Il marito della Duse

Il marito della Duse Il marito della Duse Il marito della Duse lo si nomina appena, con onore e rispetto, ma rapidamente e quale vittima necessaria. Breve salutino di rigore, e poi osanna alla «divina». La «divina» costò al marito, a Tebaldo Checchi, tutta una vita di solitudine, di silenzio, di sacrificio. Il Checchi non amava i grandi gesti; tant'era infatuata nella vita lei, tanto era sobrio, schivo, dolorosamente sincero lui. Non più giovane, il Checchi aveva sposato la Duse giovanissima, inquieta, ammalata, fiaccata dalla trista avventura con Martino Caficro. E l'aveva rivestita di tenerezza, curata come una figlia, strappata tre volte alla morte. Ai demoni che rodevano i nervi e l'anima dell'attrice, Checchi opponeva la sua grande calma, una saggezza generosa, il buon senso. Era forse un po' noioso, con le prediche con-; tinue, e la infastidiva forse con quel suo amore l«più da amante che da marito », egli confessò poi timidamente), e le offrivi un'esistenza sicura, ma piatta e monotona. Sono cose che le donne non perdonano. Il poveraccio pur con la sua chiaroveggenza non lo capiva. Capì poi tutto in una volta, in una scena sola e definitiva. Capire, essere feriti dalla più gelida delle crudeltà, decidere per la rinuncia totale, è molto, è forse troppo. Ma Tebaldo Checchi, attore mediocre e uomo coraggioso, fece la scelta più atroce (per se), con rapidità e fermezza esemplari. Erano nell'America del Sud, Checchi, la Duse, Cesare Rossi, Flavio Andò. L'Andò bellissimo giovane, elegante, affascinante, faceva le parti di « amoroso ». Quando in palcoscenico si avvicinava alla Duse per parlarle d'amore, le loro mani tremavano. In quelle finzioni di ogni sera scorreva il fluido misterioso, primaverile, della passione che nasce. E Checchi taceva. E tacque finché potè, poi, non potendone più, parlò alla donna. I biografi dell'attrice, adoranti, raccontano che la Duse si rese ben conto dcll'unmenso dolore che stava per infliggere al suo buon compagno; era triste, dicono, era terribile farlo soffrire, ma non poteva fare diversamente. Non poteva? Belle parole! a dirla più semplicemente la Duse fece i suoi comodi, e il Checchi fu liquidato. Anzi si auto-climinò. Lasciata la compagnia, rimase in America fin quasi alla fine dei suoi giorni. E raramente si seppe poi qualcosa di lui. Ma, in quell'occasione, scrisse al Marchese d'Arcais, critico e galantuomo, una lettera rimasta sconosciuta fino a pochi anni fa, e pubblicata ora in un bellissimo volume da Leonardo Vergani. Il volume, che si intitola Eleovorti Duse, ed è stampato da Aldo Martello, è una raccolta intelligente di testimonianze, molto divertente, molto istruttivo. (E qui, poiché si parla di eccellente, anzi splendida editoria, vogliamo pur ricordare, perché è doveroso, un altro libro che ha lo stesso titolo, Eleonora Duse, e che curato da Olga Signorelli appare nella collezione «Silvana Editoriale d'Arte»: iconografia che non si potrebbe desiderare né più completa né più luminosa e raggiante). Il Checchi scrive dunque al d'Arcais da Rio de Janeiro, in data 27 agosto 1885, racconta parzialmente i fatti, annuncia la decisione di non ritornare in Italia, quasi si giustifica. Agli amori della Duse e di Andò non si accenna; Checchi si sofferma su altri labirinti, oscuri e dispettosi e un po' vili, di un destino coniugale, di un matrimonio sbagliato.