La tv porta un favoloso oblio negli squallidi "bassi" napoletani

La tv porta un favoloso oblio negli squallidi "bassi" napoletani —i L'ASSOLUTA INDIGENZA NON VIETA L'ENORME SPESA — La tv porta un favoloso oblio negli squallidi "bassi" napoletani Tremila lire il mese di affitto per la casa e diecimila per la rata del televisore - Domanda: "Perché vi siete spinti a comperare un oggetto così lussuoso?,, - Risposta: "Perché siamo poveri,, - La televisione non desta invidie o desideri di evasione, è uno spettacolo meraviglioso, come i fuochi d'artificio, come i miracoli di San Gennaro, che distrae dalla tristezza quotidiana e fa dimenticare la miseria atroce (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 4 maggio. L'ingresso della televisione nei « bossi », quale si nota copiosissimo a Napoli, è uno dei fenomeni nuovi e sconcertanti della vita meridionale. I < bassi*, come tutti sanno, non sono abitazioni, sano antri. A Napoli, ancor oggi, se ne contano tra i 45 ed i SO mila, nei quali vivono circa un quarto di milione di esse¬ ri umani. Il contrasto fra i luccicanti apparecchi elettronici, simboli di modernità e di benessere sociale, e gli interni cenciosi dei < bassi », impastati di secolare miseria, non potrebbe essere più violento. Quali sono gh "effetti dei magici schermi della tv al livello di popolazioni che vivono nel più cwpo squallore ? Sono al Pallonetto di Santa Lucia per rendermene conto, voglio controllare se è vero quello che spontaneamente vien fatto di immaginare; se, cioè, la < finestra sul mondo > della televisione suscita nei < bassi », per contrasto, più forte il sentimento di povertà e di avvilimento, accresce la insofferenza, e accende il desiderio di evasione. Cosi come la vista di una finestra spalancata può svegliare nei pri- gionneri il desiderio della fuga. Il Pallonetto di Santa Lucia è uno dei luoghi particolarmente adatti per una simile indagine. E' un mondo chiuso. E' un intestino cieco nell'interno della grande metropoli partenopea. E' stretto, geloso come una casbah. E' il nido di una umanità che, di generazione in generazione-, rimane sempre uguale a se stessa, si tramanda usi, costumi, pregiudizi immutabili. Salvo pochi contatti con l'esterno, il Pallonetto vive tra le sue mura crollanti. Vi abitano individui che non hanno mai messo il piede in un baro in un caffè; altri che non sono mai entrati in un cinema. Da centinaia di anni, mentre mtorno il mondo cambia, tutto si svolge press"a poco allo stesso modo. Al Pallonetto le novità entrano solo in occasione delle grandi scoperte scientifiche. L'ultima innovazione, prima della televisione, fu la radio; e prima dello radio fu la luce elettrica. Mentre cammino, il fermento umano è impressionante. Gente e gente, ed una moltitudine di bombimi seminudi che strisciano sul selciato. Sembrano nascere dallo connessure delle pietre come lucertole. Un continuo rombo riempie l'aria, simile a queUo di una galleria quando passa il treno. Tutti, per parlarsi, anche se vicini, devono urlare, vincere il frastuono. La vita si svolge a contatto di gomito. Non vi sono compartimenti fra i membri di una stessa abitazione: nascono, mangiano, dormono, si lavano, fanno all'amore e muoiono, fra sole quattro mura; né esistono valide barriere tra le abita-zioni. Il Pallonetto non è un vicolo; è il corridoio centrale di un grande appartamento nel quale alloggia una sola famiglia. Che dico ? Un solo enorme essere collettivo con migliaia di bocche affamate e sonore. Sono le undici di mattina, la vita al Pallonetto non ha segreti, si svela ad ogni passo attraverso porte e finestre. Vedo un uomo svegliarsi, levarsi dal letto, estrarre da un armadio un piatto di spaghetti di ieri, rossi ed incollati, e mangiarli avidamente. Un gruppo di donne, sedute in mezzo alla via, sopra degli scranni in circola, come si trattasse di assistere ad uno spettacolo, osservano una massaia che fa il bucato sull'uscio di casa. Il piccolo commercio fiorisce dovunque. Vi è chi vende sigarette di contrabbando e chi vestiti di provenienza americana per centocinquanta lire il capo. Una donna strappa da vivere vendendo ai bambini delle paste vicine alla putrefazione che si procura raspando nella spazzatura di qualche magazzino dolciario, e che potrebbero diffondere serie malattie viscerali. Quello del Pallonetto è un quadro antico; a segno che i televisori, disseminati un po' dovunque, sembrano veramente fuori del loro tempo. Dall'alto delle antenne inalberate sugli orli dei tetti senza gronde, vedo scendere aderenti ai muri esterni delle case una quantità di fili che, per le fessure delle porte squinternate, entrano nei- « bassi »; i fili che collegano questo sotterraneo umano al resto del mondo. Abbordo la signora X, grassa, incinta, i capelli arruffati, che dinanzi all'uscio del € basso » maneggia alcuni mazzi di lattuga. Dentro non vi è posto per fare la cucina. Ha sei figli che vanno dagli anni due ai ventuno. Nessuno di essi lavora. Unico sostegno della famiglia il marito il quale, quando riesce, fa il facchino al porto. Il suo guadagno è incerto. Quando