Declino dei romanzi a fumetti di Clara Grifoni

Declino dei romanzi a fumetti —= Confidenze della fortunata "decana» dei racconti a immagini Declino dei romanzi a fumetti Il "divismo,, spicciolo dei fotoromanzi trovò i suoi astri fra le commesse ed i belli di periferia - Si vendevano, fino allo scorso anno, cinque milioni di copie per settimana; ora sono scese a tre - Forse il grosso pubblico femminile preferiva le storie banali, come la. vita di tutti i giorni - Ora che si guarda a Shakespeare ed agli attori di cartello l'interesse vien meno - Ma l'esempio è stato contagioso (Dal nostro inviato speciale) Roma, aprile ilfesi fa una signora romana, sposata a un professore di latino, scopri che nei sogni del manto comparivano dònne dai nomi insoliti, cui il dormiente rivolgeva strani discorsi. < Presto Aliberta, fuggiamo — diceva per esempio. — La carrozza ci aspetta >. O anche: < Confessalo, Edmea! Fosti tu, a uccidere il barone! >. Dubbi d'ogni sorta sfiorarono la signora, non escluso quello che il suo compagno stesse diventando pazzo. Ma una piccola inchiesta le permise di appurare la verità, ch'era del tutto imprevedibile: suo marito si dedicava da tempo (e di nascosto) alla stesura di intrecci per fotoromanzi. Li buttava gin di sera, prima d andare a letto; e quell'attività clandestina incideva sui suoi sogni, popolandoli di eroine che, quando non andavano in carrozza, uccidevano il barone. Nel mondo dei fumetti, la < clandestinitày è quasi di regola tra soggettisti e sceneggiatori, pochi dei quali vanno immuni da un senso d'imbarazzo e magari di vergogna nei riguardi d'un lavoro che non hanno scelto, dicono, ma si sono vist' imporre da motivi di forza maggiore. Per l'insegnante romano fu la necessità di arrotondar lo stipendio, come spiegò alla moglie, dopo la iHiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii | nascita del secondo bambino; per altri è una malattia, un ! insuccesso letterario o, più vagamente, la fatalità. I raccontl-a-immagini rendono piuttosto bene: dalle quoftrocentomila lire in . su con la sceneggiatura, che gli esperti del mestiere liquidano in pochi giorni, al ritmo di sessanta e persino cento cartelle quotidiane. Questi esperti sono per lo più esperte, le donne mostrandosi particolarmente abili nell'inventare trame problematiche, bruciate da incontenibili passioni (le più gradite al pubblico che è al 75% femminile); per cui abbiamo le grandi matadore del fumetto, che si chiamano Mara Baldeva, Eleonora di Collalto, Milena de 80t\s (cito alcune delle meglio pagate). Delle tre, la prima è la decano e anche l'unico che non nasconda a nessuno, nemmeno alla sua portinaia, di vivere lautamente — e orgogliosamente — di fumetti. Mara Baldeva, ancora giovine e graziosa, sembra ricalcata su una delle sue eroine: diciamo la Vedova Bionda, un po enigmatica. E' realmente vedova e molto bionda, con un viso bianchissimo sotto la cipria. Ama le pettinature complicate. Si muove e parla come nelle nuvole, che sono forse delle nuvolette: quelle in cui vengono racchiusi i dialoghi de, suot personaggi. La signora Baldeva lavora moltissimo e an- iiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiniiiiiiiiiiiH che quando non lavora continua a sentirsi ossessionata da questi personaggi. Cosi dice e dev'esser vero. Mentre m'intrattengo con lei nel salotto della casa di via Rabirio, al quartiere Flaminio, dove vive quietamente con una domestica, una segretaria e un cane, la vedo astrarsi ogni poco dalla conversazione; e capisco che in quelle pause si precipitano la Ragazza sedotta, la Matrigna, la Sorella di Latte, eccetera, insieme al Vecchio possidente e al bellissimo Ufficiale della Guardia. Quante storie per fumetti ha scritto? Non 10 sa neanche lei, ma debbono essere almeno duecento; più trecentocinquanta romanzi d'appendice e qualcosa come duemila novelle. * Sa sta farsi la manicatura — dice con simpatica modestia — e tutto viene facile*. Racconta volentieri d'aver legato il suo nome agl'inizi del fumetto, quando i racconti di passione e di seduzione uscivano disegnati. Era 11 1946 e, circa un anno dopo, i disegni vennero sostituiti da fotografie di donne e uomini veri (fu lo scrittore di libri gialli Ezio d'Errico ad avere quest'idea della quale, però, va attribuita la paternità a un editore di Roma, che nel 1913 pubblicò un < Quo