Lo sviluppo dei «comuni» in Cina fu rallentato per ordine di Kruscev

Lo sviluppo dei «comuni» in Cina fu rallentato per ordine di Kruscev Mao in contrasto col Cremlino per la fretta di realizzare il comunismo Lo sviluppo dei «comuni» in Cina fu rallentato per ordine di Kruscev II capo sovietico li considera "'reazionari» - Pechino ha accettato in parte il richiamo di Mosca; tuttavia le divergenze ideologiche tra il "comunismo dei ricchi,, dell'Vrss e il "comunismo dei poveri„in Cina sono profonde e potrebbero avere gravi conseguenze sul piano internazionale (Nostro servizio particolare) Hong Kong, 2 aprile. Quando il Comitato centrale del partito comunista cinese stabilì, nel dicembre 1958, di dare un colpo di freno allo sviluppo dei « comuni popolari », si ritenne in genere di attribuirne il motivo alle difficoltà ed alle resistenze che il movimento incontrava all'interno del paese. Oggi possiamo affermare che i « comuni » hanno sollevato soprattutto resistenze esterne, cioè gravi obiezioni da parte di Mosca. E' possibile bruciare le tappe nella marcia al comunismo? La Cina lo ha creduto e lo ha detto, e fu quando lanciò lo slogan della « scorciatoia verso il comunismo» che si fece richiamare all'ordine dal Cremlino. In verità, la risoluzione del Comitato centrale in data 29 agosto 1958, che è l'atto di nascita del « comuni », trattava le questioni dottrinarie con molta arroganza, dedicandovi solo qualche paragrafo. Il documento appariva di una rara audacia. Fino a quel momento, la Cina non aveva mai parlato che di edificare il socialismo; ora per la prima volta accennava al t passaggio al comunismo ». Il testo del 29 agosto precisava, sì, che la fase attuale di evoluzione era ancora socialistica, ma annunciava un'accelerazione nello sviluppo in corso e aggiungeva temerariamente: « Sembra che la realizzazione del comunismo in Cina non sia più un avvenimento lontano ». Concludeva Infine dicendo che la Cina, grazie ai « comuni », si avvia ad « esplorare la strada più breve » per passare al comunismo. Che cosa ne avrebbe pensato il Cremlino? Fin qui non era stata l'Unione Sovietica, ed essa sola, a sondare quella strada? Pechino aveva mancato di prudenza; meno prudenti an cora si erano dimostrati i diri genti locali nelle province. Tutti presi nel vortice del « balzo in avanti », non si erano curati gran che del problemi della dottrina. Una grande notizia rotolava per la Cina; < il so cialismo è finito, il comunismo è vicino, ci arriveremo presto! ». In alcune regioni, le case, gli alberi, le strade si coprono di manifesti con lo storiati: «Verso il paradiso del comunismo»; in altre, come in Manciuria, il comitato provinciale del partito dichiara in un documento ufficiale: «Le masse reclamano che il viaggio verso il comunismo sia abbre^ viato». Dappertutto si ripete la parola d'ordine di Mao Tsetung. < Vent'anni di lavoro sono concentrati in un giorno ». In nome del comunismo, ogni sorta di eccessi, più tardi condannati alla conferenza di Wuhan '53) come «avveniristi» o «deviazionisti », furono compiuti in moit. « comuni » in formazione. I contadini « donarono volontariamente» alla comunità tutto quanto possedevano; chiesero in cambio tutto ciò di cui avevano bisogno, dal piatto di ministra al vestito di cotone grezzo. Dalla loro fondazione, certi « comuni » pretesero di applicare la formula « a ciascuno secondo i suol bisogni », che è la mèta ultima del comunismo, e non più quella « a ciascuno secondo il suo lavoro ». In altre parole, essi pagavano salari bassissimi o non pagavano affatto, dicendo ai contadini: «Voi siete ricompensati in natura per il vostro lavoro, con il cibo e l'alloggio gratuiti. Il salario in natura è la porta di ingresso al comunismo ». Infine si diffuse in tutto il Paese un movimento per « l'educazione e lo spirito comunista». Si insegnò al popolo che il passaggio al comunismo esige la vita collettiva, con le mense e i dormitori in comune, mentre i bambini dovevano essere affidati alla comunità che li avrebbe cresciuti in luogo della famiglia. Davanti a tanta audacia, quale fu l'atteggiamento dell'Unione Sovietica? Straordinariamente freddo. Prima e dopo il lancio dei « comuni », Mosca ignora l'avvenimento; i giornali sono pressoché muti; le rare citazioni sulla stampa non fanno parola del famoso « passaggio al comunismo ». Solo 'a Pravda, in una corrispondenza da Pechino del 26 spttpmbre, accenna agli altiforni costruiti nelle campagne, ma sottolinea che di essi « soltanto un terzo funziona passabilmente ». Alle feste di ottobre, gli auguri e le felicitazioni alla Cina ignorano deliberatamente i « comuni ». Il silenzio è rotto infine ai primi di novembre, con un chiaro richiamo all'ordine di un portavoce del Cremlino. L'ambasciatore sovietico a