Patria potestà

Patria potestà Patria potestà e religione dei figii Uh recente provvedimento del Tribunale dei minorenni di Genova che, in un caso di aspro dissidio fra i genitori ebrei e la figlia poco più che sedicenne di sentimenti cattolici, ha disposto l'allontanamento della figlia minore dalla casa paterna e il suo affidamento a un istituto cattolico, ha già suscitato, oltre ai primi commenti di stampa, il grido d'allarme d'una madre apparso sullo Specchio dei tempi. Prima di interloquire in proposito, mi sono voluto ampiamente documentare sul caso deciso a Genova; e, pur non potendomi pronunziare sulla bontà della decisione di merito, posso rassicurare l'inquieta madre che in quel provvedimento non si leggono pericolose affermazioni di principio. Non è già che, come quella lettrice supponeva, la ragaz. za avesse un bel giorno deciso di cambiare religione e di andarsene in un istituto religioso contro la volontà del padre. Nò: per quanto risulta dalla diffusa motivazione di quel nrovvedimento, si era da tempo creata, fra padre e figlia, e per tutt'altre ragioni, una situazione di grave disagio morale,-di contrasti violenti sino alle vie di fatto, di reale impossibilità di una normale convivenza; per il che si rendeva applicabile l'articolo 333 del Codice civile che prevede, senza che da ciò derivi la decadenza dalla patria potestà, la Possibilità di disporre, nell'interesse del figlio minore, il suo allontanamento dalla casa paterna. Ravvisata così la opportunità del ricovero in un istituto di educazione, si trattava di scegliere fra un istituto israelitico, preferito dal padre, e un istituto cattolico preferito dalla figlia (la quale, e la particolarità del caso va notata, era stata, alla sua nascita, battezzata dalla madre nubile, che sola l'aveva riconosciuta; e quando costei, alcuni anni dopo, s'era sposata, il marito aveva legittimato, col matrimonio, anche la figlia non sua, e, con apposito rito religioso nel tempio israelitico di Genova, l'aveva poi convertita all'ebraismo, in età di nove anni, ed educata secondo la nuova religione ; ma da ultimo la giovinetta, ormai sedicenne, aveva manifestato la sua fermissima volontà di tornare al cattolicesimo). Su queste premesse di fatto, il principio affermato dai giudici di Genova ci pare ineccepibile. A sedici anni si ha già, di solito (e sembra che l'avesse la giovane di cui si tratta), una sufficien te maturità psichica. La legge stessa riconosce, a molti effetti che qui non occorre richiamare, questa ca pacità naturale del minore ultrasedicenne. Deve dunque riconoscersi ai minore che sia «religiosamente adulto» (o religionsmundig, come dicono i tedeschi) il diritto di professare una propria religione, anche contro la volontà del genitore. Walter Bigiavi, strenuo difensore della patria potestà e del principio di eguaglianza re ligiosa, riconosceva apertamente questo diritto in un vivacissimo e bel libro di al cuni anni fa, Ateismo e affi damento della prole. Del re sto, così vuole la nostra Co stituzione, quando afferma che « tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa » (ar ticolo 19). E' un diritto connaturato alla persona umana; e sorge, per ogni libera coscienza, anche prima del compimento dei ventun anni. Neppure chi esercita la patria potestà può dispo ticamente calpestarlo. Naturalmente, questo principio ha da valere in ogni caso: cosi, per esempio, se il minore si sentisse a un certo momento portato all'ebrai smo o al protestantesimo. Non siamo in uno Stato confessionale, in cui i cittadini professanti una cer ta -religione abbiano diritti maggiori degli altri. Aggiungiamo che se la patria potestà deve, arre starsi alla soglia della coscienza dei figli, essa però deve essere a ogni costo difesa contro ogni manovra propagandistica di terzi, che ponga in forse la libera spontaneità del minore, già « religiosamente adulto f. Sarà un'indagine delicata di fatto, che il giudice