L'uomo che gettò l'orologio nel fiume di Nicola Adelfi

L'uomo che gettò l'orologio nel fiume —LAPPONIA. PAESE DEL GRANDE SILENZIO — L'uomo che gettò l'orologio nel fiume Qui si vive fuori dei confini del mondo, e il tempo non ha senso - Patetica storia di un disperato che ritrova la felicità - Le creature del bosco guardano stupite la corriera postale - Arrivo al settantesimo parallelo poco prima di mezzanotte - Un lago, le montagne coperte di neve, dodici tende di lapponi, gli abeti piccolini: scenario da Babbo Natale - Allegra zuffa eoa l'orsacchiotto che .mangia. .1.8cioccolata (Dal nostro inviato speciale) Lapponia, agosto. Via ria che da Helsinki volate iti direzione del Polo ì ^rd, ijli aeroporti diventati sempre più piccoli, consistono in una baracchetta e in una pista in terra battuta nel deserto; quando gli acropianini atterrano o decollano, tutto scompare in un denso polverone. Dopo 800 chilometri di volo e un gran numero di soste, si arriva infine a Bovaniemi, sul Circolo Polare Artico. E' la capitale della Lapponia, una cittadina che si direbbe nata ieri così nuovi e leccati sono gli edifici. Nel sole di mezzanotte splendono le acque violacee del grande fiume, non si ode alcun rumore di uomini, di motori, di animali. Sembra di essere capitati in un paese costruito frettolosamente e subirò dopo abbandonato: vuote sono le grandi piazze e le strade diritte, alle finestre non vedete un volto: nemmeno un cane o un gatto striscia lungo i muri. L'unica cosa viva è il fiume. Gli occhi non si stancano mai di fissare la scura e vorticosa moltitudine di tronchi che la corrente trasporta ininterrottamente nei mesi estivi. Rovaniemi è l'anticamera del grande Nord. Poi, fino al Mar Glaciale Artico, non trovate che boschi, la tundra coperta di muschio e di lichene, laghi, qua e là mio sperduto avamposto della civiltà, sulle colline e sui monti settentrionali circa 2500 lapponi e le loro sterminate mandrie di renne. E' questa, la Lapponia, come un immenso museo naturale, dove ogni cosa è rimasta qual era nei tempi in cui sulla terra apparvero i primi uomini; è un musco che resta aperto un paio di mesi l'anno, nella stagione in cui il sole scende verso l'orizzonte a mezzanotte, ma poi riprende di là a salire verso lo Zenit. Io ho percorso un migliaio di chilometri oltre il Circolo Polare, ora andando verso il Nord ora deviando verso l'Est. L'impressione più immediata e costante è di essere usciti fuori dai confini del mondo, fuori dalle cose reali. L'avere il sole negli occhi ventiquattro ore al giorno, non vedere altra traccia di vita umana al di fuori della pista che state percorrendo, e poi sempre quell'ossessivo silenzio finiscono col mettervi in una condizione stupita che talora rasenta la angoscia. Si arriva a pensare che da quel mondo pieno di luce e di silenzio, da quella specie di limbo terrestre, non sarà più possibile uscire, non sarà dato tornare indietro alle città popolose, alle campagne bene ordinate, ai traffici consueti. * * Lo vidi, alto su uno sco^ glio, a un gomito del fiume Tana, e da lontano cominciammo a gridarci « hello », a farci grandi gesti di saluto. Fummo subito ornici, senza neppure un'ombra di riserbo. Depose la canna da pesca, sempre domandando di me e parlando di sé tagliò un filetto da un grosso salmone e lo mise su una specie di graticola, accostò alla brace la cuccuma del caffè. Il suo nome non importa, ma forse la sua storia. Mi disse che al punto in cui era giunta la sua vita, con la moglie che lo tradiva e un figlio in carcere per delitti innominabili, con l'azienda che s'ingrandiva e lo ammazzava di lavoro, davanti a lui restavano solo due strade: o continuava a riempirsi di alcool in attesa di andare a finire in un manicomio oppure si sparava. Dopo una notte insonne, e quando già più volte si era alzato per accarezzare la rivoltella, aveva scoperto la terza strada: la Lapponia. Era ora un uomo felice. AfenraZmenfe aveva rimesso ordine nelle sue cose, sapeva che cosa fare della bella incoglie infedele, del figlio sciagurato, della sua tirannica azienda. Viveva da quasi un mese solo, per giaciglio aveva il terreno, per tetto una tenda. Un giorno si e un giorno no da un posto di ristoro gli portavano quanto potesse occorrergli. Non si annoiava mai. Mi disse che a Detroit, nella sui splendida magione, egli si .sentiva sempre uno schifilo: ma che là, sporco e irsuto, col suo fiume e la sua tenda, gli pareva di essere più di un sovrano, padrone di sé e del suo tempo. Gli andava di dormire? Ebbene, non aveva che da lasciarsi cadere giù. Gli piaceva molto che il sole non tramontasse mai. < Uno qui ha ventiquattro ore al giorno per godersi la vita. Non dormo mai più di due o tre ore