- Racconta che i compagni d'arte lo avevano sconsigliato di sposare la Duse, « donna fantastica, che non sa mai quello che vuole, che non farà mai nulla nell'ari». La sposò 10 stesso. E allora avvenne un curioso mutamento; quei comici incominciarono a sussurrare che anzi il Checchi era un furbissimo, e che aveva sposato la giovane per interesse, per sfruttarne la fama crescente. E circuirono la Duse, e quanto più 11 Checchi si adoperava a facilitarli, la carriera, a suscitarle intorno interesse, curiosità, ammirazione, tanto più la Duse si sentiva ferita come se tutti quegli armeggìi significassero ch'ella, da sola, non se la sarebbe cavata. Cosi, un brutto giorno, le sfuggi una brutta frase. Con piglio astioso saltò su a dire: «lo sono una individualità che può fare da sé, e sono stanca di sentirmi dire che sei sempre tu... ». Bisogna essere sinceri : 1' animo umano è complesso, e questa volta la Duse non fu né grande, né divina, né altro: ebbe un tratto da cabotine. Il povero Checchi ne fu stordito; e molto probabilmente dal fondo del cuore gli venne a galla la verità. Dopo qualche giorno la chiamò in camera sua e le parlò, ma il discorso « passò freddo freddo come se lo avessi fatto a un muro ». Nulla da fare. « Lei poveretta non ne ha colpa — scrive al d'Arcais —, è il suo carattere inquieto... ha bisogno per vivere, sempre del nuovo, dello stravagante, dell'emozione, ed io con la mia tranquilla salute, non le potevo dare nulla di tutto questo ». (La Duse doveva trovare poi uomini di salute meno tranquilla, esteti e poeti e fanatici, che avrebbero finto di darle tutto questo...). Il Checchi è ormai lucidissimo e indica quelli che « incensandola la commiseravano perché incatenata per la vita, ad un essere volgare », e accenna all'ubriacatura «del continuo successo » e, particolare piccante, alle «letture malsane della vita delle Rachel, delle Descléc, e delle Bernhardt ». Certamente a fianco del Checchi, in questo interno bonario e schietto, la « grande amatrice » appare un po' stonata. E quando il Checchi prorompe: «La Duse per me è morta », quasi quasi si tira un respiro di sollievo. Degli amori con Flavio Andò, nelle pagine che abbiamo sotto gli occhi non vi è dunque traccia. E tuttavia qualcosa c'è, un paio di sfumature dalle quali traspare, consciamente o no, quel dolore di uomo tradito. Ed una è là ove dice che dopo il colloquio decisivo: «non più una parola è stata scambiata fra noi, solamente ella è felicissima e non è mai stata cosi bene in salute, come oggi, è vispa ed allegra ». Si può essere strambi ed egoisti fin che si vuole, ma vispi e allegri perché un matrimonio si sfascia, no. Quell'allegria, quella vispezza, quella felicità non sono che il balenìo dell'amore nuovo. E sulla fine della lettera, l'altro tocco rivelatore. Il brav'uomo raccomanda al d'Arcais la Duse; se vi riuscirà, guidatela, dice, perché ne ha bisogno. E sottolinea : « Sul principio tutto bene, per la novità della cosa... ma poi? ». E che cosa mai va sul principio tanto bene, per la novità e per l'illusione, se non l'amore? E che cosa mai se non l'amore improvviso e rapace precipita nell'oscuro domani? Quando morì, Checchi lasciò il suo, varie migliaia di lire risparmiate in un'esistenza dignitosa e modesta, alla moglie Eleonora e alla figlia. E Matilde Serao racconta come la Duse gliene diede la notizia: «"Quel pòvero Tebaldo... Lo crederesti, Matilde, che Enrichetta ed io abbiamo ereditato da lui? Noi, da lui, Matilde, capisci?... Sempre il medesimo Tebaldo". E restò pensosa, assorta «.Accadeva spesso alla Duse, tra le amorose e dolorose avventure, di rimanere pensosa e assorta, di quella pensosità un po' fatua che si accordava così bene ai furori erotici, eroici ed estetizzanti del-, la decadenza europea. Ed a noi, sullo sfondo rettorico, vien. fatto di avvertire che il vero dramma della vita della Duse, se lo portò intero in cuore, nel più esemplare silenzio, proprio lui, e solo lui: suo marito, il gentile e semplice Tebaldo Checchi. Francesco Bernardelli ami iiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiititlllllllllllllllll

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