Tolstoi e il mugik

Tolstoi e il mugik GIORNATE A MOSCA — Tolstoi e il mugik Mosca, maggio. Una mattina di marzo decisi di andare a Jàsnaia Poliàna, là dove l'albero Tolstoi era nato, aveva giganteggiato generando un'ombra quasi secolare, e ora da un cinquantennio giaceva riconfuso con la terra materna. Da Mosca per Jàsnaia si prende la strada a sud che va a Tuia, la vecchia città delle armi da fuoco e dei samovar. La strada è grande e monotona, tutta lente ondulazioni (le «montagne russe ») e si perde in confini che non sono visibili. Nei campi non una siepe, non un muretto, una divisione qualsiasi, solo neve e boschi vedevo, abeti scuri, betulle con le delicate tacche bianche e nere come se le macchiasse giocando la luce. Di qui era passato Tolstoi, andando quelle tre volte a piedi, la bisaccia sulle spalle, per tutti i duecento chilometri che sono da percorrere (ci metteva quattro o cinque giorni); forse in qualcuna delle isbe che vedevo aveva trascorso le notti. E quante migliaia di persone avevano fatto la stessa via per andare a trovarlo! Discepoli veri e falsi, pellegrini e postulanti, scrittori e donne 'isteriche, prìncipi che ambivano di falciare le messi insieme con lui, il poeta Riltte con la sua Lou Salomé (senza cavargli molto, a dire il vero) e un imperterrito rappresentante del dentifricio Odol («ma io non ho più denti» gli aveva risposto il vecchio Tolstoi). Adagio adagio, l'auto andava guardinga sulla strada guasta e semighiacciata, finché, a un dieci miglia dopo Tuia, apparve il villaggio di Jàsnaia sotto un cielo improvvisamente puro invaso dal sole. Soffiava un vento sottile, senza rumore, uno spirito delle foreste: scorticava la pelle, picchiettava le tempia. Il freddo era calato a venti gradi sotto zero. Svoltammo lievemente a destra, in un avvallamento: da una parte si ergeva il piccolo paese, dall'altra emerse la tenuta dei Tolstoi. I due grossi, familiari pilastri bianchi con la cupoletta verde stavano, come li avevo visti in pitture, in fotografie, simili a mastini davanti alla proprietà. Un lungo viale di abeti conduce alle tre bianche palazzine dai verdi tetti, la prima bassa e lunga, di stile neoclassico a tre corpi, che fu dell'avo materno, il principe Volkonski, le altre due più indietro e quasi affiancate, l'una dove era la scuola creata da Tolstoi, l'altra l'abitazione di lui. All'intorno la vastità della terra. Tutto oggi è museo Tolstoi. Sono trecento ettari, in parte boschi e in parte frutteti. Conigli e lepri e anatre, e cervi a branchi e, mi hanno detto, lupi, fra betulle e tigli e pini e querce: ma nessuno tocca gli alberi, nessuno caccia le bestie. Il canto degli usignuoli è fittissimo, quasi a ogni pianta, in primavera Lo scrittore ne era addirittura disturbato, come lo era, in autunno, dal forte aroma dei meli, Ma tutte queste dolcezze non valgono l'inverno. D'inverno un luogo simile non ha confronti: in nessuna parte del mondo po «pei vedere e capire meglio la vita di una' casa signorile fra boschi placidamente assorti nella alte tombe di neve. Rallegrata dal sole, la neve indurita di tre, quattro mesi, lucente di neve più fresca caduta da pochi giorni, si stendeva vo luttuosa, ondeggiante come se avvolgesse corpi sotto il suo lenzuolo; e più il sole batteva, più la pace, misteriosamente felice, si insinuava tra le palazzi ne e le piccole isbe e le macchie d'alberi e i pigolìi di uccelli. In questa casa dove Tolstoi visse la "maggior parte della sua vita (nacque in un'altra che non c'è più) si possono ritrovare, come a Mosca, tutte le vestigia dello scrittore sereno e dell'apostolo turbato. Ma io penso che è meglio cercare Tolstoi nella libertà dei campi. Nella casa certamente uno può guardare con commozione se appena è convinto che un mondo senza Natascia farebbe ingrigire ogni immagine di donna, la stanza al pianterreno dove egli scrisse Guerra e Pace (e anche Anna Karènma e La sonata a Kreutzer); può percorrere l'ap partamento ael primo ed unico piano, dal salone con la solita tavola preparata e il samovar pronto a bollire e i due pianoforti, al suo studio col divano di pelle nera su cui nacque e la scrivania con la candela che egli spense l'ultima volta, e / fratelli Karamazov che, ultimo libro, stava leggendo. O, in in una piccola stanza, il letto di ottone, che