"Moderati del '59,, di Luigi Salvatorelli

"Moderati del '59,, "Moderati del '59,, Dopo aver letto i resoconti della degnissima celebrazione centenaria, a Firenze, del 27 aprile 1959, ho riletto gustan dono meglio il sapore la pagina del « Diario i859-'6o » di Marco Tabarrini (testé pubblicato nella collezione Le Monnier di <t Studi e documenti di storia del Risorgimento»), che porta quella data. Il Tabarrini era un avvocato e scrittore toscano combattente volontario contro gli austriaci e deputato nel 1848, poi presidente del Con siglio di Stato nel Regno d'Italia, senatore e vicepresidente del Senato (morì nel 1898). Oltre a vari suoi scritti di interesse storico-risorgimentale, egli fu editore, insieme con Aurelio Gotti, dei carteggi Ricasoli, che adesso si stanno ripubblicando, in perfezionata edizione, a cura di Mario Nobili e Sergio Camerani per opera dell'Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea. Ricordo tutto questo — e per più di un lettore si tratterà di una prima notizia — perché si abbia ben presente che il nostro diarista non era un tizio qualunque. Possiamo anzi considerarlo come un rappresentante medio del moderatismo risorgimentale, e più particolarmente di quello toscano. Il Tabarrini aveva già annotato al 26 apri'e: «Tutto volge a prossima rovina. L'inazione del governo gli toglie i suoi ultimi partigiani, e incoraggia i nemici a tutto osare ». E più avanti riferiva: «Dal ministro Boncompagni sta in permanenza una specie di comitato che dirige la rivoluzione ». Terminava il diario del giorno così: « Prima di tornare a casa ho cercato del segretario Venturi per aprirgli gli occhi sull'imminenza dei pericoli, ma egli era sempre presso il granduca. Son tornato a casa a mezzanotte, scorato e mezzo tristo in aspettativa dell'ultimo atto del dramma ». Il 27 il Tabarrini comincia: « Il dramma si è conchiuso come avevo previsto ». Non è precisamente- il linguaggio di chi sia soddisfatto della previsione avveratasi. Seguita raccontando come il granduca Leopoldo, di fronte all'ingrossare della manifestazione patriottica sventolante il tricolore, chiamasse don Neri Corsini, marchese di Laiatico, perché facesse un nuovo ministero, accettando la sollecitata partecipazione toscana alla guerra d'indipendenza. Il Corsini era disposto; ma il Ridolfì, che avrebbe dovuto essere un pilastro della nuova combinazione, chiese l'abdicazione del granduca Leopoldo a favore del figlio Ferdinando: richiesta (detta più tardi « fatale » dal nostro diarista) che fu subito fatta propria dai dimostranti, ma a cui il granduca si rifiutò. Continua ancora il racconto con la partenza pacifica del granduca e della famiglia da Firenze, e la costituzione di un governo provvisorio «sotto la protezione del re di Piemonte ». Termina il Tabarrini giudicando che nella giornata, «passata dinanzi agli occhi come una fantasmagoria », « tutti probabilmente hanno fallito nei loro conti. Mi par chiaro che tutto quello che è accaduto è un maneggio francese condotto dal ministro di Sardegna in nome della italianità. Anche questa volta l'imperatore ha saputo trarre la castagna dal fuoco con la zampa del gatto. E questi illusi han creduto di fare un movimento italiano e piemontese: mi par certo che a guerra vinta avremo mn regno d'Etruria o un « quid simile », con Napoleone naturalizzato italiano col matrimonio sardo. Questa sarà la fine del dramma. Così la Toscana, uscita dalla dipendenza dell'Austria, caderà in quella della Francia, e sarà legata al suo carro e obbligata a sentirne tutte le scosse. E se i napoleonidi caderanno in Francia, caderanno anche in Toscana, e allora avremo uno di quei ritorni fatali quanto le partenze ». Come si vede, per profezia a rovescio, questa è. eccellente. E si capisce che successivamente il Tabarrini, pur servendo lealmente il governo provvisorio del Ricasoli, e ammirando di lui l'energia conseguenziaria, seguiti ad ewere preoccupato e scontento; tratti da gente senza cervello gli annessionisti i quali (poveri illusi) vogliono anticipare sulla volontà di Napoleone IH; e arrivi addirittura a scrivere, il 15 giugno, a proposito di un indirizzo a re Vittorio Emanuele in favore dell'unione : « Tutti lo firmeranno, come firmavano il primo, ora rimasto inutile, perché la Toscana firmerà tutto e piglierà rotto, purché le lascino il dirit¬ to di ridere sempre, e di disfa re oggi quello che fece ieri » Il 22 marzo 1860, però, a plebiscito avvenuto (n e 12 marzo), scrive — rassegnato, se non convinto —: «Oggi è il giorno che nel 1848 partirono i volontari per la guerra di Lombardia. L'autonomia cominciò a scalzarsi allora coll'idea nazionale, che presto o tardi doveva riuscire all'idea unitaria ». Era una constatazione agli antipodi della profezia del 27 aprile. * * Riporto io questi passi per prendermi spasso del Tabarrini? Neppur per sogno. E come potrei pensare a farlo quando ne « Il '59 in Toscana. Lettere e documenti inediti » di Raffaele Ciampini (Sansoni ed.) — la pubblicazione più importante finora in questo cinquantenario — trovo che il Ferrières (ministro plenipotenziario francese a Firenze) riferisce al suo superiore, il ministro degli Esteri Walewski, circa il Capponi, un grosso calibro, questo, ben maggiore del Tabarrini: «Egli mi ha parlato con una grande moderazione. Egli pensa che, anche senza arrivare alla emancipazione del Lombardo-Veneto, si avrà un gran risultato se si porrà fine alla preponderanza usurpata dall'Austria sui governi della Penisola, e si metterà nei suoi veri termini la questione italiana ». E perfino Massimo D'Azeglio, politico e non letterato, secondo il « Diario » Massari (ed. Morelli, pagine 139) il 15 febbraio 1859 affermava che ci sarebbe stato qualcosa di grosso a favore dell'Italia, anche senza guerra. Del Capponi il diario del Massari (p. 275) riferisce, alla data 19 giugno 1859 (dopo Magenta e alla vigilia di Solferino): «Gino Capponi è furioso autonomista, fino a dire: la Toscana è una p... disputata fra due soldatacci ». Il Massari commenta : « Sono parole indegne ». Ma anche lui — moderato pugliese e non toscano — in contatto per anni con Gioberti e Cavour, in fatto di moderatismo non scherza. Egli proclama che « tuttociò che da vicino o da lontano rassomiglia ad una setta non può se non nuocere alla causa italiana » (p. 15); e in codesto suo principio va tanto avanti da essere risolutamente contrario a quella « Società Nazionale », che fu uno degli strumenti principali di Cavour. * * « Molte sono le mansioni nella casa di mio padre », ha detto il Cristo. E' una sentenza che vale anche per il mondo politico. I moderati avevano una « mansione », i democratici o attivisti un'altra. Sono stati i moderati a rappresentare l'aspetto culturale, storico, del Risorgimento : la maturazione lenta, su cui a un certo momento doveva, innestarsi l'azione risolutiva. Luigi Salvatorelli aiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii