Una risata di De Gaulle di Paolo Monelli

Una risata di De GaulleUna risata di De Gaulle Il cronista comandato a seguire le mosse e descrivere i gesti e le parole degli illustri personaggi nelle cerimonie pubbliche, avesse anche la vista sensibile ai raggi infrarossi e l'udito come un radar scriverà sempre cose manchevoli e imperfette, avversato com'è nel lavoro da due nemici ugualmente spietati E prima di tutto le autorità che per un modo o per l'altro siano o si ritengano responsabili del buon andamento della cerimonia, che gli vietano il passo, negano qualsiasi valore ai lasciapassare che esse stesse gli hanno concesso alla vigilia, lo fanno scendere dall'automobile a chilometri dal luogo ove gli illustri personaggi danno spettacolo, gli regalano informazioni tanto non richieste quanto errate per levarselo più presto dai piedi. E il secondo nemico è l'angustia dello spazio che il compositore del giornale ha fissato alla sua corrispondenza, e dentro il quale deve tenere il suo scritto se non vuole che corra la sorte di quei tapini ai quali il brigante Procruste tagliava via le membra che superassero la lunghezza del letto su cui li stendeva. E così per esempio dalla descrizione della visita all'ossario di Magenta di martedì scorso ho dovuto lasciare fuori la Messa al campo, celebrata dall'arcivescovo di Milano, cardinale Montini, sotto un baldacchino che aveva il colore delle fiamme dei bersaglieri; mentre avrei voluto ricordare alcune sue parole nelle quali il generale De Gaullc, se gliele hanno poi tradotte, avrà riconosciuto alcuni concetti da lui espressi più volte. Dopo essersi rallegrato della rievocazione d'una antica fraternità d'armi (simboleggiata ai due lati dell'altare da due chasseurs alpins, in uniforme blu di montagna e scarponi chiodati al corno dell'epistola, e due corazzieri in tenuta di gala al corno del Vangelo), il cardinale ha detto: «Qui la storia non rammenta che i morti; no'i qui celebriamo il mistero delle vite che si sono immolate da una parte e dall'altra; mistero e condanna; che è dolorosa esperienza di secoli che le vie che portano al diritto e alla civiltà sono sempre state aperte dalla guerra ». Singolare coincidenza con le parole che De Gaulle scrisse una volta ad un suo compagno d'armi: «Né la bellezza greca, né l'ordine romano, né l'Evangelo, né il Corano, né i diritti dell'uomo hanno trionfato senza la forza delle armi ». E aggiungeva, evidentemente pensando a se stesso, « Non c'è carriera' illustre nelle armi che non sia stata al servizio d'una vasta politica, né gloria di uomo di Stato che non sia stata indorata dai bagliori delle armi ». Lasciai invece volontariamente da parte la storia dell'offerta fatta al generale, certamente con intenti nobilissimi, d'una fiala di sangue dei « donatori di sangue di Magenta »; simbolico compenso, hanno detto gli offerenti, per il sangue francese qui versato un secolo fa. Troppo simbolo, a mio gusto, e troppo barocchismo, dal quale non sono andati immuni nemmeno i cuochi; vi ho detto di quelli romani che sulle torte per il ricevimento nel giardino del Campidoglio hanno ricamato la torre Eiffel; i cuochi milanesi a loro volta confezionarono per la cena di martedì nella Villa Comunale torte gelate con i colori italiani e francesi, bianco rosso blu e verde; e un arco di trionfo di burro, e cannoni di zucchero candito. E la necessità d'aggirare in qualche modo il nemico numero uno mi consigliò mercoledì di saltare la cerimonia sulla piazza di Brescia, se no avrei trovato sbarrate le strade fino a Solferino (le trovai sbarrate lo stesso; e come potei tuttavia superare le barriere non è il caso che lo racconti, gli accorgimenti di guerra una volta svelati non servono più); così che mi contentai di dare un'occhiata alla bella piazza della Loggia, ancora vuota di gente; e guardando intorno alle belle case semplici di caldo intonaco giallo sulla sinistra, e alla loggetta veneziana di rimpctto, notai quelli che sarebbero stati più tardi, pur sommersi dalla folla, i più attenti i più immobili spettatori; sulla soglia d'una bottega di mode due manichini rappresentanti ad altezza naturale due belle ragazze alle quali avevano messo in mano le bandierine tricolori; e nelle vetrine quattro ragazze della stessa misura in costumi succintissimi da bagno, due bianche, e due nere, con labbroni rossi e chiome crespe e pelle lucida di carbone, che se De Gaulle avesse potuto vederle le avrebbii prese di lontano per due sud¬ dite sue in carne ed ossa; essendo egli, come è noto, oltreché presidente della Repubblica francese, presidente della Comunità, cioè delle antiche colonie africane francesi tramutate in Stati autonomi. Lasciando dunque Brescia corsi avanti a rivedere i luoghi di San Martino e Solferino per descriverli ai lettori, cosa che mi vietò l'acaro spazio; ho potuto solo contrabbandare nella mia telefonata l'osservazione che quella campagna rigogliosa, tutta a saliscendi, che meravigliò ì miei colleghi francesi tanto la vegetazione appariva loro varia e densa, gelsi, ulivi, pioppi, salici, vigne, macchie di cipressi, campi di granturco, era certamente rimasta la stessa di cent'anni prima. E dalle narrazioni degli storici sapevo che il Z4 giugno 1859 c'era fin dal mattino lo stesso cielo che vedevo ora, velato