Circondata da imperiosi fotografi la divetta si rivoltola gialla sabbia

Circondata da imperiosi fotografi la divetta si rivoltola gialla sabbia = GLI IDOLI INVECCHIANO IN FRETTA NELLA SCENOGRAFIA VENEZIANA =- Circondata da imperiosi fotografi la divetta si rivoltola gialla sabbia Torture, piccoli drammi e smanie alla conquista della popolarità - Non v'è fatica od umiliazione che le giovani non accettino per attrarre l'attenzione - Il volto e la maschera dei "grandi, : anch'essi si atteggiano pubblicitariamente, invitanti o sdegnosi Ma l'interesse per i figli del Festival si accende e si smorza rapidamente; si susseguono e passano le immagini celebri, Gina Lollobrigida, Marina Vlady, Maria Felix e le loro compagne, su uno sfondo di arida malinconia (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 31 agosto. Qui al Lido par di scoprire che, al fondo del fenomeno della vanità, vi è una sfumatura dolente, forse drammatica. Schernire il quadra ..fatuo e schiumegpiante che in questi giorni appare nella cornice del Festival, secondo una rettorica che vorrebbe essere raffinata, ci sembra quasi un segno di leggerezza. In questa specie di osservatorio antropologico che è la riviera di Venezia, la vanità affiora con tale violenza, malinconia e segreta disperazione, che a momenti si ha l'impressione di essere capitati nell'area di un grande sanatorio per malati di nervi, i due mastodontici alberghi che rappresentano le colonne d'Ercole del Lido hanno spesso l'aria di grandi ospedali balneari, con i lettini schierati all'aperto, dinanzi alla riva del mare, i bagnini in grembiule bianco sembrano infermieri. Sarà lo scirocco che soffia implacabile il suo alito sciropposo e coloniale su queste sabbie infuocate a deformare le nostre immagini, non potremmo giurarlo. In questi giorni il Lido sembra togliere i freni a quella proterva follia che è la vanità. Sotto, il velo apparentemente. gaio ed effervescente che avvolge il Festival, quanti piccoli drammi e torture che l'intensità rende struggenti, quanto insonne lavorìo, quante amare delusioni. Non possiamo sottrarci alla suggestione che il fondo di questo mercato di « io » che si svolge all'ombra della Mostra del cinema, è essenzialmente amaro. Tutti, nei modi più vari, vogliono farsi notare, distinguersi, primeggiare, far colpo, far parlare di sé. L'asta dei confronti è continua, permanente. Il meccanismo della gara, che il Festival scatena, sembra trasmettersi a chiunque. L'albergo Excelsior è il centro, è il palcoscenico più acceso della vanità. Il sipario è alzato, si può dire, ventiquattro ore il giorno. Nella hall, nelle terrazze esterne, c'è aria di bivacco. Dai celebri agli anonimi che- vogliono diventare celebri, la gamma dei personaggi è pressoché infinita, il materiale limano variatissimo. Quelli che hanno un nome, cercano di attrarre l'attenzione recitando infaticabilmente. Si avvertono tecniche diverse II distacco disdegnoso di Maria Felix, che non sorride, non parla mai, ruota intorno occhi immiti, belli e scostanti, nei quali si mescolano il disprezzo per il pubblico che l'ammira e l'avidità di essere ammirata; l'incanto affabile, latte e miele, sognante, di Marina Vlady; la grazia scontrosa di ragazza di buona famiglia del tutto estraneu. al cinema di Carla Gravina. Il regista Leonida Moguy s'aggira, onnipresente, con nel viso una espressione complicatissima: ti guarda negli occhi facendoti capire che se tu lo salutassi, dovrebbe fingere di conoscerti, tanto è vasto il numero delle persone di cui s'è dimenticato. Il volitivo Dino De Laurentiis, il più businesslike dei nostri produttori, quest'anno porta in giro un sorriso mansueto, un soffio di cortesia di sapore gozzaniano. Folco Lulli si fa notare per la sua prepotente giovialità, le sue risate somigliano agli scrosci d'acqua delle cascate nel fondo degli abissi. E che dire di Vittorio Caprioli, insonne, spiritoso, sempre di scena, infaticabile parlatore ed imitatore di caratteri celebri? Al lai'orìo dei personaggi noti, si aggiunge l'attivismo degli aspiranti alla fama. La resistenza fisica delle numerosissime giovani che sperano di entrare nell'orbita del cinema, mi sembra degna