di seguito. Però dormo quando ne ho voglia. Certe volte mi alzo alle due di notte e mi metto a pescare. Certe volte faccio lunghe camminate, torno a casa alle cinque o alle sei del mattino, mi preparo il caffè e mi appisolo. Due ore dopo sono di nuovo sul fiume a pescare. Poi magari mi cucino qualche cosa e torno a dormire. Il giorno dopo che arrivai da queste parti gettai l'orologio nel fiume, perché qui il tempo non ha senso ». Spesso incontrate pescatori di salmone nella Lapponia. A volte formano grandi brigate, venti e più macchine che stanno allineate sul greto di un fiume o in riva a un lago; a volte sono invece due o tre automobili e altrettante tende. Ma, anche, seppure più raramente, vedete una sola automobile, una. sola tenda, un uomo solo. In questa regione, ch'è una delle ultime riserve di silenzio e di natura vergine che esistano al mondo, vengono a immergersi da tutte le parti del mondo. Ho incontrato un industriale piemontese con la sua figlia bionda e intelligente, e nei prossimi giorni all'aeroporto di Ivalo dovrebbe arrivare uno dei più famosi pescatori italiani, l'on. Enrico Mattei, a bordo del suo reattore. < Poro ». * Poro, poro >. ■: Poro, poro, poro... ». E' questa l'ur.ica parola finnica che io difficilmente dimenticherò mai. La udii centinaia di volte durante il viaggio di oltre dieci ore che compii a bordo della corriera postale che attraversa da un capo all'altro la Lapponia. Sebbene il mezzo di trasporto fosse moderno, sembrava per il resto un viaggio di altri tempi. La strada era un grosso sentiero tagliato attraverso i boschi vergini della Lapponia, e le creature dei boschi ci venivano incontro con espressioni stupite, occhieggiavano attraverso l'intrico di piante del sottobosco oppure dall'alto degli alberi. Ma erano specialmente le renne, che i finlandesi chiamano < poro », ad eccitare i viaggiatori'. Talvolta era un animale vecchio, solitario e sdegnoso, talaltra una madre col figlio rossiccio, più spesso branchi. Non avevano paura né della sobbalzante corriera né del clacson. Attraversavano la strada con calma, senza nemmeno guardarci; solo una volta entrate nel bosco, le renne si voltavano a guardarci di traverso. Di tempo in tempo, laddove stavano tre o quattro casette, la corriera si fermava per consegnare e ritirare la posta; e anche allora durava l'illusione di trovarsi nell'ultimo Far West che esista al mondo. Non von'< paesi, ma colonie minime impiantate dalla civiltà per poter mantenere aperta l'unica strada che da Rovaniemi conduce fino alle rive del Mar Glaciale Artico. Perciò trovate un posto di ristoro, una pompa di benzina, e qualche volta un emporio rudimentale dove i lapponi barattono i prodotti delle renne con altre merci. Tutt'intomo a quei nuclei dì civiltà si distende fin dove arriva l'occhio la terra lappone vuota di case, di strade, di pali telegrafici, di qualsiasi indizio del mondo contemporaneo. Partiti da Rovaniemi al tocco, arrivammo poco prima di mezzanotte verso il settantesimo parallelo. Le solite tre o quattro case, ma anche un buoti albergo. Il sole si era appena nascosto dietro il monte Sauna, e gli occhi avevano un po' di riposo. Scendemmo verso il lago, e di fronte a noi era un ampio anfiteatro di montagne coperte ai nei;e. SU una spianata sorgevano uno /iimmiiimii iiiiiiiimimiiiiiiimimiiiiii dozzina di tende lapponi. Il paesaggio era quello che convenzionalmente si attribuisce a Babbo Natale: la neve, le renne dai garretti nervosi e con un ampio palco di corna, e infime gli abeti che là, nell'estremo Nord, crescono non più alti di quelli che sotto Natale noi portiamo nelle nostre case. Sotto un ciuffo di betulle un piccolo lappone dal volto arguto giocava con un orsacchiotto di pochi mesi; lo metteva in piedi, con, una manata gli faceva perdere l'equilibrio e ruzzolare, l'orsacchiotto lo caricava con le fauci aperte ma non riusciva mai a morderlo. Il ragazzo aveva trovato poc'anzi quel suo amico di giochi nel bosco. Una signorina tedesca in shorts diede all'orsacchiotto un pezzo di cioccolata, poi un altro e infine quel che le restava di un'intera tavoletta. Quando l'orsacchiotto finiva d'inghiottire e di leccarsi i denti con la lingua, con una zampa bussava su un'anca della giovane tedesca e grugniva. La seguiva dappertutto come un cucciolo. Ma la tedesca ora non gli badava più, intenta com'era a far scattare l'apparecchio fotografico. L'orsacchiotto infine, dopo aver bussato e grugnito svariate volte, affondò gli unghioni nel di dietro dei calzoncini e con uno strappo solo mise nei guai la turista distratta. Nicola Adelfi mmiimiiimmmiiiiimmiiiiim luminimi

Persone citate: Del Grande, Enrico Mattei

Luoghi citati: Babbo Natale, Detroit, Helsinki