Nessuno è indispensabile di Luigi Salvatorelli

Nessuno è indispensabile Nessuno è indispensabile Fra i ricordi delle mie prime letture storiche c'è quello della stupefazione per l'istituto ateniese dell'ostracismo: stupefazione che si trasformava in indignazione, quando fra i colpiti vedevo figurare Aristide, « l'uomo più giusto di Atene ». Credo che queste mie impressioni fossero largamente condivise dai miei coetanei, e anche dalle generazioni antecedenti alla mia. Adesso, se dovessi pronunciare un giudizio sull'ostracismo ateniese, non concorderebbe molto con quelle mie impressioni di ragazzo. Sra allora esso mi appariva semplice sfogo di bassa invidia plebea, oggi mi appare una misura diretta, nel quadro della città antica, contro posizioni individuali tendenti a sboccare in una consacrazione di « indispensabilità » a favore di questo o quel personaggio. Una società democratica, proclamante che non si può fare a meno di Tizio o di Caio come dirigenti della cosa pubblica, — o (che fa lo stesso in pratica) acquiescente all'autoproclamazione di indispensabilità fatta dall'uno o daltro — manca di fiducia in se stessa, ed è matura per il « ducismo ». Ecco quello che non sembra aver pensato il gruppo democristiano della assemblea di Bonn quando ha avallato, puramente e semplicemente, la palinodìa di Adenauer riguardo alla sua candidatura presidenziale, e la sue decisione unilaterale di rimanere Cancelliere. E' stato un puro sofisma quello del presidente del Bundestag, Gerstenmayer (che pure era il principale fra i malcontenti), quando ha detto che non si poteva negare al Cancelliere di prendere una decisione che lo riguardava. Era, proprio, lo stesso argomento di Adenauer, dichiarante che non c'è nulla di più democratico che ascoltare la voce della propria coscienza. La decisione di Adenauer si componeva di due parti, per lui indivisibili : rinunzia alla candidatura presidenziale, conservazione del cancellierato. E' dubbio, se egli fosse nel suo diritto riguardo al primo punto, visto che si trattava di rimangiarsi un impegno preso, e annunziato « urbi et orbi ». E' certo, invece, che Adenauer non poteva rimanere Cancelliere — né, dobbiamo credere, lo pretendeva — senza la continuazione della fiducia da parte dell'assemblea federale; e pertanto a questa toccava giudicare se egli meritasse ancora questa fiducia. La dichiarazione di indispensabilità, fatta dal Cancelliere a proprio favore, dovreb be essere, a mio modesto parere, sufficiente per ritirar gliela. In una organica e libera democrazia non possono es serri individui indispensabili. Una democrazia autentica è fondata sul principio del ricambio al potere, e quindi sulla esistenza di elementi adatti al ricambio medesi mo. Sarebbe grave errore considerare questa esigenza come in contrasto con l'ai tra, di una concentrazione straordinaria di poteri in mano del governo, in circostanze eccezionali. Tale con centrazione, per essere legit tima e idonea allo scopo, non può essere appannaggio di un partito o di una classe. E tanto meno di un individuo. Queste considerazioni non sono di pura teoria, né scru polo moralistico. Esse sono riflessioni di un buon senso DUtnto di esperienza storica e attuale. Chi, all'indomani della proclamazione del regno d'Italia, avrebbe potuto apparire più sicuramente indispensabile del conte di Cavour? Eppure egli fu rapito dalla morte appena ottanta giorni dopo quella proclamazione: e tuttavia l'unità rimase, e si completò sotto 1 successori, tutti indubbiamente inferiori a lui. Quanti pensarono, al momento del congedo di Bismarck, che questo sarebbe stato rovinoso per la nuova Germania? Ma la nuova Germania rimase e prosperò: e se — a trent'anni di distanza da quel congedo — venne la catastrofe, questa ebbe tutt'altre origini dalla scomparsa di lui (che in ogni caso si sarebbe avuta molti anni prima); e anzi, fra queste origini, tutt'oggi si annoverano taluni difetti della costruzione bismarckiana: di tanto inferiore a quella di Cavour perché tanto meno nutrita di senso essalesmndrsptdestmlsfosrgiaqlInozmfaapzndlM a l i etico e di politica liberale. Ai nostri giorni, indispensabile si autoproclamò Mussolini, e tale fu riconosciuto ampiamente all'interno e all'estero, da politici laici ed ecclesiastici. Come finisse la sua indispensabilità, sappiamo: essa fu la prima origine della catastrofe italiana. Oggi, abbiamo in Europa due capi di governo, apparentemente consacrati indispensabili dalla lunghissima permanenza al potere, e altresì — come Mussolini — da larghi consensi interni ed esteri, laici ed ecclesiastici. Tali soprattutto, s'autoproclamano essi medesimi: e anzi, si presentano all'Europa come maestri di superiore politica e di perfetta convivenza umana. La opera del maggiore dei due, si è risolta nel tentativo di recidere i legami tra la Spagna e la civiltà moderna, riiospingendo il proprio paeje a una presunta « ispanità », quella degli autodafé e delle eliminazioni razzistiche. Il secondo, che riuscirebbe, nelle sue manifestazioni di orgoglio personalistico e nazionalistico, soprattutto comico, se il senso del comico fosse ancora vivo in certi ambienti — jfia largamente attuato il suo ideale, di un popolo mantenuto in infanzia e retto con le dande: quelle dande che taluno, fra noi, volentieri mutuerebbe da lui, per il maggior bene dell'Italia e della religione. Dobbiamo inserire, nella lista degli odierni « indispensabili », De Gaulle? Ci sembra equo sospendere ancora il giudizio. De Gaulle è di un tipo ben diverso da Mussolini, Franco, Salazar: il modo stesso con cui è arrivato alla posizione odierna lo mostra, e l'insieme delle sue manifestazioni lo conferma. La sua autocoscienza sembra quella di un cittadino che si sente in possesso della fiducia sincera del suo popolo, e si ritiene capace di trarlo dai mali passi in cui è capitato. Così egli si considerò nella guerra, così egli si considera oggi. Se a un tipo politico dovessimo ricondurlo, sarebbe quello del console o dittatore romano dei tempi aurei della repubblica. Ma sareb be un chiudere gli occhi al la realtà non riconoscere quanti elementi sono in moto intorno a lui — e non tutti estranei alla sua coscienza, o almeno al mHccwpdptctfa«dpavasvscdpPstemperamento — per trasformarlo, da quel tipo repubblicano classico, in Cesare e Duce. Auguriamo e speriamo che la involuzione non avvenga; se avvenisse, la quasi totalità della Francia d'oggi ne condividerebbe la responsabilità, con la sua corsa sfrenata verso il salvatore. In quanto a Adenauer, si è fatto avanti egli stesso, con le parole e con i gesti, per essere collocato in lista; ma probabilmente senza rendersene conto. Tocca al suo dscfsilo) partito, tocca a tutto il po-jpolo tedesco illuminare la sua coscienza, e trattenerlo sulla china. Luigi Salvatorelli

Luoghi citati: Atene, Europa, Francia, Germania, Italia, Spagna