Il dèmone del Potere di Luigi Salvatorelli

Il dèmone del Potere Il dèmone del Potere Si racconta (lo ha riferito Forcella ai lettori de La Stampa nel numero del iz marzo) che Fanfani, al momento culminante della crisi sua e del partito, avrebbe esclamato : « E' possibile fare una politica veramente cristiana? ». Esatto, o no, che sia il racconto, esso ci presenta un caso tipico di riscoperta personale, come di novità intravista allora allora, di una verità generale, antica quanto l'umanità. Noi viviamo la nostra vita quotidiana, normale — la nostra .routine, possiamo dire — secondo certi principi generali impliciti, che non ci passa per la mente di mettere in discussione. Ma accade ogni tanto, in circostanze straordinarie, che ci si presentino dei casi complicati, suscitanti quesiti che non ci eravamo mai posti: e allora quel che era stato fino al giorno avanti semplice e ovvio, diviene problematico; e codesta « problematicità » ci fa l'effetto di qualcosa di nuovo, che viene a mettere in dubbio le nostre consuetudini, a turbare le nostre coscienze. Tertulliano, al principio del III secolo, si pose un giorno il quesito, se gli imperatori potessero essere cristiani; e nell'atto stesso del porlo, Io risolse negativamente. Quelli, si dirà, erano governanti pagani: la sentenza di Tertulliano non ebbe più valore da quando l'impero divenne cristiano. E' una risposta troppo facile, troppo ovvia, per essere veramente risolutiva. La incompatibilità, che Tertulliano scorgeva fra impero e cristianesimo, andava bene al di là di una divisione confessionale. Era la presa di coscienza del contrasto fra politica e morale, tra il comando esterno dello Stato e l'imperativo della coscienza individuale. Lo stesso vale per l'esclamazione di Fanfani, anche se egli ha parlato non di moralità, ma di religione, e più precisamente di cristianesimo. Per la coscienza umana, quello che conta definitivamente, nelle credenze e nei precetti religiosi, è il nucleo morale che vi è contenuto. * * Uno storico tedesco della prima metà del secolo XIX, il Dahlmann, ha scritto che t una cosa può essere buona quanto alla legge morale dell'individuo e un'altra esser giusta quanto alle leggi dello Stato », aggiungendo che « lo Stato non può subentrare, in quanto tale, al posto dell'ordinamento divino, che deve esser seguito incondizionatamente ». Il suo contemporaneo ben più celebre, Hegel, tagliava invece il nodo gordiano facendo dello Stato la massima incarnazione dello Spirito, e cioè del Divino. Non per nulla, però, Dahlmann respirava la stessa aria di Hegel; e così egli, pur proclamando la superiorità di Dio su Cesare, concludeva: «Nulla, tuttavia, sulla terra è così vicino all'ordinamento divino quanto quello dello Stato ». Prendo queste citazioni del Dahlmann da una recente (del 1948) opera di uno dei maggiori storici della Germania odierna, Gerhard Ritter, // volto demoniaco del potere, testé pubblicata in traduzione italiana nelle edizioni del « Mulino ». Come si vede già dal titolo, il Ritter è molto lontano dalla divinizzazione hegeliana dello Stato; e non accetta neppure l'approssimazione del Dahlmann. Per lui, come per il Croce, la vita superiore dello spirito si muove su un altro piano da quella statale. Il Croce aveva indicato, fin dagli inizi del Novecento, la potenza quale connotato principale, essenziale dello Stato, e aveva collocato la politica (attività precipua statale) nella sfe r» della « utilità », primo grado della vita pratica, su cui sormonta il secondo e supremo, quello della « moralità ». Il termine « demoniaco » usato dal Ritter per l'attività politico-sta tale è, in sostanza, l'equivalente della categoria crociana della « utilità ». Esso significa una attività esercitantesi all'infuori della sfera morale, indipenden temente dalla legge morale, che non è propriamente rinnegata, ma semplicemente ignorata. L'analogia con la posizione del Croce non e, peraltro, identità pura e semplice. Là dove il Croce identifica senz'altro Stato e Potenza, Politica e Utilità, il Ritter ci parla di « volto demo niaco del potere ». L'espressio ne ci indica, già da sé, che il carattere demoniaco (nel senso spiegato sopra del termine) non è l'unico attribuito dal Ritter al potere statale. E infatti tutto il libro è, in conclusione, uno schizzo geniale di storia della teoria politica: schizzo culmi nante nella contrapposizione fra Stato di pura potenza e Stato attuante, o meglio, tutelante la vita morale. I due tipi teorici sono da lui ritrovati in Erasmo (histitutio principi! cristiani) e in Machiavelli; ma il primo tipo è presentato anche, in una specie di ingrandimento ideale, nella utopia di Tommaso Moro. La parte più originale de! libro è il lungo capitolo quarto: « Conseguenze storiche del contrasto ». Qui i due tipi di Stato sono calati nella realtà storica, e cioè nella politica europea effettiva dal secolo XVI ad oggi. Non già che il Ritter proceda alla identificazione pura e semplice di uno o più stati singoli con il tipo erasmiano o con il tipo machiavellico. Si tratta invece di rilevare, nei corsi e nei contrasti della politica europea moderna, due concezioni, o meglio, due tendenze, dettate dalla diversità di situazioni: quella continentale », di governi costretti a lottare perpetuamente coi vicini, e quindi a concentrarsi sulla esigenza della forza; c quella « insulare », di. stati e popoli in condizione di relativa sicurezza esterna, e che per-, tanto hanno potuto applicare le loro forze « per l'interno benessere del paese anziché per la guerra »; e intervenire altresì (nel proprio interesse, ma anche per convinzione morale) a difesa della libertà altrui. Che i casi più cospicui del secondo tipo li offra la storia inglese, è ovvio; e così pure, che le esemplificazioni più vistose del primo tipo si ritrovino nella Germania del Novecento. Non altrettanto ovvia è la obbiettività con cui uno storico tedesco ha saputo enucleare e svolgere il filo di codesta contrapposizione. * * Lontano, come si vede, da ogni idealizzazione dello stato, da ogni « statolatria », il Ritter tuttavia non arriva alla posizione del Burckardt (nelle postume Considerazioni di storia unieversale), secondo cui la potenza è semplicemente malvagia; e alla sua confutazione dedica qualche pagina. Il « demone del potere » è ambiguo : può sprofondare nella violenza, nell'ampliamento illimitato e senza giustificazione intrinseca del proprio dominio; e può elevarsi alla realizzazione dei valori morali, La seconda alternativa appare nel Ritter non solo come quella idealmente preferibile, ma anche come la più rispondente al corso storico dell'umanità. Erasmo e Moro hanno consacrato valori permanenti e indispensabili; Machiavelli ha indicato realtà aspre e dolorose ineliminabili. La conciliazione perfetta, la fusione senza residui dei due tipi, non è possibile; ma il loro contrasto « può e deve tuttavia venire praticamente superato nella concreta azione dell'uomo di stato ». E allora — aggiungiamo noi, in quest'anno 1959 — Erasmo e Machiavelli si incontrano in Camillo Cavour. Luigi Salvatorelli VIIIMIIIItllIIIIIIIIIIIIIIllllllllllItlllIIIIItlllllllll

Luoghi citati: Germania, Potenza