Al Lux: Dieci secondi col diavolo, di Robert Aldrich All'Ambrosio: La via del male, di Michael Curtiz
Al Lux: Dieci secondi col diavolo, di Robert Aldrich All'Ambrosio: La via del male, di Michael Curtiz Al Lux: Dieci secondi col diavolo, di Robert Aldrich All'Ambrosio: La via del male, di Michael Curtiz Il sospetto che Robert Aldrich, l'autore del Grande coltello e di Attack!, sia un regista più forzuto che forte, un teatrale manipolatore di soggetti straordinari, riceve conferma da questo Dieci secondi col diavolo (< Ten seconds to hell ») dove una materia già predisposta a un massimo di suspense, quale il disinnesco delle bombe inesplose, riceve da lui una quantità di aggiunte in parte gratuite e artificiose che finiscono con l'allentarla. Se c'era un film nel quale non occorreva forzare la voce era questo; ma Aldrich non ha saputo resistere nemmeno questa volta al demone della magniloquenza, delle psicologie eccitate, dei conflitti ideologici. Sei soldati tedeschi reduci dalla guerra e già invisi ai nazisti trovano lavoro formando una squadra per liberare Berlino dalle molte bombe che ancora giacciono inesplose fra le macerie. Un lavoro da disperati, una sfida alla morte, che infatti s'ingoia uno dopo l'altro quattro uomini dei sei. Restano Koertner, un ex-architetto che si è votato a quel mestiere per un resto d'idealità non oscurata dagli orrori della guerra, e Wirts, che è la sua antitesi, spavaldo, cinico, egoista dichiarato. Egli disinnesca per far quattrini, e avendo scommesso ch'egli solo sopravviverà e costretto i compagni a controscommettere con metà dei loro stipendi, quelle morti sono per lui un ottimo affare. Non bastasse la differenza dei caratteri, i due uomini sono divisi dall'amore per la stessa donna, un'affittacamere francese che ha preferito l'architetto. Tocca a Wirts una bomba inglese di difficilissima manipolazione, e l'onesto Koertner vuol essergli accanto per consiglio e assistenza. Non viene in mente al fellone di lasciare il compagno nei pasticci, anzi di promuovere da lontano l'esplosione dell'ordigno per liberarsi di lui? Ma il destino aiuta l'onesto e punisce il malvagio. L'unico sopravvissuto della squadra è dunque il più meritevole. Tutte queste sovrastrutture drammatiche, cominciando da quella strana scommessa che vuole aggiungere tensione a tensione, allontanano dalla semplice e tremenda situazione di quegli audaci che con la delicatezza del chirurgo, in attimi di sospensione spasmodica, lavorano a svitare le spolette. E i luoghi veramente belli del film sono quelli che narrano questa nuda azione con rigore documentario, rimandando ad altri luoghi e occasioni i conflitti psicologici. Sulla linea della regìa è anche la recitazione di Jack Palance e di Jeff Chandler che alterna .nomenti pieni a tensioni parossistiche. L'unica parte femminile è affidata a una incisiva Martine Carol. , 1. p. * * Con La via del male («King Creole »), Elvis Presley continua a denigrarsi impersonando, come già nel «Delinquente del rock 'n roll », un giovane teppista, Danny Fisher, che respinto agli esami e incompre so dal padre, s'intruppa con al cuni mascalzoni suoi pari. Dalle cattive compagnie lo distoglie per il momento il direttore di un night-club, sotto le cui ali paterne Danny s'avvia a una promettente carriera dì cantante. Ma avendo pestato i calli a un potente gangster, questo si vendica cacciandolo in un ginepraio per uscire dal quale Danny deve sottostare ai ricatti del bandito. Finché, persa la pazienza, non intontisce il suo persecutore a suon di pugni. Gli eventi sembrano volgere al peggio, ma le ferree leggi del lieto fine consentono al protagonista, che ha già sulla coscienza un furto e una rapina, di uccidere o di lasciare che siano uccise tre o quattro persone senza che la polizia si impicci, e poi di redimersi in fretta e furia. Potenza di una voce e di una chitarra. Così il film, che aveva avuto un avvio interessante, sciupa i migliori spunti del soggetto, tutto sacrificando all'idolo Presley, anche due brave attrici come Carolyn Jones e Dolores Hart. Il quale Presley, quando vuole, canta molto bene e senza bisogno di contorcimenti (lo dimostrano le prime due e l'ultima delle molte canzoni); ma recita, ahimé, sempre con la stessa espressione sia che baci una ragazza, sia che pianti il coltello in petto all'avversario. E il regista Michael Curtiz, che ricorro a tutte le astuzie del mestiere per tenere in piedi il film, non ha potuto fare altro, quando si è trattato di descrivere la redenzione del suo eroe, che costringerlo a ravviarsi il ciuffo ribelle. Buono e pettinato. DIBATTITO SUL CINEMA — Domani sera alle 21,15, nella biblioteca Usis in piazza San Carlo 197. avrà luogo un dibattito su « Il dopoguerra nei cinema italiano e americano ». Vi partecipano: Mario Gromo, Gigi Cane, Pietro Pintus, Daniel J. Herget, Nicholas Ruggieri, David Diamond.
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