Ritratto di Adele

Ritratto di Adele GLI INEDITI DI SABA Ritratto di Adele Le pagine inedite di Umberto Saba ohe pubblichiamo, appartengono agli ultimi mesi della sua vita. Sono l'inizio di uno di quei «Ricordi-racconti », come egli li chiamava, che, sotto la forma di lettere alla figlia (il aolo modo, egli diceva, che permettesse ancora, a lui, vecchio e stanco, di scrivere, perché gli dava il senso necessario di rivolgersi ad un essere amato), andava allora componendo per La Stampa, e che raggiungevano talvolta, per intimità e profondità di ispirazione, l'altezza della sua più semplice e compiuta poesia. Come risulta dalla corrispondenza con la figlia, Saba teneva particolarmente a questo Ritratto di Adele: sentiva in essa uno dei suoi personaggi, dove la realtà è del tutto trasfigurata e resa eterna. Ma l'inizio stesso del racconto mostra che la sua misura sarebbe stata assai più lunga di quanto possa esserla quella di un elzeviro: ed è per questo che il poeta aveva interrotto qui la stesura. Si riprometteva di riprenderla in una lunga narrazione, dove Adele sarebbe stata, senza dubbio, una delle figure perfette di quella * autobiografia » che fu un costante suo progetto. La morte non permise di compiere l'opera. Ma il frammento che rimane è già, di per sé, un momento completo, col vago e il preciso del ricordo, e la penetrazione acuta nell'animo infantile; e 11 tempo; e l'amoroso mondo dei sentimenti, vivo nella bambina di Spalato, nella fanciulla di Trieste. Mia cara Linuccia, quainlo tua madre era poco più di una bambina, abitò, per qualche tempo coi suoi, a Spalato. Spalato era un'incantevole cittadina; ed 10 la vidi quando avevo circa diciannove anni. Oggi si chiama Split; e qui devi permettermi una piccola parentesi. Sai che ruo padre ama troppo l'Italia, per essere — come si dice — un « nazionalista »; gli basta essere un nazionale. Ma questo nome di Split, che la sullodata cittadina porta ormai dalla fine della seconda guerra mondiale, non può non ricordarmi tre versi di una poesia di Gabriele d'Annunzio (Per i marinai morti in Cina). Dicono: A Sebcnico, a Scalato, a Gravosa alla latina sponda, cui San .Marco legò la sua galera. Perdonami se, a torto o a ragione (la cosa non ha più che una importanza x letteraria »), il acme di Spalato mi commuove e dice qualcosa più di Split. Per ritornare a tua madre, ed iniziare col suo ricordo (quella donna continua, anche dopo morta, a farmi dei doni) il ritratto di tua zia Adele, ti dirò che il maggior regalo che i suoi le potessero fare, era permetterle di condurre a passeggio una sorellina fra i due e i tre anni; raccomandandole (ma la raccomandazione era inutile) di tenerla bene stretta per mano. La conduceva, o si lasciava condurre dalla piccolina, dove questa voleva. Dovunque, tranne in un posto, che sarebbe stato il preferito dalla piccola Adele: in una pasticceria; non aveva i quattro soldi che costava allora una pasta. Forse anche tua madre, che — come ho detto — era anche lei quasi una bambina, ne desiderava una; ma le sarebbe bastato, ed anche avanzato, far felice la sorellina che teneva per mano... come, con quanto amore doveva tenerla! Disgraziatamente, tua madre aveva per la Spalato di allora due difetti: mostrava più della sua età; e, lei che, da quando l'ho conosciuta « occupava poco spazio a questo mondo», era, nella prima adolescenza, molto <t formosa ». Quest'ultima qualità sembrava allettare in modo particolare i dalmati; che — non desiderati — la seguivano per via. (Devi sapere che, al tempo remoto a cui mi riferisco, un dalmata, se gli accadeva di nominare la moglie, premetteva sempre un « con rispetto parlando »; qualche volta sputava an.:lie per terra; anche se la moglie lo seguisse ai sei prescritti passi di distanza). Finalmente un giorno un tale (credo fesse — non ricordo bene — un cartolaio) si accostò alla coppia, tenendo in mano un'enorme bambola, vestita, questa, con gran lusso. Si levò, con un rispetto anche eccessivo, il cappello, e chiese a tua madre il permesso di regalare la bambola alla bambina, di cui diceva — e forse a ragione — di non averne mai veduta una più bella. Puoi immaginarti la reazione di tua zia Adele, quando, con gli occhi spalancati, quasi avesse veduto il paradiso in terra, già allungava la manina per afferrare quella inaspettata meraviglia; vide invece tua madre allontanare da sé il donatore, e 11 dono, del quale aveva troppo ben capito il significato: una vita (la sua) per una bambola. Urla, pianti, grida, puntare i piedi per terra, voltarsi ogni momento nella vana speranza che il donatore ritornasse pugni che tirava, con la mant libera, a tua madre (che de¬ ve esserle apparsa in quel momento come una tiranna ingiusta e crudele: un mostro affatto incomprensibile) a nulla valsero. Tua madre abbreviò la passeggiata, e riportò, sempre più urlante, la sorellina a casa, dove tutti dettero ragione a tua madre. La piccola Adele invece toccò appena la cena, e chiese di essere subito messa a Ietto, ove, del resto, sia pure piangendo, si addormentò. E chi sa, chi saprà mai dire l'effetto che fece, che può aver fatto per tutta poi la vita, quel dono cosi piovuto dal ciclo e, per ragioni così a lei incomprensibili, vietato alla sua cupida infanzia? E, se avrà sognato quella notte, che sogni avrà fatto la treenne Adele? Il giorno dopo parve aver dimenticato la bambola e il resto; questo vuol , dire — almeno per me — che tutto era, non già dimenticato (non si dimentica mai nulla) ma semplicemente caduto nell'insondabile (o quasi) abisso dell'inconscio. La prima volta che vidi l'Adele (l'episodio della bambola mi fu raccontato, molti anni dopo, da tua madre) fu a cena da lei. Entrò irritata, ed in ritardo; non fece alcuna attenzione a me, sebbene sapesse che volevo sposare sua sorella; non ascoltò nemmeno — credo — ;:::!)[>[iitjiiiirii!iiiiìi[iiiiii[iiii[iiiri[ iiiiii il mio nome, e si mise subito a tavola, dove era stata conservata la cena per lei: dell'insalata ed un piatto — tenuto in caldo — di spezzatino! Volle mangiare prima l'insalata, ma al primo boccone, disse, con gli occhi sfavillanti d'ira : « Sta salata xc marza» (questa insalata e marcia); e spinse lontano da sé il piatto che la conteneva. Tutti (specialmente tua nonna) protestarono: ma lei non fece alcun caso. Mangiò in fretta lo spezzatino (senza accorgersi che questo era, in mio onore, di lepre) e si ritirò subito nella sua stanza, senza né guardare, né salutare nessuno. (Tutti, in casa di tua nonna, erano dei violenti e, — tranne la povertà e, alcune volte, la forma — degli aristocratici). Questo fu il mio primo incontro con lei. Il secondo fu quando apersi involontariamente la porta che metteva nella stanza dove la giovinetta — che passava giustamente per essere « la più bella ragazza di Trieste » — prendeva in una tinozza il bagno quotidiano. Vidi non Venere dagli occhi un po' loschi, ma Diana amata da Ippolito, o, meglio ancora, Minerva. Vidi raramente nella mia vita qualcosa di più perfetto, di più casto, di più puro... Umberto Saba iiiiiiiiiiiiiiiitiiitiiiitiTiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiriiiiii

Persone citate: Gabriele D'annunzio, Ietto, Ippolito, Minerva, Umberto Saba

Luoghi citati: Cina, Italia, Sebcnico, Spalato, Trieste