Domenica berlinese

Domenica berlinese VIAGGIO IN GERMANIA Domenica berlinese E' domenica: un- pallido sole filtra tra i vapori grigio-azzurri del cielo mattinale: l'aria è sottile e leggera tra i palazzi, le macerie, gli alberi spogli dei viali, l'ordinato movimento della grande macchina cittadina di Berlino occidentale. Il museo di Dahlem è lontanissimo dal mio albergo. Ci si arriverebbe agevolmente con un metrò : in automobile, gli amici che mi accompagnano, nell'intrico delle nuove costruzioni, nelle nuove prospettive che si aprono da ogni parte, stentano a trovare la strada; e nessuno dei molti passanti a cui ci rivolgiamo ce la sa indicare: neppure delle eleganti studentesse, coi libri sotto il braccio, fresche e pensose sul marciapiede. Finalmente, dopo lunghi giri in lindi quartieri di giardini e di ville, passato il ponte sulla ferrovia metropolitana, troviamo le frecce e i cartelli stradali che ci conducono a questa illustre raccolta di capolavori. Anche nei ricordi, anche nelle opere d'arte, anche nei musei, Berlino è divisa: le due mezze Berlino che si rispecchiano, si confrontano, si negano e si completano. Del famoso Kaiser h riedrich Musami, il maggiore musco di Germania, la cui sede si trovava nella parte orientale della città, nel cuore delle distruzioni, gli americani portarono qui, subito dopo la battaglia, quasi tutte le pitture, i sovietici spedirono a Mosca quasi tutte le opere di scultura e di architettura. Proprio in questo mes^, l'altare di Pergamo, i ritratti di El Fajum, le statue antiche, sono state rinviate dalla Russia alla loro vecchia sede berlinese. Quasi tutto è tornato, il resto sta ancora arrivando : è stato il maggiore avvenimento culturale li questo periodo, solennemente celebrato a Berlino Est. A Ovest, a Dahlem, era rimasta Nefertiti, e gran parte delle straordinarie figure c dei gessi dello studio dello scultore Tutmose: a Est, fra le tante e meravigliose sculture egizie, è tornata la piccola statua di Nefertiti nuda, col suo seno di fanciulla, il ventre infantilmente rotondo e le cosce robuste; a Ovest c'è il busto della Faraona, con le sue fattezzo così attuali e moderne, come se avesse anticipato di millenni quello che in un volto si riveli del costume e dell'animo, s'eché, vedendola, tra la folla (che si ferma sempre abbondante e si fissa davanti a lei, famosissima tra le poche immagini, chissà perché, privilegiate: forse pc l'attrattiva misteriosa di un sor riso di donna?), vien fatto di immaginarla come una specie di precursore o di fondatore, come un Carlo Marx della rivoluzione femminile. Vicino a lei, c'è, variamente effigiato, il marito, il re Echnaton, o Amcnophis IV, questo Faraone innovatore e dissidente, forse ancora più fine, elegante e decadente della moglie, col lungo viso, il lungo mento, il lungo collo dei re. Insieme, i due monarchi sembrano una estenuata coppia gemella, nel mistero di un « sangue riservato » di incestuosi fratelli. L'antica pittura tedesca è rimasta tutta a Ovest: tra i grandi e i minori dei primi due secoli, ci si può perdere per ore, ritrovando le origini di tanti modi e sentimenti, rinati o riscoppiati nel nostro tempo: non solo dell'espressionismo, sotto la cui insegna i primitivi germanici hanno dipinto, ma, insieme, del surrealismo, e del verismo naturalista. Come questi elementi diversi si mescolano e si giustappongono, ad esempio, senza fondersi, nel « Riposo nella tuga in Egitto » di Lucas Cranach il vecchio, dove il mondo frondoso gotico-rinascimentale, la religione della foresta primitiva di Altdpifer, frascheggia negli alberi che fanno ombra a un angelo, che non è, a mio parere, che il minuzioso ritratto, ringiovanito, della moglie del giureconsulto Johann Reuss! Può. passare, tra gli antichi capolavori tedeschi, le' ore in scoperte attuali, in rivelazioni dei problemi della crisi di fissione della civiltà moderna. Il i assaggio, nel giro delle >ale, alle opere della grande arte n'animinga, è già un salto, dove, dalla diversa unità che si specchia nel gotico perfetto, nella luce irreale ed eterna della piccola « Madonna nella chiesa » di Van Eyck, arrivi a una molteplicità tumultuosa. Quante ose in un paesaggio di Rubens? Tronchi, occhi di vacche aperti nell'ombra, pioggia che scende da una nube, cacciatori che sparano, alberi germoglianti, mam mclle gonfie, case nascoste nei bosco, fumi lontani, sentieri, carri di contadini, e l'arcobale no, e il cielo rosso tra le frasche. Ma se, dalle sale dei pittori tedeschi esci, dall'altra parte,..con¬ dendo una breve scala, e ti appare improvvisa la « Venere con l'organista» di Tiziano, sei costretto a un passaggio anche più profondo e radicale: ti trovi a percorrere una strada di capolavori che appartengono a un mondo di unità assoluta, quasi incredibile qui, un mondo dove esiste la bellezza come l'immagine di una perfetta armonia dell'uomo col mondo. Alla line del percorso ti aspetta un quadro di Giotto, e ti sembra che egli sia il responsabile di quella miracolosa, e forse illecita, svolta della storia e del gusto, .