va bene, piglierà trenta, quarantamila lire il mese. « Perché avete tanti figli ? » domando. «Perché ce li ha mandati il Signore». E' la risposta classica. Incalzo: « Ma non sono un po' troppi per i vostri mezzi? » Alza le spalle, e sorridendo addita una donna che ci sta ad ascoltare e, come per giustificarsi, dice: « Quella lì ne ha nove ». La donna che ha nove figli mi sorride. <Novet — dico — e non vi sembrano un po' troppi?» Risponde: € Ne ho solo nove perché non abbiamo più spazio. Se no avrei continuato. Magari diciotto » « Ma perché tanti figli?» domando.' « Perché i figli sono provvidenza». Altra risposta di prammatica. Entro nel < basso » della signora X. E' un vano, senza finestre e senza acqua corrente, nel quale abitano in otto. A destra, in un angolo, ricavato con un muretto divisorio, vi è un gabinetto. Non esiste la porta. A ridosso del gabinetto, il letto matrimoniale, ohe occupa metà dello spazio disponibile e che, invece delle molle, ha dure tavole di legno. Vi dormono padre madre e due figli. Ai piedi del letto matrimoniale una branda di tipo militare. Al momento — è quasi mezzogiorno — vi dorme un ragazzo di sedici anni. < Per che dorme? » chiedo. La signora X risponde: « Di giorno tocca a lui. Siamo troppi. Di notte non si sta tutti. Facciamo a turno... » Vi è poi un letto pieghevole, che si monta alla sera per gli altri figli. Quando tutti i letti sono in funzione non c'è uno spiraglio per toccare il pavimento con i piedi. Il solo spazio libero è occupato da un armadietto, sul quale spicca una bottiglia di liquore giallo, fatto in casa, e dal televisore, grandissimo, nell'angolo diagonalmente opposto a quello del gabinetto. La signora X paga tremila lire il mese di affitto per la casa e diecimila per la rata del televisore, del prezzo di S80 mila lire. Sentir pronunciare SSO mila lire in un « basso », fa un'impressione enorme, come un miliardo in un ambiente normale. Evidentemente, la rata mensile di 10 mila lire costituisce un peso enorme nell'economia familiare degli X, ed una grave preoccupazione. La signora X mi dice che le prime trecento lire della giornata, avanti di comperare il pane, vanno in un salvadanaio per l'apparecchio televisivo. « Se non facciamo così, non ci troviamo i soldi per la rata e c'è il pericolo che ce lo portino via ». Chiedo: « Scusi, ma perché vi siete spinti a comperare un oggetto così lussuoso? ». Mi risponde: « Perché siamo poveri». <Come? Non capisco », balbetto. < Eh, si, perchè chi ha soldi può distrarsi in mille modi. Noi invece no. Siamo otto. Se andassimo solo qualche volta al cinema, spenderemmo una fortuna. Invece, con diecimila lire il mese noi ci comperiamo il televisore, che per noi è cinema, teatro, stadio, opera, varietà e molte altre cose ancora ». < Ma con le diecimila lire della rata e le tre della pigione, ribatto, potreste affittare un appartamento decente, uscire da questo buco». Risponde: « Posso mettermi per sempre nelle mani di un padrone di casa? E poi che faremmo in un appartamento senza nemmeno un soldo? Ci dovremmo guardare in faccia. Qui almeno, dopo le cinque e mezzo, guardiamo la televisione, non pensiamo alle nostre miserie... Capite? Abbiamo troppi figli e siamo troppo poveri per poterci muovere dal nostro guscio. Il televisore ci porta il mondo in casa ». E' un ragionamento che mi hanno ripetuto, con frasi più o meno simili, moltissimi al Pallonetto, e che perciò riflette lo stato d'animo di una collettività. E' chiaro che al livello del < basso > la vita si riassume in tré parole: pane, amore e televisione. Anzi, in moltissimi casi, meglio sarebbe dire, televisione, pane ed amore. Quanto agli effetti sodali e psicologici dello schermo magico nel mondo dei diseredati, voglio riferire qui, fra i vari e complessi, il più paradossale. Al contrario di quanto mi aspettavo, la televisione non suscita affatto il senso del confronto, non accentua la consapevolezza della miseria, non accende stimoli ugualitari o desideri di evasione. O, almeno, tutto ciò non accade nella misura che si potrebbe supporre. In genere si può dire che per le plebi dei < bassi », le immagini della televisione si aggiungono %Z patrimonio di spettacoli meravigliosi che tradizionalmente esaltano le moltitudini della grande metropoli: i fuochi di artificio, i miracoli di San Gennaro, i pennacchi di fumo del Ver suvio, le feste e le luminarie, le incomparabili visioni della natura. Il piacere dello spettacolo, del teatro, il rapimento visivo, il potere di gioire con gli occhi, sono qui fortissimi; mentre appaiono piuttosto incerti i confini tra realtà e finzione. Mi par di aver capito che per nessuno, più che per le immaginative genti di qui, vedere significa, in qualche modo e fino ad una certa misura, anche possedere. Il televisore porta un'illusione del mondo che nei « bassi » si trasforma in verità spettacolare. Forse per questo non suscita risentimento sociale, né, curiosamente, acuisce il senso amaro del grande squilibrio che esiste nel livello di vita degli italiani. Alfredo Tódisco

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