Nella città dove sgorga il petrolio vendono ancora l'acqua dalle botti di Francesco Rosso

Nella città dove sgorga il petrolio vendono ancora l'acqua dalle botti Vre anni fa in Sicilia venne scavata il primo pozza Nella città dove sgorga il petrolio vendono ancora l'acqua dalle botti A Gela la vita sembra ferma da secoli, ma in realtà la trasformazione è iniziata : a Vittoria e Ragusa il rinnovamento appare già più profondo - Scoperta pochi giorni fa una falda di « oro nero » a 3300 metri sotto il fondo del mare - Si progetta an porto che costerà 200 miliardi : gli isolani chiedono che il prodotto venga raffinato localmente (Dal nostro inviato speciale) Gela, 16 giugno. L'elicottero s'acquattò doci- 10 sulla breve piattaforma" dello « Scarabeo >, la base galleggiante dell'Eni da. cui scende la trivella che la mattina del 7 giugno ha scovato le rocce petrolifere a 3300 metri sotto 11 fondo del mare. E' la prima volta che in Europa si tenta, e con successo, una simile operazione e scendere fra quelle scenografie d'acciaio, fra uomini che armeggiavano fra argani e trivelle mi ha procurato un'emozione inconsueta. Ma non di questo intendo parlare, piuttosto del petrolio siciliano che, sgorghi dai sottofondi marini o dalle viscere di terre più domestiche, ha da assumere un ruolo di protagonista in una vicenda alquanto intricata di interessi politici ed economici. L'accusa che gli esponenti dell'attuale indirizzo economico siciliano rivolgono alle società concessionarie è di estrarre il petrolio e di trasportarlo a raffinare altrove senza incidere sensibilmente sul più grave problema della Sicilia, la disoccupazione endemica. Occorre subito dire che le grandi società concessionarie sono' quella di Stato, Eni, e quella privata Gulf Italia. I giacimenti petroliferi scoperti dall'Eni si trovano a Gela, quelli della Gulf Italia a Ragusa, cioè su un arco inferiore ai 50 chilometri. Percorrere questo itinerario, osservare lo svolgimento della vita di ogni giorno, forse è più utile e illuminante di ogni polemica. Incominciamo da Gela, città di oltre 50 mila abitanti, dispiegata a ventaglio su un colle di fronte al mare. La vita non è mutata radicalmente dal giorno in cui, tre anni or sono, fu scoperto il primo pozzo petrolifero. I quattromila muli della città continuano a dormire nella stessa camera con il loro legittimo proprietario, l'acqua si vende ancora a misura spillandola da botti di legno che fanno il giro della città su traballanti carrettini. I sintomi d'un rinnovamento sono tuttavia afferrabili, basta osservare i negozi da cui traboccano le merci più svariate, dal frigorifero al televisore, ai generi di consumo più correnti. Se tutto ciò è esposto sia pure in sommaria disposizione evidentemente c'è qualcuno che compera. Più sensibile e radicale è il mutamento di Vittoria, posta a mezza strada fra le due capitali del petrolio. Vittoria è considerata la città più allegra della zona, le insegne luminose di negozi e ritrovi tracciano fantastici ghirigori nel buio della strada principale, e, caso davvero singolare se non unico nella provincia siciliana, si vedono ragazze circolare isolate la sera in attese, dei petrolieri di Ragusa e di Gela. Superata l'erta salita, da Vittoria si arriva a Ragusa, dove la follia edilizia è esplosa irrefrenabile, i tre grandi alberghi risultano sempre completi, i lussuosi bar sono animati fino a notte inoltrata. II mutamento più rimarchevole, oltre che nelle case, si nota nel costume. La gente ha un'aria diversa, il petrolio ha richiamato tecnici e operai specializzati dal Settentrione e la vita in comune con i siciliani produce un'umanità nuova, con bisogni ed esigenze che cinque anni fa nessuno avrebbe immaginato. Le società petrolifere hanno scelto giovani del luogo, contadini, braccianti, pescatori, pastori e li hanno mandati a imparare una professione nei loro centri industriali del Settentrione. Si fanno, anche se lentamente, maestranze qualificate che col tempo diverranno sempre più numerose e formeranno il nerbo economico e sociale della Sicilia. Tutto ciò lo può osservare anche chi non s'interessa direttamente di queste faccende. In cinque anni la Sicilia ha mutato faccia, soprattutto in questa zona petrolifera e ancor più radicalmente in quella industriale di Siracusa, di cui parlerò altra voltali merito di cosi profondo mutamento tocca al petrolio, non vi è dubbio, ma anche a chi lo ha trovato e sfruttato commercialmente. Non intendo addentrarmi nella polemica fra industria di Stato e privata, ma ho l'impressione che quando accusano quest'ultima di sfruttamento colonialistico, gli esasperati autonomisti