ti fa esclamare stupito n così piccolo! » perché hai sempre pensato che Tolstoi fosse un gigante, ma egli invece non era alto; solo il volto, le mani, le spalle e qualcosa di fa¬ voloso che lo avvolgeva agli occhi del mondo erano grandi e potenti. Tutto questo insomma, che non mi esce dalla memoria e potrei descrivere passo passo, è là, tacito e spento, ma inalterato. Poiché so dov'era la sua stanza da letto, accanto allo studio, potrei seguire la via del rumore che egli sentì l'ultima volta dal suo letto, fruscio di carte, nella notte avanzata, che la moglie sospettosa, furiosamente sicura dei suoi diritti, cercava hello scrittoio di lui o lì intorno, testamento, o diari, o altri manoscritti. Allora egli si alzò e svegliò la figlia Alessandra e l'amica di lei, fece i suoi pochi bagagli e con l'amico medico fuggi di casa. Andò lui stesso a svegliare il cocchiere so dov'è l'isbà. Non poche volte nella sua vita era stato sul punto di abbandonare la casa e la famiglia: ciò che rende tragica la finale e appagata decisione è proprio il fatto che, in lui consunto, ottantatreenne, essa può a certi occhi apparire una deboezza senile, una penosa teatralità. Quest'uomo che lottava da trent'anni per trovare a se stesso la più vera ragione di vivere, il dottrinario che non riusciva a superare le contraddizioni della pratica, finalmente una volta sola, l'ultima, trovò la forza di esaudire tutto intero se stesso, ma la trovò cor rendo incontro alla morte, cadendo sfinito, come un derelitto re Lear della steppa, sul lettuccio di una piccola stazione ferroviaria, ad Astàpovo. Erano le 6,5 mattutine del 7 novem bre 1910. Il suo volto morendo non Rarve rasserenarsi; forse la malinconia di quella fine senza pace, di una così ardua salvezza, non poteva subito scomparire. La sua. maschera mortuaria (al museo letterario di Mosca) mostra i capelli fluenti come un velo,' la barba leonardesca, la depressione lieve sul cranio, .il naso già così forte fatto delicato e quasi curvo, le grosse sopracciglia aggrottate, le palpebre non ben sigillate: questo il suo volto che la fine della vita allentò e adagiò sulle ossa, ma ancora trattenendo un'orma severa dei pensieri in cui egli si era travagliato per decenni. Pasternak che allora era ragazzo vide Tolstoi sul letto di morte e gli parve un « vecchietto raggrinzito ». Dietro il letto di ferro confusa stava la moglie. Per quanto si potesse calpestare dentro di sé, pure nella sua tragica distanza dall'uomo amato una ragione la difendeva, quella che lei non aveva mai nascosto: «ma io, io sono una della folla ». Al coro degli studenti che cantava il Vietchnàia papiiat, X'Aeternam memoriam, Tolstoi tornò alla chiara Jàsnaia. Ritornò gigante davanti al mondo che si inginocchiava. In mezzo ai contadini che egli riusciva e non riusciva ad amare, ma fece di più che amarli, li rivelò al mondo e a se stessi (prima di questo conte, disse Lenin, il vero mugik nella letteratura non c'era); in seno alla natura che, nella sua forza, sembrava averlo essa stessa creato. Ecco perché bisogna cercare Tolstoi più nella campagna di Jàsnaia che nella casa. Stefano Zweig che la vide nel '28 disse che nulla è grandioso e commoven te come la tomba di Tolstoi. Al termine di un lungo stretto viale e vicino a un valloncello, ai piedi di betulle altissime è il tumulo di Tolstoi, un basso rettangolo di terra coperto di freschi rami di pino, e in primavera di erbe. La neve, ora che guardavo mentre la luce spariva tremante nella foresta, isolava quell'oscuro mucchio, lo faceva più povero ancora. Una umile tomba senza nome, ma in virtù del contrasto degna di un patriarca della vita umana, di un- uomo che era stato potente e straziato come Mose. Il fantasioso fratello Nikolai gli aveva raccontato, ragazzi entrambi, che là era sepolto il ramo verde che recava inciso il segreto della felicità, al cui fondamento stava l'amore universale. Chi avesse trovato quel ramoscello avrebbe dato la felicità agli uomini e Leone Nikolàievic volle essere sepolto proprio in quel luogo dove la leggenda infantile aveva collocato il simbolo dell'ansiosa ricerca di tutta la sua vita. Franco Antonicellì

Persone citate: Anna Karènma, Franco Antonicellì, Karamazov, Lear, Lenin, Leone Nikolàievic, Pasternak

Luoghi citati: Astàpovo, Kreutzer, Mosca