vadist > illustrato con fotogrammi tolti dall'omonimo film muto prodotto da Guazzoni e interpretato da Amleto Novelli). Nacque così il « divismo > spicciolo dei fumetti, che trovò i suoi astri fra le commesse di negozio e i belli di periferia. La massa dei lettori cresceva a un ritmo strabiliante: ogni giornale di fumetti era una gallina dalle uova d'oro. I giornali di fotostorie (cinque dei quali facenti capo a tre grandi editori milanesi) tiravano complessivamente oltre cinque milioni di copie per settimana, il che dava un pubblico di almeno quindici milioni. Questo, fino al 'S5-'S6. In seguito, le vendite calarono progressivamente, sino ai tre milioni di copie attuali. Per qual motivo? Qui i pareri si fanno discordi. Tra gl'interessati, alcuni negano che vi sia una crisi, parlando di fluttuazione delle vendite. Altri, invece, se ne fanno un merito. < Noi — dicono — siamo riusciti a sottrarre una quantità d'ignoranti alla loro arretratezza. Li abbiamo indotti a compitare le nostre semplici storie e invogliati alla lettura. Ora che ne hanno il gusto, cercano qualcosa di più elevato dei fumetti >. Altri ancora, i più cinici forse, sostengono che la crisi è una diretta conseguenza dell'opera di € rivalutazione> del fotoromanzo, cui si è proceduto negli ultimi tre o quattro anni, migliorandone la tecnica e il livello artistico (per cosi dire). I fumetti, secondo loro, hanno tutto da perdere staccandosi da un certo primitivismo; quello, appunto, che contrassegnò il loro inizio. Storie banali, come la vita di tutti i fiorili; attori prtsi dalla strada, cioè i più familiari possibile, nel fisico e nel morale, alla massa dei lettori; riprese fatte alla bersagliera negli < studi > romani e milanesi, con suppellettili di fortuna, E spese ragionevoli: un fotoromanzo in venti puntate non costava più di due, tre milioni a dir molto. Ma ora che si guarda a Shakespeare e agli attor» di cartello o ai divi della tv, che esigono compensi dai quattro miiioni (Mike Bongiorno) agli otto (Vittorio Qassman), e si affittano vil¬ le e castelli storici per le riprese, un fotoromanzo costa sino a venti milioni. Con che risultato? 'Il grosso pubblico, a cui era facile ritrovarsi negli attori improvvisati, non si identifica più in quelli di professione: per questa specie di lettori una massaia trasteverina è pia reale nella parte di madre d'Emma aromatica che, d'altronde, essi non conoscono neanche di nome; e Sandro Moretti o Franco Angeli, giovani <dmorost> del fumetto, si prestano meglio di Gassman o di Albertazzi a impersonare i sogni casalinghi dello sartine. Comunque, pare dimostrato che il successo d'una fotostoria non dipende mai dagli interpreti, ai quali si chiedono soltanto certi requisiti estetici o, al massimo, una certa notorietà (sere or sono un editore di fumetti, intervistato alla radio, dichiarò che il principe Raimondo Orsini sarebbe un interprete ideale per l'aspetto fisico e le romantiche vicende); il successo, dicevo, è soprattutto legato alla trama, che dev'esser drammatica e densa, oltreché capace di <far piangere*. Le lettrici vogliono soffrire o almeno rabbrividire; perciò le situazioni felici sono ammesse, ma prima o poi debbono precipitare nella catastrofe; l'odio è bene accetto; l'umorismo mai. E il < lieto fine*? Contrariamente a quanto si crede, il pubblico gradisce spesso finali tristi o addirittura tragici, mi dice la si¬ iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii gnora Baldeva. E precisa che i soggettisti, lei compresa, per uniformarsi al gusto delle masse, sempre più orientate verso il realismo, debbono cercare di rendere verosimili gl'intrecci, riducendo al minimo le avventure ed i granduchi Molte cose, insomma, stanno eambiando nei fumetti; e anche intorno ai fumetti, che non suscitano più polemiche. Senza che ce ne rendessimo conto, hanno dilagato in ogni campo, da quello didattico (esistono già, mi dicono, dei testi educativi a fumetti), a quello televisivo (riduzione per il video dei grandi capolavori, come Padri e figli di Turghenieff), passando attraverso quello cronistico: che altro sono, se non grossi fotoromanzi, gli idilli delle principesse e delle ex-imperatrici, i matrimoni a ripetizione delle dive, ecceterat che alimentano giornalmente le cronache? Tutto, ormai sembra a fumetti. Clara Grifoni

Luoghi citati: Milena, Roma