-he ha ritardato, per alcuni -'ecoh, l'esplosione dei sentimenti e delle idolatrie individuali. Prima dell'uscita, si schierano, come gli ultimi quadrati della resistenza, Watteau e gli impressionisti, e l'ultima sorridente regina, la <c Fanciulla dell'estate » di Rcnoir, col più tenero dei verdi dietro il nero dei capelli. Il pomeriggio festivo volgt precoce alla notte: infiniti lumi sfavillano sulle strade affollate di Berlino Occidentale, sotto il cielo ormai nero: fiumi di gente incrociano le loro correnti senza riposo ai semafori, davanti alle vecrine, n' cinematografi, sotto le stelle brillanti sulle facciate, attorno agli alberi di Natale, tra il fluire lucente delle automobili, sotto i ponti della ferrovia elevata, tra i palazzi delle banche e le sedi della nuova ricchezza, in un luccichio che nasconde le macerie. Mi lascio portare a lungo da queste onde anonime e innumerevoli, qua e là a caso, per i marciapiedi brulicanti, finché mi accorgo che devo affrettarmi se voglio arrivare in tempo a un ricevimento, in casa di una signora. Vi trovo intellettuali, giornalisti e critici: tedeschi, inglesi e americani. Vi sono degli stranieri, acuti osservatori, dei vecchi berlinesi ricchi dell'esperienza così particolare dei loro anni chiusi; molti non hanno varcato, da mesi o da anni, l'inesistente frontiera, e sono curiosi delle mie impressioni. Quasi tutti ricordano, con una sorta di nostalgia, i tempi del blocco di Berlino; parlano dell'impresa, anche tecnicamente straordinaria, di rifornire una città così immensa e popolosa, per mesi, attraverso quel piccolo campo di Tempelhof tra le case, delle restrizioni di quegli anni, delle paure, e dell'atmosfera sempre provvisoria, eccitata e eccitante. Ora, mi dicono, i berlinesi sono abituati agli allarmi, all'eroismo, alla sempre crescente ricchezza, e se ne sono anche annoiati e disinteressati. L'attuale tensione non muove più gli animi: è una ripetizione; si sente che riguarda gli altri, che altri la possono muovere, aggravare o risolvere: non ci si crede realmente; e, senza crederci, ci si attende qualunque cosa. Una graziosa, elegantissima signora dagli occhi di liquido azzurro, mi dice: «Siamo rutti stanchi di fare gli eroi ». Ma è tempo che lasci la riunione: sono atteso per la cena nel nuovissimo albergo Hilton, inaugurato in questi giorni. Questo albergo, che è costato, mi dicono, più di quattro miliardi, ostentatamente impiegati, forse anche per ragioni psicologiche, su questa pericolante frontiera, è l'ultima novità di Berlino. Ai due lati della porta, dove arrivano le automobili, una folla di curiosi fa ala, come davanti a un ricevimento regale, all'ingresso degli dèi e dei semidei che entreranno nell'Olimpo dell'albergo. Pranzerò, questa sera, nella nuova grande sala dal pavimento di cuoio (il cameriere mi fa notare quel materiale prezioso, che non si vede, perché assomiglia nel colore al semplice legno: ma aggiunge che se ne sono già dovuti cambiare, in questi primi giorni, alcuni pezzi, perché, dove s: rovescia qualche cosa, rimane la macchia), con alcuni finanzieri accompagnati dalle loro >rivate Rosemarie. La cena, a dire il vero, fu assai modesta per quello sfarzo. Finita la cena, lasciati gli industriali e le Rosemarie, il vecchio amico berlinese che mi guidava volle condurmi in alcuni night-club! : tutti troppo ndollari e monotoni, fino ad un ultimo frequentato dagli artisti e tenuto da un negro gioviale, con quadri di Hofcr e di altri buoni pittori alle pareti. Per liberarci poi dal fastidio di questi noiosi, rumorosi squallori i itturni, • i ri fugiammo, sul Kurtunte •i.iomm in un bistro popolare. Al nostro tavolo, c'erano due donne di mezza età: una bionda, grassa, con gli occhiali e il cappellino, e una magretta, col viso stanco e un maglioncino 'iso. che stavano malinconicamente davanti a un bicchiere vuoto Dietro a noi, in piedi, sola, una giovane dal viso affilato, dagli occhi cerchiati, mangiava, appoggiata a un trespolo, una sua salsiccia Offrimmo da bere a tutte e tre, ma ci accorgemmo sacodAqiagcncdasgecmavvvgsdmqrztlglccI subito che avrebbero preferito avessimo offerto da mangiare. Ci confidarono che quel locale era ottimo, che lì si poteva avere del pàté veramente dcliiioso. Arrivarono le grosse fette di quel grossolano pàté arrivarono i Wilrste e le tre donne affamate affettando le maniere della migliore educazione, li divorarono con delizia in un baleno. Johanna, la grossa con gli occhiali, che sembrava una maestra, ci disse che non avrebbe voluto abitare a Est, perché a Est non si può « lavorare ». Annie, la giovane dal viso fine e patetico e dai capelli le^eri, raccontò che vi era stata per trovare sua madre, ma che, avendo tardato a presentarsi con le carte, era venuta la polizia in casa, e l'avevano fermata. Le avevano trovato nella borsetta molte fotografie di americani in divisa, suoi amici. Le avevano chiesto di lavorare per loro. Disse di si, ma durante la notte scappò. Per questo non se la sente di tornare dall'altra parte. Gcrtie, la terza, che sembra una vecchia portinaia, va invece ogni tanto a Est, dove ha i parenti, ma non le piace. « Di là — dice — ìa gente sembra diversa ». Quando la mia guida berlinese accennò casualmente che venivamo dall'albergo Hilton, alle tre fanciulle brillarono gli occhi. • Lo Hilton », esclamarono in coro, con le bocche aperte di mitologica ammirazione. E così le lasciammo, davanti ad un'altra fetta di pàté. Carlo Levi

Persone citate: Carlo Levi, Carlo Marx, Johann Reuss, Kaiser, Lucas Cranach, Pergamo, Van Eyck