siciliani pecchino per eccesso. Il petrolio siciliano è fonte di ricchezza, ma non nelle proporzioni che si pen^a., soprattutto a causa della sua qualità scadente. E' così denso che per quello di Gela occorrono particolari e costosi accorgimenti per farlo scorrere nelle tubature. Inoltre, è cosi ricco di zolfo che quasi non serve per distillare benzina. Quello di Ragusa è leggermente migliore, ma anch'esso più adatto per la estrazione del bitume che della benzina. Tuttavia il solo fat¬ to che lo estraggano dimostra la convenienza dell'operazione; fino a poco tempo fa l'Italia importava quasi interamente il bitume stradale, ora è diventata largamente esportatrice grazie al petrolio siciliano. Per occupare una mano d'opera sempre più numerosa, l'Eni intende raffinare il proprio prodotto a Gela impiantando complessi di raffineria e uno stabilimento petrolchimico capace di occupare tremila operai, ma per realizzare questi progetti è indispensabile la costruzione del porto di Gela, con una spesa che si aggira intorno ai 200 miliardi, che dovrebbe accollarsi lo Stato e, in parte, la Regione siciliana. E' un progetto grandioso, ma di difficile attuazione e che richiederà anni di studi e di trattative. La Gulf Italia non ha raffinerie proprie, estrae il petrolio e lo vende greggio. Nel 1958 la sua produzione ha raggiunto un milione e 248 mila tonnellate, pari al 78 per cento di tutto il petrolio estratto in Italia e al 14,8 per cento di quello estratto nei Paesi del Mercato comune. Un terzo della sua produzione lo trasporta alle raffinerie Rasiom, di Augusta, attraverso un oleodotto di oltre 200 chilometri; il resto lo vende ad altre raffinerie. A incominciare dall'anno prossimo anche questa eccedenza sarà però lavorata sul luogo dal complesso Abcd, per la produzione di materie plastiche, che sta sorgendo a Ragusa. Tanto l'Eni che la Gulf Italia impiegano direttamente poche centinaia dì operai, ma le imprese di costruzioni, trasporti, manutenzione danno lavoro ad alcune migliaia di persone. Mancano ancora in Sicilia le piccole e medie industrie che a Milano, Torino, Genova e in altre città collaborano con i grossi complessi industriali, ma esiste una catena di imprenditori che impiegano masse notevoli di operai non qualificati, soprattutto manovali, che diversamente non farebbero nulla. Porto ancora l'esempio della Rasiom, uno dei sei più grandi complessi per lo sfruttamento dei derivati del petrolio in-'Europa. La prima grande industria sorta in Sicilia come semplice raffineria è diventata nel giro di dieci anni una cospicua fonte di lavoro. Con i prodotti estratti dal petrolio greggio alimenta già numerose industrie della zona di Siracusa, che producono materie plastiche e fertilizzanti. Attorno al grande complesso si articola una serie infinita di attività che generano lavoro, e quindi salari e stipendi. In questo periodo tutti gli occhi sono fissi sul petrolio siciliano per quel tanto di scenografico che c'è nell'estrazione, e di romanzesco nel giro misterioso che l'oro nero compie dal grembo della terra alle sue infinite utilizzazioni, ma la Sicilia possiede altre fonti di ricchezza, forse più prosaiche del petrolio, di cui comincia già a sentire i benefici. Alludo ai fertilizzanti, divenuti il pilastro dell'economia siciliana dopo la scoperta dei giacimenti di sali potassici, una ricchezza incalcolabile di cui intendo parlare un'altra volta, perché ciò che sta accadendo a Priolo e a Campofranco supera anche gli spettacolari capovolgimenti etnici e sociali cui ci ha abituati il cinema americano presentandoci il Texas. Dov'era il deserto sorgono complessi industriali giganteschi, il panorama muta fisionomia e sul giallo squallore delle aride rocce i bacini artificiali riverberano improvvise, inusitate frescure lacustri. Intorno e dentro alle fabbriche del Siracusano, Agrigentino, Catenese migliaia di operai lavorano per la prima volta con continuità, sicuri del salario a ogni fine settimana. E questa è ben l'industrializzazione della Sicilia, ancora insufficiente per assicurare lavoro a tutti coloro che ne han. no bisogno, ma felicemente avviata a risolvere un problema che interessa tutta l'Italia. Il petrolio e i sali potassici sono stati trovati in Sicilia, ed è giusto che la ricchezza che producono serva a nuovi invevestimenti nell'isola; è però ingiusto continuare una sterile, dannosa polemica a soli fi ni elettoralistici, ignorando vo lutamente quanto è stato rea lizzato in Sicilia, in poco più di cinque anni, dai vari complessi industriali, che hanno la sola colpa di essere discesi dal Settentrione. Francesco Rosso

Persone citate: Priolo