Commedie e drammi in un treno di Mario Gromo

Commedie e drammi in un treno SUIvIvO SCHERMO DKJL< L/IDO Commedie e drammi in un treno Buone accoglienze a «Rociag», un film polacco di Jerzy Kawaleroivicz (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 26 agosto. Anche il cinema ha i suoi megalomani e i suoi modesti, i suol prodighi e 1 suoi sparagnine Da una parte i supercolossi, migliaia di comparse, montagne di cartapesta, miliardi di lire: dall'altra i film raccolti, direi racchiusi, in poco, in pochissimo. Ieri, a un artificioso e mortale duello di spie, bastava una capanna; al film d'oggi basta un treno. Naturalmente, entro limiti del genere, si può anche giungere a risultati stupendi; ma si può anche correre il rischio di scatenare tempeste In un bicchiere d'acqua. Il film d'oggi è prodotto da un gruppo di giovani cineasti di Varsavia, il c Kadr », a capo del quale è, autore ormai di quattro o cinque film, il trentasettenne Jerzy Kawalerowicz. E nel suo ultimo si sentono tipici apporti di gruppo, qui un'intenzione, là un'allusione di più, e la trovatina fin troppo meditata, e la soluzioncina fin troppo accarezzata. Il Kawalerowicz, poi, al suo Pociag («Treno», semplicemente, è già tutto il titolo) ha dedicato cure affettuose, come pochi maniaci di trenini elettrici danno ai loro complicati e casalinghi Impianti. Gli ha anche dato non piccole ambizioni, nascondendole però con una cauta prudenza da vecchio. Apparentemente, non vuole esporsi Si direbbe che s'accontenti di raccontarci, senza pretese, alcuni del tanti episodi che possono accadere su di un convoglio, lanciato in una sua corsa notturna. E invece, quella corsa, è un po' come la vita. Nulla, il vuoto, scompartimenti vuoti, al principio; e nulla, scompartimenti vuoti, alla fine. Durante il viaggio ci si sfiora, ci si incontra, ci si tenta di comprendere, si vorrebbe sapere, capire, si potrebbe ancora proseguire insieme; e poi invece ci si lascia, o ci si deve lasciare, forse con qualche rammarico, oppure più estranei di prima. Facile simbologia, persino trita, ma non tanto facile da calare in un film che racconta un qualsiasi viaggio, un film ferroviario come pochi. * * Si dira che gli attribuisco intenzioni che non ha. Le ha. Basterebbe la compiacenza in¬ sistita con la quale, nell'ultima non breve sequenza, l'Occhio dell'obiettivo si sofferma su ciascuno di quegli scompartimenti ormai vuoti, lo si direbbe l'occhio di un fatale controllore infallibile. E basterebbero le varie vicende che, per diventare tìpiche dì quella piccola umanità, di quel microcosmo, finiscono per avere scarso colore e scarso sapore, e, se non atipiche, diventano quasi apolidi. Qui, di polacco, c'è soltanto la lingua delle battute di dialogo; null'altro segna e definisce quegli uomini. Doppiate il film, e lo potrete facilmente attribuire a qualsiasi altro paese. E allora la giovane signora, la farfallina, che sotto gli occhi dell'ottuso marito si procaccia un'avventura per l'indomani, è una farfallina come ce ne sono tante, anche nei film. E un'altra giovane donna, forse la figura meno scolorita, ha sofferto un vago e Impossibile amore, per dimenticarlo si è concessa a un ragazzaccio che ora detesta; e adesso, non meno vagamente, avrebbe forse incontrato un uomo al quale appoggiarsi, ma quello ha una sua vita, una sua famiglia, muto comprende e muto ricusa. E quest'uomo, un chirurgo, stanco, eccitabile, desideroso soltanto di un po' di vacanza, è lo stanco e l'eccitabile in sé e per sé: senza sfondi suoi, echi suoi, vibrazioni sue. Si ha cosi un film a episodi, episodietti e aneddoti paralleli, nessuno dei quali ha un suo convincente rilievo. Sono sovente ben tratteggiati, come scorci e ritmi esteriori; ma sono anche come avvolti in un magma descrittivo che di quel treno fruga ogni minima possibilità. La casistica di un viaggio del genere è tutta scrutata e sfruttata, non una sola inquadratura, non un solo effetto vanno perduti, quasi si direbbe "he il regista scopra cinematograficamente, per primo, la ferrovia. E lo fa con un Impegno, una sicurezza, un'abilità, e talvolta un gusto, che sarebbero qua e là convincen ti, se poi la sua sceneggiatura non facesse subire al film un grave deragliamento. * * Poche ore prima della partenza, è stato compiuto un uxoricidio. Appena lo sappiamo da un giornale, tra le ma¬ ni di un viaggiatore. Il passeggero-chirurgo che, come già si è detto, è molto stanco, chiuso, Irritabile, con quei suoi funerei occhialoni neri, con quel suo volto sempre contratto, potrebbe destare nello spettatore qualche sospetto: e infatti, a due terzi del viaggio, è .ir; • '.ato. Ma subito si viene a sapere che l'assassino è un altro. Ed è sul treno. Ricerche affannose, un po' di gialletto non c! sta mai male. L'assassino, di vettura in vettura, è giunto all'ultima, sta per essere acciuffato. S'aggrappa al segnale d'allarme, e fra uno stridere di freni si butta, nella notte, per la campagna. A inseguirlo si buttano i poliziotti, è il loro dovere. Si comprenderebbe che fossero aiutati da qualche volonteroso. C'è sempre, qualche volonterosa. Ma è invece come una fulminea mobilitazione di tutti gli uomini validi appartenenti al convoglio, tutti si buttano in una scatenata corsa per la campagna, è proprio una grande muta di comparse, all'inseguimento, alla caccia; e il film va a finire su di un binario morto. Ieri si era sperato nel film d'oggi (e quattro) ; e oggi speriamo allora in quello di domani, il primo italiano: Esterina, di Carlo Lizzani. Mario Gromo

Persone citate: Carlo Lizzani, Jerzy Kawaleroivicz, Jerzy Kawalerowicz, Kawalerowicz

Luoghi citati: Varsavia, Venezia