La lezione del Carducci
La lezione del Carducci La lezione del Carducci LIBRI IN VETRINA Manara Valgimigli, fedelissimo, che udì il poeta leggere Dante, Petrarca, Leopardi, interpreta e commenta le Odi barbare - Quando la fiducia non tempera l'orrore - L'ottavo giorno della settimana La conoscenza, quasi completa, dell'epistolario carducciano (mancano più di duecento lettere alla marchesa Dafne Gargiolli — ma sembra rinata la speranza di poterle leggere — e parecchie altre alla contessa Silvia Pasolini), il ritorno studioso all'opera dell'ultimo grande poeta del nostro Ottocento e, insomma, cinquanta anni di revisioni critiche esigevano un commento generale nuovo alla lirica carducciana. La casa ed. Zanichelli ne ha affidato da tempo l'incarico a quattro noti studiosi del poeta, il Valgimigli, il Trompeo, il Palmieri e G. B. Salinari. Curate dal primo sono uscite le Odi barbare. Manara Valgimigli è più che uno studioso del. Carducci: non ne conosce soltanto tutte le carte, per assidua consuetudine, e ogni documento che lo riguarda, ma gli è intimo l'animo del poeta, perché fu alla sua scuola, di persona, negli ulti¬ mi anni del secolo, e sentì da lui Dante, Petrarca, Leopardi, lo sentì « piangere recitando > (piangere nel cuore, di sovrana commozione) quei suoi prediletti autori, assistè al suo giubileo, e a quella scuola rimase, con tutto il sentimento e lo spirito, fedelissimo. Un insegnamento di severità, di decenza e di gloriosa umiltà nella quale la comunione con i grandi classici fu sentita, per l'ultima volta, come educazione alla vita e innalzamento morale. Poteva qualcuno, me glio del V. cresciuto a questareligione, esserne l'interprete presso di noi? Il V. è poi, come tutti gli riconoscono, un maestro degli studi classici, e si sa quanta parte i latini e i greci ebbero nell'ispirazione carducciana, e come il poeta si prefisse di raggiungere, prò prio nelle Barbare, quelle loro vette pure e serene; ora, cercare le sue fonti o, meglio, sentire quelle consonanze ideali, e districarsi nell'intreccio, più istintivo che meditato, di quelle nuove esperienze metriche, che tanto rumore fecero al loro apparire, è stata la naturale, la destinata fatica di questo nostro caro maestro, più che ottantenne di età, ma sempre alacre e saldo nel lavoro. Oggi abbiamo dunque questo commento che, discendendo da una tradizionale ammirazione per le Barbare e risentendo della soddisfazione del poeta per il suo assalto intrepido ai « clivi de l'arte », "per la novità della sua stagio- ne lirica (<E le .Rime nuove? Queste non hanno stagione; queste sono, con alcune di Rime e .Ritmi, la primavera perenne della poesia del Carducci»), chiarisce con una fitta esposizione di «testimonianze », il nascere di ciascuna ode, ne analizza le strutture metriche nella loro varietà (ed è questo uno degli apporti migliori del V.), segue con delicatezza e misura lo svolgersi dell'ispirazione con note fra storiche, letterali ed estetiche in un perfetto equilibrio. Talora lo soccorrono, parcamente, commenti altrui, particolari o generali, talaltra le personali memorie e il personale consuonare dell'animo, e da questo allora sorge un pathos che in nessun altro commento d'oggi si potrebbe ritrovare. * * Agli amanti del Carducci annunciamo altre novità di particolare rilievo: i Giambi ed Epodi, testimonianze, interpretazione e commento a cura dell'espertissimo Enzo Palmieri (ed. Zanichelli). La poesia e la prosa di Giosuè Carducci di Francesco Flora (Nistri-Lischi), libro fecondissimo, e il grosso volume zanichelliano Carducci, discorsi nel cinquantenario della morte, che raccoglie quanto di meglio è stato detto pubblicamente in quell'occasione cosi in Italia, come in Francia e in Germania. La letteratura carducciana, per fortuna, ha cessato di rimasticare parole per i villaggi e i trofei retorico-nazionalistici. * * L'ottavo giorno della settimana (ed. Einaudi). Qual è l'ottavo giorno? E' un giorno che non viene, che non esiste, un giorno ipotetico nel quale trasferire le speranze della vita quotidianamente' delusa. La vita in particolare della gente di Varsavia, così parrebbe, composta di gente umiliata, di giovani dalle inutili ribellioni, di conformisti dalle opache violenze, di disperati, di ubriachi, di fanciulle che si prostituiscono e di qualche puro di cuore la cui fede è amara, crudelmente violata e derisa dalla realtà. Marcie Blasko, giovane scrittore polacco nato nel '33, ha descritto questo mondo di cenere e di veleno in una serie di racconti, che subito ci ricordano qualcosa di familiare: gli scrittori russi dell'Ottocento e gli americani degli c anni trenta », di cui egli alterna il patetismo sentimentale e la crudezza realistica del linguaggio. Di suo non c'è solo un'accorata levità (in racconti come Le paro più sacre), una vena ironicaI (.Tiglio con la frangia), unal evidenza brutale di fatti in cui il dolore circola soffocato (Passioni, La croce), ' ma c'è un tema essenzialissimo, quello della libertà perduta, degli uomini annullati nelle coscienze, per cui la vita non è che cimiteri. E Cimiteri s'intitola uno del^racconti lunghi, se non il più bello, certo il più significativo della raccolta. E' la rivolta di chi crede contro coloro che dominano con le menzogne e la violenza, abusando di quella fede che aveva tutti illusi. E' un racconto mescolato di caricatura e di tragedia, senza dubbio potente, ma più un'allegoria che un vero racconto, e perciò la verità ne risulta come contratta o mutilata, non è tutta piena e convincente. Il quadro dei regimi inumani, stolidamente oppressivi non potrebbe essere più triste e conturbante: una parte delia spietata visione kafkiana si è avverata, e l'autore, come è noto dalle cronache, rie ha sofferto personalmente. Ma perché la conclusione' dev'essere che è meglio vivere senza illusioni, senza miti? Perché non prende forza quell'altra certezza che < la vera libertà non arriva tutta insieme»? La rappresentazione dell'orrore è desiderabile, perché benefica a tutti; ma se la fiducia nell'uomo non la tempera, essa rimane solo ossessiva e negatrice. Chi traspone, tutto nell'ottavo giorno della settimana dimentica che c'è il settimo e anche gli al¬ ■ imi il ii ili l il i ti il il li i il un il li mi ieii ni i li i liil tri prima e che per questi, nonostante tutto, è doveroso e proficuo lavorare. * * La lingua turca — Molière ha lasciato a tutti gli scrittori, sotto veste di buffoneria, questa scria, proverbiale lezione: <La lingua turca è fatta così: — molte cose in poche parole » (Il borghese gentiluomo). fr. ant.
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