Si celebri oggi Roma liberata dalla lunga tortura nazi-fascista di Paolo Monelli

Si celebri oggi Roma liberata dalla lunga tortura nazi-fascista FUMMO AD UN TRAI TP FELICI E UNITI, SCIOLTI DAL MALE Si celebri oggi Roma liberata dalla lunga tortura nazi-fascista Sotto l'orrenda oppressione, tra le sevizie e i supplizi, era stato un tempo fraterno; ci aveva accomunato l'angoscia uguale per tutti, e la speranza - E quella notte del k giugno, tutti corremmo incontro ai carri armati americani, una città intera, compatta, col cuore aperto a una vita migliore - Ritrovino i romani, per una giornata almeno, la disinteressata solidarietà d'allora (Nostro servizio particolare) Roma, 3 giugno. Il pomeriggio del 4 giugno 1944 il generale tedesco Maelzer, comandante militare di Roma, un tipo che pareva uscito da una commedia di Hans Sachs, innamorato dell'Italia in quello che essa ha di più facile, vino in fiaschi e belle donne, uscì in uniforme dal suo ufficio al corso d'Italia fischiettando fra i denti il motivetto del du lieber Augusta; e con il berretto di traverso si mise a cavalcioni della ringhiera della scala e si lasciò scivolare sino al fondo. E uscì dal portone cantarellando <o du lieber Augusta, alles ist hin, caro à e, i e ai o i a i i t . . i s i Agostino, è finita la cuccagna*; e si mise nella macchina, e disse al guidatore di filare in fretta verso il Nord. Cosi finiva il duro dominio tedesco, nove mesi di un'occupazione militare che la collaborazione delle ripristinata autorità di un regime di cui tre mesi prima la città aveva celebrato la caduta, il questore, il federale, la milizia, spogliava di ogni parvenza di diritto di guerra, faceva complice di rappresaglie e di vendette personali. I romani che dopo l'B settembre avevano combattuto contro i tedeschi per due giorni, per le vie, nei sobborghi, insieme ai fanti della Piave e dell'Ariete, ai granatieri di Sardegna, ai lancieri di Montebello, subito insofferenti degli uni e degli altri, mostrarono di considerarli nemici nello stesso modo; i tedeschi che avevano fatto della città una squallida retrovia del loro esercito combattente sul Volturno, bivacco di truppe, sosta di carovane di carri e di rifornimenti, offrendo così buon pretesto agli anglo-americani di bombardamenti dall'alto; e gli ultimi scagnozzi del fascismo usciti dai nascondigli solo per la protezione dei tedeschi, servizi e proni, che saccheggiavano e taglieggiavano e torturavano e consegnavano innocenti alla fucilazione, ed esaltavano sui giornali i soprusi del sorridente tiranno Maelzer. Non era occupata da un mese la città che i tedeschi misero fuori un bando per arruolare uomini nel servizio del lavoro, minacciando di morte chi non si presentasse; e di sedicimila che erano i chiamati se ne presentarono si e no duecento. Al secondo bando, accompagnato da intimazioni ancor più perentorie, non si presentò, si può dire, nessuno. (< Mai avvenuta una cosa simile in Polonia, in Olanda, in Francia*, diceva stupito un tedesco, un tecnico dell'occupazione). Questo rifiuto fu la prima manifestazione di una ribellione taciturna, paziente, che durò senza debolezze fino all'ultimo; pur sotto una paurosa progressione di angherie, di violenze, di arbitrii. Furon portati via di notte gli ebrei, in frettolosa promiscuità, senza riguardo a vecchi o a neonati; di quattromila deportati in Germania, non ritornarono che poche decine. Furono razziati gli uomini validi per le vie, portati così com'erano a scavar trincee sul fronte di Anzio. Furono vuotati i magazzini delle scorte alimentari, deviati e diretti in Germania trasporti di viveri dalle province. A migliaia furono i fucilati per rifiuto di ubbidienza, per ribellione, per attività clandestina. La durezza dell'occupazione era fatta più intollerabile da divieti assurdi e ridicoli; vietato l'andare in bicicletta, il camminare rasente i muri ii certi edifici, telegrafare e telefonare fuori Roma. Lo sbarco degli alleati ad Anzio fece sperare la liberazione imminente; tanto maggiore fu la delusione quando ci si accorse che gli sbarcati non facevano progresso alcuno, stavano assediati fra i frettolosi ripari e il mare incapaci di iniziativa alcuna. Ma la fede fu più forte della delusione; un giorno si lesse sui muri di Trastevere la scritta: < Americani tenete duro, che presto verremo a liberarvi». Coi primi di maggio si seppe che gli alleati avevano ripreso l'avanzata; si sentiva ormai il cannone dalle parti di mezzodì, giorno e notte, un tambureggiare assiduo, più vicino, più lontano, più vicino, più lon¬ tano; finché anche a questo nuovo sbalzo sembrò non dovesse tener dietro alcun progresso. Eterne giornate di maggio, in tristezza inerte, sotto violenze e guai che pareva non dovessero mai aver fine. Stormi da bombardamento tempestavano sulle strade consolari, sulla periferia, non sempre evitavano i quartieri cittadini. Ancora il t giugno furono pubblicate severe ordinanze del comando tedesco, i fascisti condannarono a morte e fucilarono un povero diavolo che contrabbandava zucchero per la borsa nera, e il corrispondente di guerra del Messaggero assicurava i suoi lettori che la battaglia degli alleati non avrebbe portato ad alcun esito risolutivo. Improvvisamente, il pomeriggio del S giugno, incominciarono' a passare per la città in fila ininterrotta carri armati, pezzi di artiglieria, autocarri carichi di truppa e di bottino; era lo sconfitto esercito