La crisi tessile

La crisi tessileLa crisi tessile La corrente annata promette di distinguersi dalle precedenti per quanto riguarda le cosiddette « lotte di lavoro ». Sotto questo rispetto gli ultimi anni furono relativamente calmi. Il 1959, invece, promette parecchie agitazioni, e lo sciopero di ieri nel quadro dell'industria t'essile è manifestazione saliente di questa serie. L'astensione dal lavoro riguarda l'industria tessile, in senso tradizionale: cioè, tanto per esemplificare, la filatura e tessitura di cotone, quella della lana, della seta, della .iuta, del lino e della canapa. E' esclusa, invece, l'industria dei tessili artificiali e sintetici, nella quale si seguono le norme contrattuali della industria chimica. In complesso questa astensione dal lavoro riguarda una industria che, secondo il censimento del '51, abbraccia almeno 700 mila lavoratori. Detraendo, tuttavia, i lavoratori in proprio, gli artigiani ecc., si può dire che l'agitazione interessi all'incirca 350 mila unità lavoratrici ed almeno 3 mila aziende, che occupano più di dieci operai (ottocento soltanto ne occupano più di cento). Quali sono i motivi di questa controversia, che minaccia di trascinarsi ancora per parecchio tempo, e che, co munque, già oggi va ricolle gata allo sciopero sostenuto dai tessili nel 1953? Non sono difficili da intendere. Il 31 dicembre 1958 è scaduto il contratto di lavoro redat to nel 1956 per queste cate gorie di lavoratori. I tre sindacati di categoria, ade renti alla Cgil, alla Cisl ed alla Uil, hanno presentato una serie di richieste sala riali: aumento di quindici lire all'ora, partendo dal minimo dei manovali, per tutti gli operai e aumento di lire 3 mila mensili per gli impiegati; parità di retribuzione per le lavoratrici, a parità di qualifica con il per sonale maschile; istituzione di premi di produzione ; miglioramento delle indennità di anzianità; aumenti nei cottimi, ecc. I datori di lavoro hanno risposto nettamente che, data la situazione in cui si trovava il loro ramo d'industria, essi proponevano il puro e sem' plice rinnovo del contratto in scadenza. Di qui il rifiuto dei sindacati e lo sciopero. * * E' sempre difficile, quando gli animi sono agitati t le cifre anche meno attendibili vengono offerte dall'una e dall'altra parte per influenzare l'andamento della lotta, descrivere onestamente la situazione di un ramo d'industria. Però l'attuale momento attraversato dall'industria tessile italia na non è per nulla determi nato dall'entrata in vigore del Mercato Comune Euro peo, come si è scritto, né dominato da fenomeni di transitoria recessione congiunturale, magari riguar danti il solo nostro Paese La crisi del tessile domina tutta l'industria europea da lunghi anni, ed è da ricollegarsi da un lato ad una capacità produttiva sovraespansa, dall'altro, alla progressiva diminuzione delle possibilità di sbocco, specie nei Paesi del Medio Oriente Questi ultimi, disponendo di materie prime in gran co pia e di mano d'opera esuberante, si sforzano di costruire, durante l'attuazione dei loro piani di sviluppo economico, propri stabilimenti tessili, che sono i più facili da esercire, e ne vendono poi la produzione sia sul loro mercato interno, escludendo le esportazioni europee tradizionali, sia nella stessa Europa. * * Un rapporto pubblicato all'incirca un anno fa dall'organizzazione economica per la cooperazione europea asseriva, ad esempio, che l'industria cotoniera europea (colonna portante per tutti i tessili) era caratterizzata da un « macchinario sovrabbondante, parzialmente inutilizzato e composto di vecchie attrezzature » ; cosicché la produttività media oraria europea non soltanto non reggeva il paragone con quella degli Stati Uniti, ma neppure con quella del Giappone, che ha di re¬ cdndcLlld'dmidlmnru cente ricostruito -la sua industria, ed in qualche caso neppure con l'industria indiana. Certi nostri dati statistici, del resto, sono eloquenti. L'industria cotoniera italiana nel '37 esportò 20 mila tonnellate di filati, avendone prodotti 187 mila; nel '57 ne esportò 12 mila, su di una produzione di 211 mila tonnellate. La stessa industria, nel 1937, produsse 131 mila tonnellate di tessuti e ne esportò 44 mila; vent'anni dopo ne produsse 160 mila e ne esportò 10 mila. Unico sbocco moderatamente crescente resta, come si vede, il mercato interno; ed anch'esso è minacciato. Il documento internazionale al quale ci siamo riferiti concludeva consigliando un poco tutti: industriali, operai, governi, consumatori. Agli industriali consigliava di intensificare gli investimenti per accrescere la produttività; agli operai di non opporsi all'introduzione del lavoro a due o tre turni, accettando la sostituzione del macchinario invecchiato con macchinario moderno. Ai governi suggeriva di favorire la fusione e la specializzazione delle imprese tsclamppzbmedddsIhtvqdaimCnVètcsbI iiiiiiiiimiiiiiiiiiimMiiiiiwiiHiiiiiiiiiiwiiiiiii tessili, con idonee misure fiscali, proteggendo in qualche caso con dazi doganali l'industria europea. Infine, ai consumatori, si raccomandava la scelta di una più stretta gamma di tipi, per permettere la specializzazione dei cicli produttivi. Ma vi è forse quache probabilità che misure così numerose e complesse possano essere adottate in tempo e diano i loro frutti? A giudicare da quanto va succedendo anche in Italia non si direbbe. « fm d- f.

Luoghi citati: Europa, Giappone, Italia, Medio Oriente, Stati Uniti