L'utente paga le conseguenze di un'errata politica di sviluppo

L'utente paga le conseguenze di un'errata politica di sviluppo L'aumento delle tariffe telefoniche e gli investimenti per i nuovi impianti L'utente paga le conseguenze di un'errata politica di sviluppo Grande squilibrio di densità tra le varie reti - Il piano regolatore nazionale per eliminare le deficienze - L'incremento di un servizio pubblico indispensabile alla vita di una società moderna (Nostro servizio particolare) Roma, 25 agosto. Le polemiche sugli aumenti delle tariffe telefoniche, hanno riproposto il problema del costo, dell'efficienza e dell'adeguatezza della rete nazionale. Trattandosi di un servizio pubblico, e cioè di una organizzazione per realizzare fini di interesse generale della collettività, è parso eccessivo un aumento tariffario del 25%, risolventesi in un aumento reale variabile tra il 120 ed il 140 per cento. I competenti organi statali hanno motivato l'aumento con la politica di sviluppo e ammodernamento degli impianti telefonici prevista dal piano regolatore telefonico nazionale elaborato dal Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni. E' necessario per attuare il piano, portare le tariffe ad un livello che consenta alle cinque società concessionarie, assorbite dal 1" gennaio 1958 nel gruppo Iri, una gestione economicamente in equilibrio. Per (hiarire la tesi, gli stessi organi hanno precisato che i vari tipi di utenze in Italia godevano finora di tariffe notevolmente più basse di quelle estere: facendo eguale ad a uno la tariffa italiana per utenze private, quella inglese sarebbe pari a 3,47, quella svizzera a 4,02, quella francese a j7,07. Passando alle cosiddette grandi utenze, (uffici industriali, professionali, commerciali), il rapporto scende, invece, a 1,86, 2,22, 3,90. E' stato subito obiettato che l'utente medio in Italia ha un potere di acquisto inferiore, per cui, nel caso di un servizio pubblico, questi rapporti comparativi hanno valore finanziario ma non economico. Molte altre obiezioni sarebbero possibili, ed altrettante repliche, suffragate da giustificazioni statistiche, potrebbero opporre gli organi competenti. Ma sarebbe più giusto osservare che il servizio telefonico subisce le conseguenze di una errata politica di sviluppo. Nel 1925 il governo divise il territorio nazionale in 5 zone telefoniche, concedendole in gestione per un trentennio a 5 società private (Teti, Stipel, Timo, Telve, Set). Allo Stato riservava la gestione diretta del collegamento fra capoluoghi di provincia e il diritto dì riscatto allo scadere dei trent'anni, col preavviso di un anno. In questo modo si continuava la linea politica già seguita dai governi pre e postrisorgimentali riguardo ai servizi postale e ferroviario: 1) concessione in gestione a privati, per un periodo di tempo sufficiente ad ammortizzare le spese di impianto e sviluppo ed a detrarne un utile ragionevole; 2) riscatto da parte dello Stato di un servizio che nel frattempo aveva raggiunto le dimensioni e la domanda proprie di un servizio pubblico. Non si comprese, tuttavia, che oggi la domanda e la necessità di sviluppo di un servizio pubblico crescono con progressione assai maggiore che nel secolo scorso, tanto che in molti casi possono non sotto stare alle leggi di una norma le redditività finanziaria. Allo scadere della concessione trentennale, si constatò che la rete telefonica in Italia si era sviluppata meno nelle zone dove minore era la convenienza economica per le società. Su un totale di circa 1.600.000 abbonati delle prime quattro categorie tariffarie, 1.408.000 erano nel Nord, 171.500 nel Sud. Quindi, un terzo della popolazione nazionale aveva solo un decimo dei telefoni. Analoga era la situazione nella rete interurbana. Poiché lo sviluppo di reti urbane era maggiore dove maggiore era la richiesta di collegamenti interurbani, lo Stato, non disponendo di impianti sufficienti, cedette alle società concessionarie anche le linee interprovinciali, contro l'obbligo della costruzione della rete necessaria, e mantenne sotto la sua gestione diretta solo il collegamento su grandi distanze. Nel Meridione tuttavia, la scarsa diffusione del servizio urbano limitava la domanda dell'interurba no, per cui la Set non ritenne conveniente costruire una rete regionale, e il traffico continuò ad essere smaltito dalle linee statali. Nel dopoguerra, le necessità di ripristinare gli impianti e l'avvicinarsi della scadenza della concessione non invogliavano le società ad attuare lo sviluppo territoriale e tecnico dei collegamenti nella misura richiesta dall'evoluzione dell'economia nazionale. Lo Stato dovette quindi intervenire per completare gli allacciamenti intercomunali, coprendo le spese al 50 %. Nel solo Meridione, su 2800 Comuni, 1300 erano senza telefono. In pratica, nel gennaio del '58, quando, dopo tre anni di proroga, lo Stato riscattò la concessione trentennale, trovò una rete telefonica che presentava notevoli squilibri di densità territoriale ed era ancora da automatizzare quasi per intero. Nella sola zona di pertinenza della Set, per rendere automatico il servizio (teleseleziono), era necessario portare la rete dei circuiti eia 62.000 a 180.000 km., ossia triplicarla. Per eliminare le deficienze del servizio fu elaborcto il già citato piano regolatore telefonico nazionale. Per la sua attuazione vi erano due possibilità: o creare un ente unico nazionale per I telefoni, o ir- "e in vita le cinque società assorbendole nel gruppo Iri. Fu seguita la seconda via, sia perché Tiri possedeva, fin dal 1933, parte dei pacchetti azionari della Telve, Stipel e Timo, sia perché si preferì continuare la gestione con criteri privatistici, anche se con capitale dello Stato. A questo punto è da valutare in che misura l'aumento delle tariffe sia in contrasto con il programma di incremento delle utenze. Per rispondere al quesito è necessario considerare anzitutto che nel Nord, alla fine del '55, i telefoni privati duplex, a tariffa più economica, erano il 75%, mentre nel Sud, dove il telefono era rimasto un oggetto accessibile solo alle grandi utenze ed ai più abbienti, i duplex non raggiungevano il 34%. Si tenga conto d'altro lato che un servizio pubblico è parte dell'ossatura necessaria alla vita ed allo sviluppo di una società moderna, onde la sua attività economica non si misura solo dal gettito finanziario delle varie unità di servizio poste in vendita, ma anche dall'incremento di reddito della collettività che ne usufruisce per la sua attività produttiva. Se ci si vuole quindi indirizzare verso una . politica di estensione del servizio pubblico telefonico, è da vedere se sia economicamente conveniente aumentare le tariffe senza tenere conto dell'effettivo potere d'acquisto dell'utente medio (impedendogli così di usufruire del servizio), ovvero mantenere ad un livello accessibile le tariffe, addossando allo Stato l'onere della copertura dei costi. In questo modo, automatizzati e sviluppati gli impiantì al livello delle necessità nazionali, lo Stato, grazie all'aumentata utilizzazione della rete telefonica, potrebbe gestire il servizio a costi decrescenti. r. »,

Luoghi citati: Italia, Roma, Set, Stipel, Telve, Teti