dovrà condurre, volta per volta, per assicurarsi che la decisione del minore sia frutto di una libera maturazione di coscienza, e non di una zelante suggestione altrui, o, poniamo, di un momentaneo capriccio o dispetto, e di una transitoria infatuazione. Diversa è la situazione di fronte ai bambini, voglio dire ai figli minori che non siano ancora «religiosamente adulti ». Qui non può es¬ sddlucgnbsnt sere disconosciuto il diritto del padre di scegliere o di non scegliere per i figli una data religione, di battezzarli o meno, di indirizzarli in un senso o nell'altro, o anche di fargli mutare religione. Aveva dunque avuto pieno diritto, il padre genovese, di convertire all'ebraismo la figlia di nove anni, battezzata'cattolica alla nascita. E a questo proposito non ci sentiamo di sottoscrivere un'affermazione, che per la verità i giudici di Genova non hanno fatto, ma che altri ha, per l'occasione, sostenuto: quella cioè che, essendo il battesimo un Sacramento indelebile, nessun atto o rito di conversione o di apostasia, posto in essere dal genitore, poteva avere giuridica validità. L'indelebilità del Sacramento può valere solo per il diritto della Chiesa. E sarebbe fuori di proposito, per quel che riguarda la patria potestà e in genere i diritti e i doveri dei genitori verso i figli, invocare il Concordato. Non questo, ma la legge civile, regola gli istituti di cui stiamo parlando. La patria potestà deve essere gelosamente difesa contro ogni anche remota insidia. Alcuni fatti, recenti o meno, hanno suscitato perplessità e sgomenti: come una sentenza del Tribunale di Ferrara, che in una causa di separazione affidava i figli alla madre cattolica, adducendo, tra gli altri motivi, l'ateismo del padre; o certi matrimoni canonici di minori celebrati senza il consenso dei genitori. Anche la più lieve menomazione del diritto-dovere della patria potestà, riconosciuto dalle nostre leggi e dalla Costituzione, può condurre su una strada sdrucciolevole e pericolpsa. Alla fine della quale si potrebbero verificare casi estremi come quello, famoso nello scorso secolo, del bambino Mortara. A questo riguardo, e poiché stiamo parlando dei giudici genovesi, riportiamo questa corrispondenza da Genova apparsa sull'Opinione del 1° maggio 1859 : « Ieri venne dalla prima sessione del tribunale, di cui è presidente il cav. Malaspina, pronunziata una sentenza, la quale è degna eli essere notata e conosciuta. Avrete certamente inteso a parlare come nel mese di agosto scor SO in Staglieno sia avvenu- 1111 ! 1111111 ! < 111 ! t ! 11 ! ! IMI i 11111111111 ] 111 ! 1111 ! IM [ 11111 to un caso identico a quello del fanciullo Mortara. Una tal Caterina Lavezzaro, avendo a balia un figlio di un'israelita, Colomba Levi, un bel dì le venne il ticchio di rubare un'anima al diavolo. Versò l'acqua sul capo del piccolo Leone e lo battezzò... Il fisco domandava la pena della legge, ed il tribunale, accogliendo le istanze fiscali, condannava la Caterina Lavezzaro alla pena di cinquanta scudi e in sussidio a sei mesi di carcere... Per tal modo i nostri tribunali resero un solenne ed autorevole omaggio ai dritti della patria potestà, della tolleranza religiosa e libertà dei culti; dritti che altri governi ed un disonesto partito, si fanno pregio di calpestare ». E' una sentenza di un secolo fa: ma vale la pena di ricordarla. A. Galante Garrone Morto l'amili. De Moratti superstite del dirigibile Italia La Valletta 11 luglio. All'età di 53 anni, è morto a Malta il vice-capo di Stato Maggiore delle Forze Alleato nel Mediterraneo, contrammiraglio Bruno De Moratti. Trent'annl fa aveva preso parte alla spedizione Nobile al Polo Nord, tragicamente conclusasi con la perdita del dirigibile « Italia ». 0MMIHM!ll]ril(lriliMIMlllM!TMnnilMIIUMMlMI Cento rapprese

Persone citate: A. Galante Garrone, Bruno De Moratti, Caterina Lavezzaro, Colomba Levi, De Moratti, Malaspina, Mortara, Staglieno, Walter Bigiavi