da una caligine di calore umido; e nel quale si stava preparando, e scoppiò effettivamente verso sera, un temporale simile a quello che si scatenò il pomeriggio della battaglia, e vietò ai francesi di buttarsi all'inseguimento ael nemico già battuto, ma favorì i piemontesi che ne trassero nuovo impeto per un ultimo e finalmente vittorioso assalto. Una sola differenza: vedevo nei campi il grano già legato in covoni; ma il 24 giugno del 1859 il grano non era ancora stato mietuto — non usavano allora le sementi precoci. Ma appunto il grano ancora alto in piedi, ed il granturco già rigoglioso, offrirono ottimo nascondiglio agli austriaci; c i loro movimenti sfuggirono a chi guardava dai colli più alti, ed anche all'osservazione aerea. Non è uno scherzo; la mattina del 24 presso gli avamposti del generale Mac Mahon s'alzò in cielo in pallone frenato il sergente Goddard; e quando lo tirarono giù disse che non c'era nessuno di qua dal fiume se non tre cavalieri sperduti presso Pozzolengo. E invece fino dalla sera prima, come si sa, gli austriaci avevano già passato il Mincio e occupate le alture di Solferino e San Martino. Per gli stessi motivi parlando del ricevimento in Campidoglio non ho detto che il sindaco di Roma, conchiuso il suo saluto, offrì la tradizionale lupa di bronzo al presidente francese (il quale probabilmente non si accorse, stando col viso rivolto alla sala, che alle sue spalle c'era un terribile Innocenzo X di bronzo, grandissimo, con le vesti agitate da chi sa quale sentimento, che gli puntava contro la schiena un braccio minaccioso; memore per l'eternità che i francesi avevano contrastato la sua elezione, e che il Mazarino, pressapoco il De Gaulle di quei tempi, gli era sempre stato nemico). De Gaulle che si era già alzato per rispondere alle parole del sindaco, e stava forse già rigirandosi in capo le prime parole, prese distrattamente dalle mani di Cioccetti la piccola scultura e con un merci frettoloso senza nemmeno guardarla la passò ad uno che gli stava accanto; ma il sindaco non intendeva per nulla che la cosa finisse così, s'impadronì della lupa e la rimise sotto gli occhi del generale, parlando e gestendo abbondantemente, immagino per illustrargliene i particolari ed il significato. Allora il generale si rassegnò, e alla fine della spiegazione graziosamente sorrise. Infine, avrei voluto avere l'agio di descrivervi con più minuzia questo personaggio così ben definito nei suoi aspetti morali e fisici, ligio a principi ed idee che sono sempre le stesse da quarant'anni, che ha una altissima stima di sé e della sua missione, ed una concezione medievale della grandezza francese; e tuttavia rivedendolo dopo qualche tempo l'ho trovato più semplice, più vicino alla gente, con un'umana comprensione dei sentimenti degli altri. Come quando a Solferino, ve l'ho già detto, ha riconosciuto con inattesa umiltà che anche l'Italia può vantare nei secoli una grandezza pari a quella che egli assegna al suo paese. (Questo è il testo esatto delle sue parole: «Offrendo all'Italia cent'anni fa le sue armi, la Francia riconosceva un debito di venti secoli. Sì. Indipendentemente dai motivi d'una politica generosa, tutto quello che aveva ricevuto dall'Italia, nelle sue leggi, nei suoi costumi, nelle arti, nel linguaggio, insomma nella sua anima, era per essa un appello a cui si doveva dare ascolto »). Una bella distanza da quelle ben diverse parole che pronunciò il gennaio scorso in un'adunata pubblica: « Senza la Francia non si sarebbe fatto il mondo, né oggi il mondo potrebbe esistere senza di essa », mettendo fuori concorso gli assiri-babilonesi, i greci, i romani, il Creatore stesso. E' stato notato da molti che non lo vedevano da qualche tempo che il generale pur non sapendo rinunciare all'uniforme, ha perduto o, se volete, s'è li-, berato da una sua antica rigidez¬ za di passo, di gesti, di atteggiamenti. Saranno gli anni che si fanno sentire; o la vista che gli serve poco, e lo fa camminare un po' ciondoloni guardandosi spesso ai piedi; o la pinguedine che spinge in fuori la giubba dove dovrebbe esserci il cinturone; o la stessa semplicità dell'uniforme, di colore smorto, senza un fregio, senza un nastrino, e anche il berretto è privo d'ogni segno salve le due stellette di maggior generale; una uniforme così borghese che al confronto quella già pur tanto dimessa e poverella dei nostri ufficiali pare napoleonica. Serio, quasi accigliato, con una piega nervosa intorno alle labbra, l'ho visto quando cessava d'essere attore, ascoltando un discorso di cui non capiva le parole, nelle pause d'una cerimonia; ma se uno dei vicini gli rivolgeva il discorso, o lo spettacolo lo interessava, o qualcosa lo incuriosiva, il viso suuito si distendeva, pronto ad un sorriso spontaneo ed amabile. Una volta lo abbiamo anche veduto ridere di gran cuore, visitando la mostra commemorativa al Palazzo Reale di Milano; andando attento per le sale si trovò davanti ad uno di quei pupazzi ad altezza d'uomo che hanno disposto qua je là per mostrare le vecchie uniformi; con un aspetto fra lo zuavo e il garibaldino e una faccia truce invasa da un barbone nerissimo; rise e disse, « Mais voilà Fidel Castro ». Paolo Monelli i m n h ; 111 r i m i [ 11 m n r ! i r i n 11 ì ; n i ! i i i n n u u u i i m 11 r