Il Settecento a Roma

Il Settecento a Roma una mostra cn'e lo specchio d'un secolo Il Settecento a Roma La grandiosa rassegna ordinata in più di ottanta sale : dal « ritratto di Stanislao Kostka Potocki» del David alte stampe del Piranesi ai lavori dei più modesti artigiani-pittori (Dal nostro inviato speciale) Roma, 18 marzo. Se non proprio 11 più" alto per qualità pittorica, cèrto il più affascinante quadro della aterminata mostra nella quale a partir da domani, in .oltre ottanta sale dei. Palazzo delle Esposizioni, si potrà veder specchiato il prodotto del gusto europeo nel Settecento a Roma, è il ritratto, equestre del conte Stanislao-Kostka Potocki cominciato dal : trentaduenne David . mentre finiva nel 1780 il suo pensionato in Italia del «Prbc'de Rome», e poi terminato a Parigi. La seducente occasione dell'opera . è nota: l'intollerante fierezza d'un magnifico focoso cavallo che durante una caccia del re di Napoli nessuno ardiva montare e che li nobile: polacco si offri di ridurre "all'obbedienza. La perizia audace, "^'eleganza del vittorioso cavaliere tanto colpirono il pittore presente alla scena; che' accettò daJ sovrano ^Incarico,di raf: figurarne il coraggioso'^protagonista; e non doveva- sbagliare di 11 a poco il Diderot definendo la tela. ' t superba', tableau » nell'ultima'- sua critica del Sàlon. ■" Bianco pomellato di grigio il superbo animale sembra chiesto in prestito' dall'artista al Van Dyck per fornire uh primo modello (e quanto stupendo!) delValtro celeberrimo cavallo davidiano, quello del Primo Console che vrirca il Gran S. Bernardo. Ma qui il destriero non s'impenna annitrendo al destino; meno < storicamente > — e perciò con minor retorica e più schietto risultato d'arte — recalcitra, l'occhio incupito di nobile tristezza nel sentirsi domato, davanti a un alano che rabbiósamente latra. Baldo In sella ì'impeccabile dandy dagli attillatissimi calzoni di nanchino, dall'ampia candida camicia fasciata d'una sciarpa turchina, regalmente ringrazia degli applausi meritati dalla sua bravura. Dietro, a sfondo, soltanto un muro di grosse pietre squadrate su cui la giovanile figura splendidamente ì si "modella come un bassorilievo. Ma proprio al di là di quésta specie di sipario chiuso su una 'scena che dopo quattr*annl si sarebbe aperta invece sul Giuramento degli Orami, si sente la presenza di Roma. Si sent<» che questo capolavoro di-statuali» dipinta, quella che il Diderot ■«eveva Invocete contro la pittura < pastorale » del Boucher, non può esser stato concepito che nell'aura del Settecento romano. Tale, se non. c'Inganniamo, il senso dell'immensa esposizióne promossa, dopo quella di < Roma nel Seicento > del 1931 e quella di < Roma nell'Ottocento > del '34, dall'Associazione Amici dei Musei'presieduta dal , principe Urbano Barberini, e attuata in quasi due' anni di lavoro da Emilio Lavagnino e dal suol aiuti della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio, Di Carpegna, Faldi,,;-Maltese, Mortari, Salerno, Santahgelo, Pietrangelo Toesca, con la validissima collaborazione.di Andreina Griseria Giuliano Briganti: la equipe di'studiosi . che ha anche /Curate il folte catalogo. Non •'tante, • cioè, una riscoperta di singoli valori artistici, uno scandaglio critico gettato nel profondo mare del' la produzione figurativa d'un intero secolo, quanto-lasugge-, stiva restituzione d'una-speoiflca atmosfera estetica, d'una irripetibile stagione del gusto. - Spettacolare ricostituzione, dunque, forse lievemente artificiosa ma attraentissima, di quel clima intellettuale'sui, in relazione con la Roma dèi se colo XVTII, imparammo a in: teressarci sul documenti del tanti <Voyagee d'Italie.», base della formazione culturale di ogni giovane che nelle'jsue Soste italiane poteva permettersi l'accompagnamento d'un « cicerone » fidato, pome .qui si vede nel divertente