di nota. Non vi è fatica, non vi è umiliazione, che esse non accettino in nome della loro smania. Passano infaticabilmente dal bikini all'abito da sera e viceversa, appaiono di primo mattino dinanzi alla terrazza dell'Excelsior e dileguano, ombre malinconiche, al primo impallidir delle stelle, si offrono freneticamente sia agli occhi autorevoli e blasés dei produttori veri e finti che a quelli metallici delle macchine fotografiche. Abbiamo osservato particolarmente una di esse, una tedesca di diciotto anni, perché ci è sembrata incarnare un esempio veramente plastico del dilagante fenomeno delle < divette ». Si chiama Barbara V., ha prepotenti anatomie, biondi capelli fino a mezzo la schiena, un viso tondo di caucciù, espressivo come un dolce di formaggio. Il suo attivismo è frenetico. Non perde un cocktail, un rteet-'imcnto, un film, una conferenza stampa. La sua arrendevolezza ai fotografi I è inquietante. Un mattino, 1 per caso, sulle sabbie accaldate del Lido, abbiamo assistito ad una scena penosa. Barbara V., in bikini azzurro, come un frutto senza buccia, era circondata da una turba di forse trenta fotografi scalmanati, urlanti, che la inquadravano da tutte le parti, sollevando un nembo di polvere che si illuminava nel sole, le gridavano di atteggiarsi nelle positure più incredibili vrofittando della sua doci impartivano ordini con un piglio selvaggio, schernevole, ironico... La < divetta » si rivoltavo nella sabbia come un contorsionista al circo, in una specie di trance. Si assisteva penosamente alla frantumazione di una personalità, non era rimasto quasi più nulla di umano di lei, era ridotta ad un insensato manichino di carne. Quale malinconia, quale amarezza, quale crudeltà. Tutto si consuma rapidamente sullo sfondo del Lido. La curiosità è un mostro insaziabile. Dietro i numeri di attrazione che si alternano alla ribalta del Festival, si intravvede il fantasma della noia. I personaggi noti, dopo un breve fulgore, sbiadiscono. Appena sbarcano al Lido, sono circondati da stuoli di ammiratori montano uno sull'altro per vedere l'tdolo da vicino, toccarlo, udire la sua voce, strappargli un autografo. Dopo uno o due giorni, gli idoli invecchiano, si aggirano solitari e trascurati ne¬ j'che j gli stessi luoghi in cui assaporarono il delirio dei fans, l'attenzione del pubblico volge al 7iuovo personaggio ch'è appena giunto o che sta per giungere. In meno di una settimana, abbiamo visto accendersi e poi subito appassire l'interesse per Marina Vlady, Mylène Demongeot, Maria Felix, Gina Lollobrigida, Lucyna Winnika, Sonia Zieman, e via dicendo. Il Festival, che divora i suoi figli, soffre di crescente inappetenza, vuole cibi sempre più speziati, vale a dire nomi sempre più risonanti. E finora, per dir la verità, il banchetto succulento di < divi » che era stato preannunciato all'inizio della Mostra, si riduce ad una dieta piuttosto modesta. Molti si augurano che, negli ultimi giorni del Festival, si affaccino quei grossi calibri che soli, al presente, sono in grado di perforare il vischioso spessore di disincanto che avvolge il Lido. Tanto più che, un po' alla volta, il pubblico del Lido diventa quasi insensibile al bombardamento pubblicitario che l'investe da tutte le parti, alla cavalcata delle trovate; troppi si disputano la sua attenzione con metodi strabilianti. Non solo le attrici calano dal cielo. Giorni fa, in occasione di un cocktail-stampa per l'arrivo di Carla Gravina, cadde sulla terrazza delVExcelsior una pioggia di dentifrici. I/ombra della noia, della stanchezza che si allarga in questa fiera delle attrazioni che è il Lido nel periodo del Festival, accentua quel tanto di dramma che si avverte, nello sforzo di conquistarsi un nome, di emergere al di fuori del mare anonimo, forte negli umani come l'istinto di conservazione. La vanità, se ha lati risibili, sembra sospinta dal desiderio febbrile di non sparire nel nulla, di lasciare in qualche modo un segno. Ed è per questo che, sotto il velo dipinto del Festival, l'affannoso tentativo di iscrivere il proprio nome sulla sabbia del Lido, mostra anche una sua profonda e drammatica melanconia. Alfredo Todisco

Luoghi citati: Venezia