Il latino forse educa perché è uno studio inutile

Il latino forse educa perché è uno studio inutile RIFLESSIONI AUTOBIOGRAFICHE D'UNO SCIENZIATO Il latino forse educa perché è uno studio inutile I giovani sono oggi tutti presi dall'assillo di arrivare presto a risultati concreti - Lo studio d'una lingua morta insegna invece a ragionare disinteressatamente, a meditare sulle cose non materiali; ed è così che esso contribuisce al perfezionamento delle facoltà intellettive L'articolo, così psicologicamente fine, che Guido Piovene ha pubblicato in questi giorni su queste colonne, ha indotto me, studioso di scienze esatte, a fare un analogo esame di coscienza ed a chiedermi alla mia volta: « Il latino mi ha giovato? >. D'accordo con Piovene su la particolare forma mentis che lo studio del latino lascia come retaggio incancellabile traducendosi in una tendenza alla concisione, alla sintesi intellettiva, all'ordine logico, alla riluttanza per tutto ciò che è discorsivo e diffuso; d'accordo che ciò può anche non essere comodo per un giornalista; ma non esito ad affermare che ciò è decisamente utile per un ingegnere. Però il latino non è soltanto una lingua di mirabile struttura; esso è una lìngua morta. Ed è qui — nel fatto cioè che chi la studia (se proprio non vuol fare di proposito il latinista) sa, senza possibilità di dubbio, che non avrà mai occasione di usarla — è qui che bisogna a parer mìo andare a cercare la ragione del suo valore educativo: di un valore educativo la cui importanza anziché scemare, può crescere, e deve in ogni caso essere apprezzato, in tempi come 1 nostri, tutti dominati dalla preoccupazione della utilità immediata e immediatamente tangibile. I giovani sono oggi tutti presi dall'assillo di arrivare presto a risultati concreti, cioè ad un lavoro che renda, ad una posizione che si imponga. L'ambiente in cui viviamo li spinge a giudicare i loro stessi studii alla stregua di quel che possono servire nella vita pratica, nell'esercizio di quella qualunque attività o professione a cui intendono dedicarsi. Ed è in questa prospettiva utilitaria che essi tendono ad inquadrare i loro studii orientandosi sempre più decisamente verso tante belle ed utili cose come sarebbero per esempio le lingue vive. Nel che non possiamo che lodarli perché niente come la conoscenza delle lingue potrà loro giovare in un mondo in cui i contatti tra uomini di diversa stirpe si vanno facendo sempre più frequenti, sempre più doverosi, sempre più utili sotto tutti i punti di vista. Ma deve essere ben inteso che le lingue vive sono essenzialmente se non esclusivamente degli strumenti — strumenti nobilissimi oltreché utili — ma strumenti; sarei quasi tentato di dire: mezzi tecnici, per l'estrinsecazione della nostra attività di cui però raramente toccano l'intima essenza. Mentre lo studio del latino, per coloro che sanno già a priori che non servirà loro mai come strumento di lavoro, proprio perché costringe la mente ad uno sforzo che non ha nessun fine utilitario, ad una meditazione che è fine a se stessa, acquista un valore tutto suo in quanto insegna a ragionare disinteressatamente, a meditare su le cose non materiali, a faticare senza una immediata finalità utilitaria. Ed è così che esso contribuisce al perfezionamento delle facoltà intellettive, vera e forse unica fonte di elevazione dello spirito. D'accordo con Piovene che nessuno di noi potrà mai dire se sarebbe stato migliore o peggiore ove la sua formazione intellettuale sì fosse svolta senza latino. Perché ciò che sarebbe accaduto se le cose fossero andate altrimenti trascende ogni nostra possibilità di previsione e dì valutazione. Ma ciascuno di noi si sente misteriosamente, oscuramente ma sicuramente legato a quelle che sono state le origini, '.e cause determinanti della sua struttura mentale. Ognuno di noi sente che il suo modo dì ragionare, di parlare, di scrivere, di perseguire la conquista di sempre nuove conoscenze, di estrinsecare la sua personalità, di prendere contatto con quella degli altri, è il frutto di una lenta ed inconsapevole elaborazione del suo essere che è stata determinata dallo studio, dalla meditazione, dalla assimilazione di idee che sono poi svanite col tempo, e che anche volendo non sapremmo forse più-identificare, ma di cui ci siamo un giorno compiaciuti, e di cui il nostro spirito si è avidamente alimentato. Non una parola di latino mi ha forse mai servito nel corso dei miei studii scientifi¬ co-tecnici. Non posso neppur dire di serbare dei miei ormai lontani studii clàssici un buon ricordo; la mia mente era fin d'allora tutta volta verso la matematica e la tecnica, e non vedevo l'ora di farla finita col latino e col greco per dedicarmi finalmente tutto alle discipline verso le quali una già chiara vocazione mi chiamava. Ma provo per quegli studii classici, pur fatti con non eccessiva comprensione e ben poco entusiasmo, un vago senso di riconoscenza per quello che, mio malgrado, mi hanno dato. A torto od a ragione, mi chiedo sempre se per avventura non sia proprio perché formata alla severa disciplina mentale della latinità che la mia mente si è poi trovata preparata a riconoscere la .leverà bellezza ed il fascino arcano del miei studii scientifico-tecnici; a goderne come un innamorato gode della presenza del suo bene; ad attribuirvi un incomparabile valore sul plano dello spirito; e se ho creduto di intravvedere in questi miei studii scientificotecnici un nuovo umanesimo fondato su valori che la classicità ignorava. Soprattutto mi chiedo aé non sia proprio al mio fuggevole e cosi imperfetto contatto colla latinità ch'io debba se mi sono poi trovato ben difeso e corazzato contro l'incombente pericolo di una concezione esclusivamente materialista ed utilitaria della scienza e della tecnica. Con ciò io non intendo affermare che lo studio del latino rappresenti la sola soluzione dell'arduo problema della formazione intellettuale dei giovani. Ma sono fortemente tentato di scandalizzare i miei benevoli lettori affermando che, ai fini della formazione dell'uomo, lo studio del latino potrebbe essere vantaggiosa-, mente sostituito soltanto dallo studio di qualche cosa che sia per lo meno altrettanto inutile: condizione paradossalmente necessaria, se pure ovviamente non sufficiente, perché si peasa ottenere un risultato educativo altrettanto misterioso quanto effettivo. Gustavo Colonnettf Presidente emerito del Consiglio nazionale delle ricerche

Persone citate: Guido Piovene, Piovene