Pechino, Yudin, parlando ad un ricevimento per l'anniversario della rivoluzione cinese, dichiara che il comunismo non è slato finora raggiunto da nessun Paese del mondo; la stessi'. Russia è ancora nella fase socialistica, ed è la guida delle altre nazioni socialiste. Solo l'Urss ha il diritto di lanciare la formula: « passaggio al comunismo ». Il momento è maturo. Ma quando Kruscev lo farà, annunciando il suo piano settennale e la convocazione del XXI Congresso per gen. naio, avrà cura di precisare che la Russia getta ora le basi de' «passaggio al comunismo»; non pretende che il suo Paese sia già in questa fase. Che la Cina, cosi economicamente arretrata, proclami di esserci già arrivata è assurdo; ed è irritante per Mosca constatare che la Cina si è permessa di al(novembre-dicembre ì affermarlo tre mesi prima dell'Urss. D'altro canto, i « comuni » non sono visti di buon occhio al Cremlino per la loro stessa natura. Sono noti i commenti attribuiti a Kruscev dal senatore degli Stati Uniti Humphrey. « I comuni sono reazionari » avrebbe detto il capo sovietico all'ospite americano. La Russia ha tentato l'esperimento, ma poi vi ha rinunciato, avrebbe aggiunto Kruscev; la formula « a ciascuno secondo ì suoi bisogni » non è ancora applicabile, perché annulla lo stimolo della produzione, cioè l'interesse personale a produrre di più. La risoluzione di Wuhan, in data 10 dicembre, dimostra che il richiamo di Mosca è stato inteso dai cinesi. Il documento rivela differenze notevoli dalla risoluzione del 29 agosto; lunghi brani sono dedicati al «marxismo-leninismo»; è evidente il desiderio di tornare all'ortodossia. Il testo riconosce che la Cina non è ancora avviata al comunismo; che occorreranno da 15 a 20 anni per arrivarci (non da 3 a 6 come s'era detto in agosto); che esistono certo «i germi del comunismo » nei « comuni », ma per ora la fase di sviluppo è socialistica; che attualmente non solo bisogna pagare il salario ai lavoratori, applicando la formula « a ciascuno secondo il suo lavoro », ma aumentarlo di anno in anno per stimolare l'entusiasmo del popolo. Nella chiusa della risoluzione ci sembra soprattutto di avvertire l'eco delle proteste di Mosca: «Non dobbiamo affermare che i comuni realizzeranno immediatamente la proprietà del popolo e neppure che ti porteranno subito al comunismo. Così dicendo daremmo prova non soltanto di brutalità, ma metteremmo in caricatura il grande ideale del comunismo, rafforzeremmo le tendenze piccolo-borghesi verso l'egalitarismo, attenteremmo allo sviluppo dell'edificazione socialista». La conferenza di Wuhan si è conclusa dunque con un ravvicinamento all'ortodossia di Mosca. Viste sotto questa luce, le dimissioni di Mao non potrebbero essere un gesto di pacificazione verso Kruscev? Se la scelta del suo successore tarda a venire non è forse, perché si attende il gradimento del Cremlino? Ciò che è certo è che Pechino ha avuto, dopo Wuham, l'occasione di dissipare la diffidenza dell'Urss e ne ha approfittato: in gennaio, al congresso del partito comunista sovietico, Ciu En lai, capo della delegazione cinese, ha pronunciato un di- ìscorso Pieno di elo8i Per Kruscev e di gloria per il Paese amico. Ma, detto tutto questo, è difficile fugare l'impressione che il comunismo internazionale è giunto ad una svolta decisiva della sua storia, in cui, a dispetto dell'ultima risoluzione di Wuhan, la formula cinese afferma la sua indipendenza da quella sovietica. Le differenze di metodo, riconosciute da Kruscev, sono tali che sulla strada verso il comunismo appare un bivio: la via cinese lascia quella russa. Viste dall'Asia, queste differenze sono enormi. Se voltano gli occhi verso Mosca, i cinesi scorgono qualcosa che sembra loro terribilmente lontano: un comunismo che avanza di pari passo con gli sputn.k e la potenza atomica, un mondo comunista di alta specializzazione tecnica e di livello di vita pressoché « americano ». Ma se guardano a Pechino, Mao presenta loro uno spettacolo che gli è familiare, immediato: battaglioni di operai e di contadini impegnati a cambiar la faccia della Cina con la sola forza delle braccia. Il comunismo appare qui una soluzione vicina; e se pure l'irreggimentazione della vita, se pure la fine della famiglia sbigottisce i cinesi, il riso gratuito dei refettori e l'annuncio di raccolti sensazionali rischiano di impressionarli assai più del lancio di un nuovo satellite. La Russia, vista di qui, sembra avviata già in ciò che potremmo chiamare un comuni¬ niiiiiiiiiiiimtiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiHiiM smo dei ricchi. La vocazione della Cina è quella d'un comunismo dei poveri, e sia detto senza intenzioni peggiorative. A lungo andare, questa differenza potrebbe avere gravi conseguenze sul piano Internazionale. Robert Guillain