tedesco che si ritirava a nord. Tutta la notte dal S al 4, tutto il maitino del 4 durò la rumoreggiante sfilata. I romani assistevano all'inatteso spettacolo, e ancora non osavano sperare. Continuava il fragore della battaglia sui colli intorno, ma pareva immobile. Quando il flusso dei soldati in fuga cominciò a diminuire gli si misero dietro generali e gerarchi: Kappler, il tormentatore degli ostaggi in via Tasso, Koch, il torturatore dei prigionieri in via Romagna in nome del governo di Salò; il questore Caruso, il commissario Zerbino, il maggiore Schulz inviato speciale di Goering per le sue collezioni private, che si era battezzato da sé l'ultimo saccheggiatore di Roma. E infine, con una buffonesca piroetta, come ho detto, Maelzer, che fu l'ultimo. I romani si erano chiusi in casa la sera del 4, disciplinatamente, all'ora del coprifuoco, ancora incerti ed attoniti. Udirono riaccendersi d'un tratto la battaglia, vicinissima, ticchettare di mitragliatrici, latrati di bombe; a poco a poco si ebbe l'impressione che quel crepitio si sciogliesse in un rombare uguale, monotono, finché fu chiaro che era un brontolio di motori. E d'un tratto fummo tutti fuori delle case, correndo incontro ai primi carri armati degli americani che scendevano da Porta Maggiore, da Porta San Giovanni, da Porta San Lorenzo, da Porta San Paolo, si arrestavano per riordinarsi nelle grandi piazze, deserte nel chiarore della luna. Non ce ne rendemmo conto quella notte, che quel vertiginoso sollievo, quell'improvviso dileguare di ogni pena, sarebbe stata un'esperienza di vita unica e irrepetibile. Non sapevamo ancora che la nostra vittoria non era ancora la vittoria di tutta la nazione; e che sarebbero seguiti anni aspri, bui, e ci saremmo trovati al fondo d* una miseria non più transitoria, non più consolata dalla ribellione, senza sapere se mai e come o quando ne saremmo usciti fuori. A questo allora non pensavamo; gustando, ingenuamente felici del premio alla paziente attesa, ad una resistenza nata spontaneamente nel cuore di ognuno, per cui ci trovammo alla fine tutti congiurati, tutti d'accordo, nell'amore e nell'odio. Una cittadinanza che pure impegnata nelle miserabili faccende quotidiane, del procurarsi vitto e calore e difendere con le unghie e i denti le poche cose necessarie alla vita, era tutta unita in un formidabile lavorio sotterraneo di assistenza a trecentomila persone braccate, renitenti aHa leva e al serviate del lavoro, ufficiali e soldati che non avevano voluto partire per il nord, funzionari che avevan lasciato l'ufficio per non collaborare col nemico, ebrei, prigionieri di guerra inglesi e americani, uomini poiitici, cospiratori; una guerra segreta e coraggiosa che aveva le sue vittime quotidiane; e che nessuna orrenda repressione, né le voci di arresti di torture di uccisioni, potè sgominare. Componenti di bande raccoglievano armi, membri dei partiti uscivano di città o vi rientravano in collegamento con i patrioti di fuori, tipografi e impiegati preparavano tesser? e documenti falsi, fornai e trattori sfamavano gente alla macchia, con la collaboraz'.one, il consenso premuroso di tutti. € Tempo fraterno, scrissi in un mio diario di quei giorni, che ci rifece buoni e cordiali, nelle inattese convivenze, nelle lunghissime veglie, nella calda solidarietà con gente di ogni fede. Ci accomunava l'attesa per tutti uguale, l'angoscia per tutu uguale di un male vicino, nostro o di persone care, e la speranza ferma contro quel limite, il giorno della liberazione; al di là del quale non ci si raffigurava nulla, solo una gran luce entro cui tutto sarebbe stato facile, il pensare, l'operare, il lasciar passare gli anni. E ci pareva che quelle dure, compatte giornate fossero come gli strati sotterranei traverso cui filtrando l'acqua si purifica, all'uscire da esse tutti potessimo sentirci ugualmente mondi dalle illusioni, dagli errori, dai peccati, pronti ad Iniziare una vita migliore » Al calore di quelle giornate, a quelle illusioni, a quella fede serena, che ci faceva solidali con gente che ci era stata in altri tempi avversaria fanatica, all'orgoglio di quella vittoria sul nemico e su noi stessi dopo un combattimento di nove mesi vogliamo ritornare oggi, celebrando l'anniversario della liberazione di Roma; e per ritrovare, almeno per una giornata, una disinteressata solidarietà fra cittadini di ogni classe. Ma questo non ha sentito il signor sindaco di Roma; che per la prima volta dalla proclamazione della Repubblica ha stabilito di non celebrare la ricorrenza del 4 giugno. Abbia fatto questo per non dare un dispiacere ai fascisti che sono cosi buoni alleati suoi nel Consiglio comunale, o per altri motivi, comunque ha dimostrato un'insensibrità ai sentimenti della cittaainanza che non gli fa onore. E' fetale che con gli anni si attenui il ricordo di avvenimenti che furono tormento e passione, e si disciolgano rancori e contrasti, e chi ha vinto cessi di menarne vanto e chi ha perduto si rassegni; ma il signor sindaco doveva lasciar fare al tempo, alla natura umana e bonaria dei romani; non essere il primo, lui che ha il titolo di primo cittadino, a tapparsi le orecchie al richiamo ancora forte del passato, andandosene all'estero per non dovere partecipare nemmeno col solo assistervi all'anoor vivo e giustificato giubilo dei suoi amministrati. Paolo Monelli

Persone citate: Goering, Hans Sachs, Kappler, Koch, Schulz, Zerbino