, restano nell'ambito del documento storico, della fisiologia e della psicologia, e sono dunque fatti del tutto esterni all'arte. E fino a un certo punto possiamo anche concordare, benché nessuna grande opera di poesia ci appaia campata in aria, avulsa da un suo proprio tempo storico e da una sua propria dimensione umana, che altrimenti Fidia e Rodin, Giotto e Manet sarebbero tutt'uno. Dove invece non possiamo più concordare è sulla strana, inammissibile conclusione cui sembra — dopo tanta polemica che si afferma adesso « superata » — esser giunta molta critica d'arte attuale: di un'assoluta identità tra arte figurativa o formale, e arte nonfigurativa o informale, o, se si preferisce, astratta. Per fare un esempio, fra una pittura di Casorati o di Carrà e una pittura di Pollock o di Vedova. Perché questa critica sostiene che tutti gli elementi poetici che nutrono una pittura di Casorati o di Carrà sono (se l'espressione è lecita) intercambiabili con quelli che son la base d'una pittura di Poi lock o di Vedova. Che cosa scriveva infatti or non è molto, non in questa sede, un letterato illustre che in passato fu anche critico d'arte militante, uno dei nostri più acuti analizzatori dell'inquietudine moderna, Guido Piovene? « Non ho l'impressione di compiere un atto polemico, ma assolutamente normale, quando appendo un quadro non figurativo a una parete del mio studio. Ci siamo ormai resi conto che la pittura o scultura informale è pittura e scultura alla stessa stregua di quella che l'ha preceduta, sottoposta alle stesse leggi e fronteggiata dalle stesse difficoltà da risolvere. E' cioè una tappa, necessaria, e saldata con le altre, nella storia delle arti. Tanto è vero che oggi pittori e scultori figurativi sboccano nel non figurativo, senza aver l'impressione di usare qualità e mezzi essenzialmente diversi, ma soltanto di muovere verso forme espressive più libere; e altri dal non figurativo, riemergono nel figurativo, anche se è di una specie molto diversa da quella lasciata alle spalle ». Sarà una tappa necessaria. Ala quanto alle stesse leggi, agli stessi mezzi, alle stesse difficoltà delle due espressioni artistiche, ci domandiamo se fra duecento anni le reazioni degli osservatori d'un quadro composto soltanto di colori e di segni senza alcun riferimento a una realtà umana o naturale identificabile, saranno analoghe a quelle provate nella casa amica davanti a un ritratto così segretamente vitale dopo due secoli da indurre persino alla scherzosa supposizione d'esser quello del giovane Parini. Oziosa documentazione estranea alla poesia, simile a quella della meccanica fotografia? No, piuttosto umanità, o disumanità, dell'arte. Marziano Bernardi