I problemi da risolvere nelle bonifiche del Sud

I problemi da risolvere nelle bonifiche del Sud Crisi di direzione e di linanziamento I problemi da risolvere nelle bonifiche del Sud Le pianure costiere — rimaste per secali il regno incontrastato della malaria d'estate e delle pecore d'inverno, divenute per parecchi decenni il luogo della più tipica cerealicoltura estensiva — rappresentano oggi, grazie alla scomparsa della malaria e alla coraggiosa politica della Cassa per il Mezzogiorno, le zone di più sicuro sviluppo economico dell'Italia Meridionale. • Sotto alcuni aspetti la coraggiosa politica avviata nel 1950 in questi territori è già molto vicina alla mèta. L'opera di bonifica è pressoché completa e così lo è il programma di preliminare attrezzatura civile. Le grandi opere di invaso e di regolazione delle acque a scopo irriguo sono ultimate, o quasi, per una superficie complessiva di circa duecentomila ettari. La stessa rete di distribuzione dell'acqua d'irrigazione si va estendendo un poco dovunque sui campi ed è pronta — rendendo così possibile la nuova agricoltura — per un complesso valutato oggi sui 50 mila ettari ed aumentabile con un ritmo di 10-15 mila ettari all'anno. Giunti a questo punto ci si attenderebbe di vedere la trasformazione agraria sia largamente e solidamente iniziata. Purtroppo, invece, non è così. Chi non si lasci ingannare dai segni di un certo diffuso fermento, si accorge che qualcosa di essenziale non cammina in questi territori di sicuro sviluppo e deve concludere che il loro avvenire è reso incerto dalla mancata riso luzione di una serie di fondamentali problemi. Questi problemi sono di natura finanziaria ed orga nizzativa, riguardano sia consorzi che i privati e sono di natura tale da poter essere risolti solo se affrontati energicamente, sul piano di governo, secondo un programma seriamente studiato e metodicamente realizzato. In quella decina di comprensori, dei. quali stiamo parlando — dal Garigliano . e Volturno, al Tavoliere, il •Metaponto, la Valle, del Ne to, la Piana di Catania, il Flumendosa, per non par lar dei minori — irresoluto è, anzitutto, ancora il prò blema dei consorzi di boni fica. Questi, dopo essere stati negli anni passati me diocri concessionari del prò gramma delle opere pubbli che, si trovano in uno stato di marasma e di paralisi appunto nel momento in cui dovrebbero essere nella fase di più intensa attività, di una attività finalmente corrispondente alla loro natura e ai loro scopi. La crisi, — al di là delle questioni statutarie, delle quali tanto inutilmente si è ragionato e si ragiona — è crisi di direzione, di organizzazione e di finanziamento. Laddove lo Stato è impegnato per decine di miliardi, il governo ha continuato per lo più ad affidare la direzione dei consorzi o a deboli rappresentanze politiche e a più deboli commissari governativi, invece di porla, come era in suo potere, — pur rispettando le forme di una gestione ordinaria, — nelle salde mani di uomini qualificati con riconosciute capacità organizzative. Dopo anni di inequivocabile esperienza, d'altra parte, non si è ancora trovato il modo di assicurare, mediante congrui fondi di dotazione, l'adeguato e stabile finanziamento delle attività dei consorzi. Questi — finita la fase delle opere pubbliche — si trovano a dover provvedere alla manutenzione delle opere, alla organizzazione dei servizi, all'esecuzione delle opere comuni di trasformazione fondiaria potendo solo fare affidamento sul modesto gettito dei contributi di bonifica. La prima mossa per rimettere in moto la macchina è, perciò, quella della costituzione, in questi pochi consorzi, di salde ed efficienti direzioni direttamente responsabili ai ministri responsabili, e di un riordinamento delle loro organizzazioni sulla base di adeguati fondi di dotazione. C'è, poi, da affrontare con coraggio e con realismo l'altro grosso, ancor più grosso problema della trasformazione fondiaria, della creazione della nuova agricoltura. Anche questo problema ha due facce — finanziaria e imprenditoriale — e due aspetti: nei riguardi della media proprietà non coltivatrice e della piccola per lo più coltivatrice (che dovunque rappresenta oltre il 50% delle terre ■ da irrigare). Tutti sanno — perché lo suggerisce la logica ed i tecnici responsabili lo vanno proclamando dai tetti da dieci anni — che i capitali occorrenti alla trasformazione irrigua: 1) non possono uscire dalle tasche di modesti proprietari di terra a coltura estensiva e tanto meno da quelle di poveri contadini; 2) non possono essere provveduti per via del credito, se non in piccola parte; 3) non possono essere sostituiti dai contributi dello Stato, se non per la parte che la legge prevede. Tutti sanno, d'altra parte, che i proprietari ed i contadini di queste terre — malgrado i cambiamenti, non tutti positivi, di questi anni — non offrono quella carica di spirito imprenditoriale e di qualificazione tecnica ed organizzativa che occorre ad affrontare in pochi anni la difficile impresa della creazione e della gestione di aziende irrigue di elevata intensità produttiva. Il problema della creazione in tempo utile — ossia non diluita in pura perdita nello spazio di trent'anni — di un'agricoltura irrigua in questi comprensori è, quindi, un problema duro. Esso comporta l'immissione di capitali esterni (oltre il credito ed i normali contributi) per molte decine di miliardi ed il ritrovamento di forme organizzative, capaci non solo di mettere in moto la macchina, ma di immettere anche nel circolo nuove forze imprenditoriali e nuclei di operatori tecnicamente e organizzativamente qualificati. Quali possono essere le fonti e le forme per questa doppia immissione non può essere detto in coda ad un articolo. Tra coloro che del problema si sono occupati si dibattono da tempo idee e proposte che il governo dovrebbe con urgenza discutere e mettere a punto. Le soluzioni possono essere naturalmente, -almeno in parte, diverse. Secondo alcuni lo sforzo dovrebbe essere diretto a sostenere i proprietari del luogo, unici possibili protagonisti della trasformazione, e addossato quasi esclusivamente allo Stato. Secondo altri ogni tentativo dovrebbe essere fatto anzitutto per portare in questi territori capitali privati e capacità imprenditoriali di altra origine e per impegnarli — oltre che nella creazione delle strutture commerciali e industriali di valorizzazione dei prodotti — anche direttamente nell'opera della trasformazione fondiaria. Sia gli uni che gli altri, tuttavia, fanno realisticamente conto su di un più largo intervento dello Stato e su di un rigoroso coordinamento degli interventi. L'alternativa a questa linea di azione sarebbe, infatti, — ed è bene che tutti lo sappiano — il ristagno economico, l'acqua scorrente inutilizzata a mare o quel che è peggio — uno stentato e mediocre progresso di terre, sulle quali il paese ha già speso som me imponenti e sulle quali ha riposto le sue migliori speranze. Manlio Rossi-Doria

Persone citate: Manlio Rossi-doria

Luoghi citati: Catania, Italia