quadro di Christian George Schutz coi due' personaggi;, contemplanti la campagna romana; ma che • soprattutto vagheggiammo leg gendo le pagine di turisti d'eccezione quali un De Brosscs 0 addirittura un- Goethe. E dopo aver guardato .commossi 1 tre pallidi dlsegnlnl venuti dal Goethemuseum di Franco forte e di Weimar, come non tornare con la mente all'incanto del diario'luminoso?" Roma; 17 febbraio 1787: «...da una quindicina di giorni '■ ho preso coraggio, sono uscitoi-con la mia cartella, ho percorso i col Ji e le vallate dei Castelli, e, sènza pensarci su più che fan te/ho buttato giù degli inte ressantl soggettiti! di caratte ré completamente meridionale e romanesco, ai quali ora, con l'aiuto della fortuna, mi studio di dar luce ed ombra ». S'intende che scoperte e révisioni verranno da sé, passati che siano al crivello dei ' competenti opere e! autóri: italiani, francesi, inglesi, tede- • schi, svizzeri, fiamminghi e d'altri Paesi, adunati in questa, felice occasione di confronti intorno al gran tema del gusto e dell'ambiente settecentesco di Roma. E già si parla d'alcune « rivelazioni >. Quella, per esempio,'del drammatico umanissimo Marco Benefial (1684-1764), del quale bastano le due potenti tele di Aracoeli per confermare il giudizio, del Lavagnino: ch'egli, reagendo alle smancerìe dei seguaci del Maratta, porta -!a propria passionalità fino al tardo Guercino, & con la $n"novata intensità sentimentale che lampeggia nel raccòlto della morte di S. Margherita di Cortona 'a suo il libero'rivoluzionario spirito inventivo, del Caravaggio e.dei prlmi'ica ravaggeschi. O quella di Do-, menico Corvi la cui estrosità nn narrativa unita all'istinto d'un colore-luce va oltre, con la S. Chiara e i Saraceni, le riconosciute qualità del decoratore. O quella (se pur di rivelazione per lui, notissimo, s'ha da parlare) dell'istriano romanizzato Francesco Trevisani, nella prima metà del secolo forse il più applaudito pittore a Roma, « intento a rompere — come scrive nella sua scheda la Griseri — gli schemi dell'iconografia monumentale marattesca per un genere di sapore arcadico idillico-profano », un sapore di cui doveva render ghiotto il geniale suo allievo piemontese in Roma, Claudio Francesco Beaumont Ma a revisioni criticamente clamorose non • può tendere una mostra essenzialmente panoramica: che tuttavia non vieta il gradito incontro con figure artistiche emergenti, qui sufficientemente definite, come l'elegantissimo Pompeo Baioni, degno di rivaleggiare coi ritrattisti inglesi che lavorarono a Roma (citiamo per tutti il Reynolds, il Rarhsay, il Romney) per la finezza pittorica e l'acutezza psicologica; e che dà modo, fortunatamente, di correggere generici giudizi negativi, quale quello di « frìgido » e di < teorico >, entrato persin nei manuali, sul Mengs, il quale invece si rivela ritrattista di magnifica forza e acceso pathos. Ma fra centinaia d'artisti italiani e stranieri non importa al visitatore tanto un'analisi minuta quanto entrar nel gioco sottile ed eccitante dei rapporti di questi artisti con l'ambiente del quale — vivendoci la vita intera o appena qualche anno — accolsero o rifiutarono le suggestioni. Che infatti le reazioni poterono esser negative, circa il fascino < romano », per un Boucher; positive in un Fragonard e in un Greuze; singolarmente attive in Claude-Joseph Vernet, nel sorprendente Valenciennes che fa pensare al primo Corot d'Italia con dei cieli alla Boudin, in Hubert Robert che addirittura si dichiarava allievo del Pannini. E nei confronti della solenne o scenografica descrizione di Roma e del suo settecentesco costume, fra il Pannini stesso (indimenticabile la sua «mi a) cronista Incredibilmente preciso ma freddino — sia che riferisca il ricevimento dì Carlo III di Borbone in Quirinale, sia che ci mostri i preparativi per la festa In Piazza Navona per la nascita del Delfino di Francia — e il Canaletto e il Bellotto di queste mirabili vedute romane, non c'è forse il divario che corre fra un'esatta registrazione ottica e la sua lirica interpretazione? il E a metà strada sta allora Locatelli. E' proprio 11 Pannini, con Gaspare Van Wittel, con l'arcadico Von Bloemen ed altri vedutisti, a introdurci insensibilmente e piacevolmente nell'altra parte della grandiosa rassegna: nella sezione prevalentemente documentaria del costume romano compreso fra il pontificato di Clemente XI, che nella celebre stampa dì Domenico TJe Rossi vediamo avviato con interminabile ca-valcata del 1701 a prender pos- sesso di S. Giovanni Laterano, e il dramma di papa Chiara- monti. E se prima lentamente sotto i nostri occhi si svolge- va, con pitture, sculture, dise- gni, l'adorna storia dei rappor- ti stilistici suggeriti dal gusto dell'epoca, ed attraverso unaserrata dialettica interloquiva- no, oltre le personalità già ci- tate, un Maratta, un Sebastia- no Ricci, un Baciccia, un Luca Giordano, un Giaquinto, un Benedetto Luti, un Solimena, un Traversi, un Guglielmi, unCanova; ora, nella suddetta se- zione, è la cronaca che pren- dendo il sopravvento giustifl- ca quel determinato modo didipingere, di scolpire, di dise-gnare. Giustificazione tuttaspirituale. Ed è una cronaca straordi-nariamente viva e pittoresca. Comincia coi disegni inglesi acquerellati delle maggiori ville romane, Pamphili, Massimo, Medici, Ludovisi, Mattei, Rospigliosi, Torlonia e Aldobrandini a Frascati, Farnese a Caprarola; con la serie delle « Guide » di Roma, sian del « milanese » Pinarolo o del «ro-mano » Martinelli; con le centi-naia di caricature di Pier Leo-ne Ghezzi che tanto piacevano agli inglesi (più di cinque-cento ve n'è al British Mu-seum). Prosegue con le nonmeno famose stampe di Giuseppe Vasi; coi capolavori del Piranesi; coi divertenti quadri anonimi, o dì modesti ma abi-lissimi artigiani-pittori, che nelle vaste piazze romane, con dozzine di sontuose carrozze e centinaia di flgurette, rappre- sentavano ricevimenti di prin-cìpi, cardinali, ambasciatori, feste in onore di sovrani,ca- valcate cardinalesche e papa-li, giochi popolari, gare spor-tive, funerali.. Prosegue, diciamo, e dà la impressione di non finir mai. Ci sono I ritratti dei pontefici e sotto i loro editti, fra i quali quelli, ahimè inutili, per la difesa delle saccheggiate antichità di Roma. Ci sono 1 libri manoscritti del « Monte della Pietà dell'Imprestiti », e il meraviglioso volume tecnico del «Castelli e ponti di Maestro Nicola Zabaglia » con la « descrizione del trasporto dell'obelisco vaticano del Cav. Domenico Fontana ». C'è la diffida del 1798 a comprare o trattenere oggetti rubati nei Musei Vaticani da « alcuni cattivi individui ». Ci sono argenterie e mobili, rilegature e strumenti musicali, manichini e portantine, ambienti ricostruiti, innumerevoli rievocazioni del carnevale, delle corse dei barberi, dei giochi nelle tenute Rospi- I equestri I gliosi.. | c-è tutto, fin troppo: persi|no un erbario che miracolosa mente conserva dopo duecen 't'anni i colori e la grazia del ie nianticelle. E infine c'è un editto dell'Anno VI Repubbli 'cano: «Sarà fatta senza ritar ' &0 una legge tendente a repri :mere gij abusi della stampa», ;Ci siamo. La solita appendice ja; «grandi principi» dei gran • dl rivoluzionari. Su questa pai malinconia politica il se 'coi0 si è chiuso. Nulla di nuo |V0 nell'apparenza della novi? tà. Ma intanto, addio berline dorate, addio Piazza Navona !allagata, addio Goethe ritrat ito nella campagna romana da Tischbein, addio amabili Greu ze e Fragonard. E' finita la .festa settecentesca di Roma, 1 1 | Marziano Bernardi sttitiiiiiiiiiiitinitiitiifiiiiuiMiiiiiiiiitMiniiiiiiii Il ritratto del conte Potocki, un dipinto di J. L. David aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiu